8.2 C
Rome
lunedì, Novembre 25, 2024
8.2 C
Rome
lunedì, Novembre 25, 2024
Homecronache socialiUn autunno freddo

Un autunno freddo

La manifestazione Fiom non è stata all’altezza delle aspettative. Di coalizione sociale nemmeno l’ombra. Perché l’autunno è così freddo, perché non ci sono grandi mobilitazioni in Italia contro il governo dell’austerità e della guerra?

di Fabrizio Burattini

IMG_0877
piazza del popolo 21 novembre 2015

E’ dal 1969 che la stagione dell’autunno, nella sinistra e nel sindacato, viene associata all’aggettivo “caldo”. Effettivamente l’autunno di quell’anno fu caldissimo nei posti di lavoro e nel paese. Grandi mobilitazioni, cortei, scioperi iniziarono a trasformare il mondo del lavoro del nostro paese e a creare una situazione inedita in numerosissime fabbriche.

Ma anche gli autunni degli anni successivi, seppure con una intensità e una forza via via calanti, furono anche esse stagioni socialmente e sindacalmente calde.

E questo non a caso.

L’autunno è la stagione del rientro, quando buona parte delle lavoratrici e dei lavoratori, ritemprati da qualche settimana di riposo (sempre troppo poche, comunque) rientra nel posto di lavoro e riscopre la violenza e la pesantezza del lavoro alienato, ma è anche

la stagione del rientro a scuola, quando studenti e studentesse, ancora non intimoriti dalle verifiche scolastiche, scoprono la bellezza del lottare uniti, in difesa della scuola pubblica, del diritto allo studio, delle loro condizioni di vita e delle loro prospettive future.

E nella politica è la stagione in cui, più che in ogni altro momento dell’anno, si riconferma la politica delle classi dominanti e dei loro governi, è la stagione delle leggi finanziarie (o “di stabilità”, come si usa dire recentemente), con i loro tagli allo stato sociale e ai servizi.

Non a caso, è nella stagione autunnale che i sindacati, anche quelli concertativi, se non altro per nascondere la loro pratica di sostanziale acquiescenza con le controparti, hanno sempre indetto scioperi generali, manifestazioni.

Magari si trattava di scioperi testimoniali, finalizzati non tanto ad impedire l’azione antipopolare del governo, quanto a fornire attestazione dell’esistenza in vita delle organizzazioni sindacali stesse, a rivendicare almeno uno strapuntino al tavolo in cui le scelte di politica economica e sociale venivano compiute.

Ma quest’anno 2015, questo autunno 2015, diversamente dai precedenti, non merita proprio di essere chiamato caldo. E non certo perché lavoratrici e lavoratori non abbiano motivi sufficienti per inquietarsi e aver bisogno di surriscaldare un po’ l’aria.

Il clima nelle aziende è sempre più pesan­te; nonostante la proclamata “ripresa”, la disoccupazione resta a livelli da record e, anche per chi ha il “privilegio” di lavora­re, il mantenere la famiglia e un livello di vita dignitoso e accettabile risulta sempre più difficile. Inoltre i contratti e i minimi salariali di milioni di lavoratori di tante categorie sono in scadenza o bloccati da anni, e sottoposti alla minaccia delle asso­ciazioni padronali che vogliono riscriverli, peggiorati nelle normative, deprezzati nel­le retribuzioni, svalorizzati nel loro ruolo di strumento di unità di classe.

E la legge di stabilità presentata da Renzi, che fissa i termini per il bilancio pubbli­co del prossimo anno, non è meno anti­popolare di quelle degli anni precedenti. Qui non lo approfondiamo (lo facciamo in altra parte del giornale), ci limitiamo a ricordare che, in quella legge, il governo, in quanto “datore di lavoro” per 3 milioni di dipendenti pubblici, stanzia una cifra capace di elargire per l’incremento delle loro retribuzioni meno di 10 euro lordi.

Eppure per nessuna categoria di lavoratori (salvo l’encomiabile eccezione delle lavo­ratrici e dei lavoratori della grande distri­buzione, chiamati ad astenersi dal lavoro nel fine settimana del 7-8 novembre) è sta­to proclamato uno sciopero dalla Cgil (né, ovviamente, da Cisl e Uil). E, tanto meno, è passata per la testa del gruppo dirigen­te confederale l’idea della necessità di uno sciopero generale.

Occorre dire che perfino i sindacati di base, a differenza di quanto fatto in numerose occasioni negli anni scorsi, si sono aste­nuti dal proclamare iniziative di sciopero generale, salvo alcune iniziative settoriali, per di più in ordine sparso, come lo sciope­ro dei lavoratori della logistica, proclama­to dal Si Cobas per il 29-30 ottobre, quello della scuola di Cobas, Unicobas e Cub del 13 novembre e quello dell’USB del pubblico impiego del 20 novembre, peraltro sotto­posto ad un vergognoso e assurdo attacco da parte della questura di Roma con un in­costituzionale divieto a manifestare.

A volte, per gli apparati sindacali, lascia­re lavoratori e lavoratrici senza alcuna possibilità di espressione del loro disagio può essere pericoloso. Allora li si fa sfila­re di sabato, senza sciopero, come accadrà quest’anno il 21 novembre ai metalmecca­nici della Fiom e il 28 ai dipendenti pubbli­ci.

 

*editoriale de L’Anticapitalista n.4

 

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Ultimi articoli

Licia Pinelli: un’assenza, una presenza

Poi, non l'ho più sentita, non volevo disturbarla. Sai come vanno queste cose... si rimanda sempre... E così arriva il primo 15 dicembre senza di lei Era la fine del 1997. In Piazza Fontana non c'ero mai stato. Ti sembrerà strano, considerando quanto quella strage e il caso Pinelli siano stati importanti nella mia vita, quanti articoli e fumetti ho scritto su quei fatti, ma è proprio così. Milano la evito, se posso. Torno alla fine del 1997, a un giorno in cui per questioni personali Milano non posso evitarla. E passo in Piazza Fontana. Nel giardinetto vedo la targa che ricorda Giuseppe (Pino) Pinelli. L'unica, all'epoca, e per me sarebbe rimasta in seguito l'unica che conta. Noto con piacere che c’è ancora gente che depone dei fiori, vicino, e il mio pensiero segue traiettorie oblique, con cui non voglio...

Camminare, vedere, raccontare

I viaggi "in bianco e nero" di Ivo Saglietti, fotoreporter, nella mostra in corso al Palazzo Grillo di Genova

Lo squadrismo dei tifosi israeliani e il pogrom immaginario

Violenza ad Amsterdam: i fatti dietro le mistificazioni e le manipolazioni politiche e mediatiche [Gwenaelle Lenoir]

Ferrarotti è morto e forse la sociologia non si sente troppo bene

Vita e opere dell'uomo, morto il 13 novembre a 98 anni, che ha portato la sociologia in Italia sfidando (e battendo) i pregiudizi crociani

Un Acropoli che attraversa una città, recitando

A Genova va in scena, per la quindicesima edizione, il Festival di Teatro Akropolis Testimonianze ricerca azioni