Per l’ex sindaco è finita, arriva Tronca con la sua amuchina marca Expo per far splendere il Giubileo. E sulle macerie di Roma il Pd sventola una vittoria che sa di Pirro
di Maurizio Zuccari
Alla fine, è finita. Non in gloria, e neppure in salmi. È finita e basta, senza fischi né pernacchi, cori o battimani. In silenzio, alla mortaccina, più in farsa che in tragedia, come recitato Oltretevere. E sui cocci che il neocommissario capitolino dovrà ripulire da tanta merda, far brillare perché la Città eterna sia degna del Giubileo francescano (quantomeno non sfiguri al paragone dell’expo meneghino, fiore all’occhiello della rinnovata capitale morale del Belpaese), potrà tornare a sorgere, chissà, il sol della nazione e del suo Pur, Partito unico renziano. Ma prima che Francesco Paolo Tronca da Expo, già prefetto di Milano, faccia la sua parte a Roma, la capitale ancora infetta dovrà sbarazzarsi in fretta – come suo costume, del resto – pure del ricordo di chi l’ha retta negli ultimi due anni e mezzo.
Non era questo che voleva il marziano Marino. Lui in fondo per lo sfratto esecutivo dal Campidoglio chiedeva solo un posticino alla mezz’ombra, se non proprio al sole; l’onore delle armi, come al Duca d’Aosta circondato sull’Amba Alagi dai perfidi albionesi, dopo un mese di resistenza. Né l’uno né l’altro gli ha concesso il mandante unico dei 26 accoltellatori, come detto dallo stesso Ignazio nel suo ultimo j’accuse. E davvero Marino pareva un marziano sceso da chissà dove, quando l’altra sera al Maxxi, circondato ormai soltanto da quattro fedelissimi e da una torma di paparazzi-reporter-ficcanaso più alienati di lui, vagheggiava implausibili ritorni con la lista delle cose da sbaraccare dall’ufficio in agenda. Ringraziando tutti a destra e manca in un incredibile mantra – ma è dell’uomo, oltre la cocciutezza, la capacità di sorridere nei luoghi più importuni – mentre attorno a lui selve di giornalisti si sfracellavano per ogni dove.
Un pupazzo, l’ormai definitivamente ex sindaco, degno della crozziana controfigura collocatrice d’orsetti e omini biscotto in un controfondale di giunta? O un eroe mancato, battuto dai soliti politicanti tresconi, sfortunato interprete d’una Marineide durata qualche capitolo più del necessario? Un caparbio o un fesso, uno che c’è (c’era) o ce fa (ce faceva), come direbbero a Roma? Tutt’e due, probabilmente. Cos’abbia spinto il non più sindaco all’ultimo affondo, al tutto per tutto, quando dalla sua non aveva che poche anime belle e una piazza mezza piena, resta un arcano, secondo solo ai misteri eleusini che hanno trasformato Tsipras da Gran timoniere dell’altra Europa a factotum dell’Europa che conta. Può darsi che oltre a non essere una cima con gli scontrini non fosse abile neppure col pallottoliere, e non avesse capito che tutti, o quasi, l’avrebbero lasciato prima del redde rationem e preferito timbrare dal notajo piuttosto che incorrere nelle ire del Renzo funesto e del suo mozzaorecchi Orfini. Può darsi che davvero credesse d’avere dalla sua la città – che invece se ne frega, se non l’avversa apertamente – piuttosto che una piazzata di fedelissimi. Può darsi che abbia creduto a certi sireni che gli dicevano di tener duro, l’altra metà del Pd era con lui, e resistere nella battaglia di Roma avrebbe portato alla cacciata di certi signorotti fiorentini dal partito e dal paese.
Può darsi che l’uomo, inorgoglito e “alieno da ogni compromess”, come cantava Rino Gaetano, avesse creduto a tutto ciò, lui e i suoi consigliori, piuttosto a quel ch’era sotto gli occhi di tutti. Certo è che la politica ha ripreso la sua rivincita sul politicante che se ne va mestamente, lascia le luci della ribalta per non più tornare, come un attore del muto ai tempi del sonoro. Marino va in fondo, a sinistra, per non più riemergere. Da indagato, anche se dovesse uscirne ripulito. In città restano le macerie, come vaticinato Oltretevere. Sulle quali il Pd sventola per ora una vittoria che sa di Pirro, e non basterà l’amuchina marca Expo di Tronca per farle tornare splendenti, ripulirle dai batteri d’una Mafia capitale che sta per arrivare alla sbarra nel suo troncone noto. Marchini, più dei Cinquestelle, gongola. Due anni passano presto, accada quel che accada, e lui di lavori in corso se ne intende, ha già cominciato a riempir buche.