«Il TTIP è uscito dal silenzio e finalmente se ne comincia a parlare ma il governo Renzi è più realista del Re». Intervista con Marco Bersani, tra i coordinatori della Campagna Stop-TTIP Italia e portavoce nazionale di Attac
di Giampaolo Martinotti
Ottobre è stato il mese di mobilitazione globale contro il TTIP, il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti che minaccia la nostra democrazia e l’ambiente. Dalla grande manifestazione di Berlino alla consegna all’Unione Europea di 3 milioni e 250mila firme di cittadini europei, passando per la significativa flash mob dei Fori Imperiali di Roma: insieme è possibile fermare questo trattato “segreto”, perchè i diritti, la natura e i beni comuni non sono delle merci.
Sin dall’inizio abbiamo sentito ripetere come un mantra che “il TTIP rilancerà l’economia europea”. Cosa ne pensi?
Penso che questo sia il “trucco” fondamentale, nel senso che il tentativo fatto da chi sostiene il TTIP è quello di dire “voi parlate di diritti ma questo trattato rilancerà l’economia”. Peccato che andando a vedere gli stessi studi commissionati dall’Unione Europea sull’impatto positivo, secondo loro, del TTIP, venga segnalato che, per esempio, l’impatto economico previsto nello scenario migliore sarà un aumento del Pil in Europa dello 0,48% a partire dal 2027, quindi, se questo è lo scenario migliore, siamo difronte ad un vero trucco. Cioè, nell’Europa stremata dalla crisi si fa credere che un progetto che va sostanzialmente a rivoluzionare l’economia e la società intera potrà portare effetti positivi quando questi effetti positivi sono miseri, come il raggiungimento del +0,48% da qui al 2027. Credo che se prendessimo oggi un gruppo qualsiasi di studiosi di economia sarebbero in grado di fare altrettanto.
Concretamente, ci saranno almeno dei benefici per i lavoratori?
Direi proprio di no. Sempre per gli studi commissionati dall’Unione Europea si dice che, da una parte, non si è in grado sostanzialmente di capire quale sarà l’impatto economico sull’occupazione, e dall’altra, nel già citato rapporto del CEPR (Centre for Economic Policy Research), si parla di una caduta di un milione di posti di lavoro compensata dall’avvio di un altro milione di posti. Quindi il dato economico più favorevole dice che il saldo occupazionale sarà uguale a zero, e naturalemente non tiene conto del fatto che difficilmente il milione di posti di lavoro che saranno persi, soprattutto nella piccola e media impresa e nelle aziende contadine, difficilmente diventeranno automaticamente nuovi posti di lavoro nella ricerca scientifica o nelle nuove tecnologie. Insomma, il milione di persone che perderà il lavoro non saranno le stesse che forse lo troveranno; dunque anche dal punto di vista occupazionale il TTIP non porterà alcun beneficio e anzi per un paese come l’Italia, essenzialmente fondato sulla piccola e media impresa nel campo agricolo e industriale, si è in grado di prevedere una caduta dell’occupazione.
La Commissione Europea parla di trasparenza nei riguardi delle modalità con le quali è stato portato avanti il negoziato. Ma la sensazione è che si sarebbe voluta mantenere la massima segretezza. Perchè?
Più che la sensazione è una constatazione. Questo negoziato tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti è iniziato nell’aprile 2013 e per molto tempo è rimasto assolutamente segreto. La motivazione credo che stia tutta nel fatto che un accordo che rivoluziona completamente i diritti del lavoro, colloca sul mercato i servizi pubblici e mette sostanzialmente a rischio il quadro democratico, poteva essere solo portato avanti in tempi velocissimi e nella più assoluta segretezza. Di fatto i predicatori del TTIP hanno fallito su entrambi i fronti perchè la documentazione, in parte, è diventata di pubblico dominio, non per merito dell’Unione Europea ma poiché, diciamo, alcuni funzionari anche nelle istituzioni hanno capito che il pericolo era talmente grande che valeva la pena informare la cittadinanza. Questo ha reso difficile il negoziato che infatti doveva inizialmente chiudersi già verso la fine del 2014, ma siamo alla fine del 2015 e i negoziati sono ancora in stallo.
Dunque è possibile sostenere che il TTIP crea un problema democratico?
