Quarant’anni fa, nella notte, se n’andava Pier Paolo Pasolini, maciullato da un pugno di malnoti. Per lui nessuna verità ma un mare di iniziative.
di Maurizio Zuccari
Di quella morte, rubricata come omicidio d’un singolo balordo, Pino “la Rana”, ancora nessuna verità al di là di quella giudiziaria s’è provata, benché lo stesso capro espiatorio abbia ammesso di non essere stato il solo presente al massacro, prima che amichevoli vocine lo costringessero all’ennesimo silenzio. Nessuno, neppure l’anima bella di Graziella Chiarcossi, la cugina che quella notte del ‘75 attese invano il ritorno di Pasolini, sposa del compianto Vincenzo Cerami e curatrice del lascito letterario e testamentario dello scrittore, crede più che quella notte Pinuccio abbia agito da solo, ma tant’è. Né lo crede il sostituto procuratore di Roma Francesco Minisci, la cui unica soddisfazione dopo cinque anni d’inchiesta è nell’‘«incontrovertibile accertamento» di tre killer presenti sulla scena, oltre a Pelosi, come scrive il Gip che ha deciso l’ennesima archiviazione. Così la verità giudiziaria di quell’esecuzione resta tutta da scrivere, nonostante una mole sterminata di scritti e di prove, ma in compenso il lascito testamentario del poeta è andato ben oltre le mura della casa dell’Eur che la signora Cerami condivideva con lui, o la torre di Chia abitata al tempo dal poeta.
In questo quarantennio il paese ha preso in buona misura la piega vaticinata da Pasolini, e il poeta s’è trasformato in profeta unanimemente riconosciuto. Da figura ostracizzata e contestata per le sue notti brave coi ragazzi di vita, costategli al tempo l’espulsione dal Pci, Pasolini è divenuto uno dei più lucidi interpreti del suo tempo, declamato in tutte le salse. Una giustizia postuma e un conformismo di segno opposto a quello interclassista denunciato da Pier Paolo con la fine della civiltà contadina, ma altrettanto deleterio, assolutamente italiano – come tipicamente italiano è il suo delitto – e stucchevole a fronte dell’ineffabile complessità di un intellettuale divenuto, suo malgrado, icona del nostro tempo.
A riprova di quanto Pasolini sia divenuto un best seller del politicamente corretto, una ridda di spettacoli, mostre, eventi che ne omaggiano la figura. Fra le iniziative degne di nota, la tre giorni che al Museo del crimine mette in scena la macabra oggettistica di quella notte, i reperti per la prima volta esposti fuori dalle aule giudiziarie. Non certo la Giulietta Gt 2000 di Pasolini – del tutto simile a quella con cui sono fuggiti i veri killer – distrutta con l’assenso della cugina, ma il maglione verde che non apparteneva né a lui né al suo presunto uccisore, e varie chicche che meritano la visita nel luogo dove si conserva ogni efferratezza recente del potere, dalla Dama bianca murata viva nelle segrete della rocca di Poggio Catino alla mantella di mastro Titta, il boja della Roma papalina. E sempre a Roma, al teatro Argentina, una lettura di Petrolio, aperta da Bernardo Bertolucci, rilegge stasera gli appunti dell’opera omnia dello scrittore, lascito testamentario manomesso al punto che alcune paginette dell’originale sono finite pure nelle bramose mani di quel fine bibliofilo di Marcello Dell’Utri. Chicche e curiosità letterarie sono pure nello spazio espositivo permanente che viene inaugurato il 4 alla Biblioteca centrale nazionale. Ma non è che l’inizio. Nei giorni della memoria non c’è che l’imbarazzo della scelta. Così, aspettando magari la maglietta o il gadget del cinquantennale, il corpus d’iniziative sul quarantennale presentato da Enrico Franceschini è più lungo d’una quaresima (leggi l’elenco), ma ben difficilmente la commissione d’inchiesta auspicata dal ministro o i suoi tweet d’omaggio potranno fare luce su una verità fuggevole e incomoda che rischia d’essere sepolta sotto una mole d’iniziative. Con buona pace di un intellettuale allora scomodo ma che oggi fa comodo a tutti.
basterebbe ricordare che era un comunista che già non farebbe più comodo a nessuno, visto che la parola comunismo è bandita anche dalle tavole degli anticapitalisti …
basterebbe ricordare che per lui l’artista “non deve tacere nulla, poiché il peccato più grande è l’omissione, essendo la sua funzione l’esprimere, e dunque l’esprimere tutto …”
e già questa esigenza di verità lo metterebbe fra gli sconvenienti …