Assolutamente si! E direi molto di più, il TTIP mi sembra che possa essere definito come il passaggio dallo stato di diritto allo stato di mercato, nel senso che il TTIP prevede che le multinazionali e i grandi investitori possano chiamare in giudizio presso tribunali privati, cioè corti di arbitrato commerciale internazionale, qualsiasi governo o anche autorità locale per norme di legge, o anche delibere nel caso degli enti locali, che queste multinazionali ritengano ostacolanti i propri obbiettivi di proffitto. Cioè, si tratta sostanzialmente di una nuova giurisdizione internazionale in cui l’interesse generale, che dovrebbe essere espresso dalle leggi dei parlamenti democraticamente eletti, viene suborditato agli interessi delle multinazionali. In sostanza assistiamo ad un ritorno al pre-stato di diritto, quando c’erano i sovrani assoluti che non erano sottoposti alle leggi, questa volta non sono monarchi ma sono nuove divinità chiamate mercati, istituzioni finanziarie internazionali e mutinazionali.
Cosa si intende, all’interno del trattato, per abolizione delle “barriere non tariffarie” e in che maniera viene utilizzato il termine “armonizzazione”?
Questo è, diciamo, il “coniglio dal cappello”. Perchè si fa credere che il problema sia sostanzialmente quello di migliorare il commercio tra le due sponde dell’Atlantico ma, se si consulta appunto la documentazione, si parla quasi esclusivamente di “barriere non tariffarie”. Le barriere non tariffarie sono esattamente tutte le normative, regole, che attualmente secondo gli investitori ostacolano la piena libertà di investimento. Ma poi andando a vedere cosa sono concretamente, sono per esempio il contratto nazionale del lavoro, che è considerato una barriera non tariffaria da eliminare; il principio di precauzione ambientale, in vigore nell’Unione Europea, è anche considerato una barriera non tariffaria. Diciamo che tutte le norme di salvaguardia ambientale, della sicurezza alimentare, dei diritti del lavoro e sociali sono considerate barriere non tariffarie che ostacolando gli investimenti devono essere progressivamente e complessivamente abolite.
E naturalmente si usa un termine ideologico come “armonizzazione”, perchè l’armonizzazione di per sé non è un criterio sbagliato. Peccato che nel significato attribuitogli dal TTIP voglia dire omologazione al ribasso. Paradossalmente anch’io sarei per una armonizzazione, nel senso che se in alcuni paesi esistono delle tutele per il lavoro e in altri no, dovrebbe essere esteso il contratto nazionale del lavoro a tutti i paesi, cioè armonizzando le normative. Ma quando il TTIP dice “armonizzazione” anche in questo caso sta dicendo di nuovo omologazione al ribasso. Cioè, si considera il paese con meno diritti e si cerca di abbassare allo stesso livello i diritti degli altri paesi.
Qual’è la posizione del governo Renzi rispetto al Trattato?
Direi che il governo Renzi è “più realista del re”. L’italia è stata per sei mesi alla presidenza di turno dell’Unione e sul TTIP ha semplicemente fatto considerazioni dicendo che il TTIP è un trattato che porterà l’Europa fuori dalla crisi. Attualmente il governo Renzi continua a sostenere in maniera totalmente acritica il negoziato, peraltro diversamente da altri paesi che paradossalmente, per esempio come la Germania ma anche la Francia, hanno posizioni critiche, perchè in questi paesi c’è una mobilitazione sociale molto elevata che sta crescendo anche in Italia e che presto speriamo abbia il sopravvento.
Alla luce delle ultime imporanti mobilitazioni, a che punto è la lotta per fermare il negoziato?
Io direi che intanto abbiamo ottenuto un grosso risultato con il TTIP che è uscito dal silenzio e finalmente se ne comincia a parlare. In alcuni paesi è direttamente inserito nell’agenda politica. Penso alla Germania, dove si è svolta il 10ottobre scorso una grandissima manifestazione con 250mila persone, ma anche in Italia dove semplicemente un anno e mezzo fa erano forse dieci le persone che sapevano dell’esistenza del TTIP, mentre oggi ci sono decine e decine di comitati attivi, sono state consegnate all’Unione Europea sempre a metà ottobre 3 milioni e 250mila firme di cittadini europei. Dunque la mobilitazione sta salendo e si è costruita una rete europea con collegamenti anche con la società civile statunitense che dall’altra parte dell’Atlantico si sta organizzando. Diciamo quindi che la mobilitazione sta crescendo, e noi pensiamo che sia possibile vincere e fermare il Trattato che rivoluzionerebbe completamente la società europea e quella statunitense che andrebbero a perdere totalmente i diritti del lavoro, i diritti sociali, i beni comuni e la sicurezza ambientale che già sono stati sottoposti a pesanti attacchi.