Nel giorno in cui si apre Cop21, il mondo si accorge della marea tossica che sta avvelenando l’Atlantico dopo 500 chilometri di viaggio sul Rio Doce dalla miniera Samarco. Decine di morti, migliaia di sfollati
di Giampaolo Martinotti
È ufficiale, ci troviamo davanti al più disastroso crimine ambientale della storia brasiliana. La marea tossica partita meno di un mese fa dopo il cedimento delle dighe di lagunaggio delle scorie della miniera Samarco, nello Stato di Minas Gerais, sta avvelenando l’Oceano Atlantico dopo aver percorso oltre cinquecento chilometri seminando morte e distruzione.
L’ondata di fango e residui contaminati ha infatti travolto al suo passaggio interi villaggi situati lungo il corso del fiume Rio Doce, cancellando ogni cosa. In questo momento si parla di decine tra morti e dispersi, ma sarebbero alcune migliaia gli sfollati costretti ad abbandonare i propri territori e rimasti senza acqua potabile. I danni all’ambiente sono incalcolabili, con ecosistemi integralmente spazzati via e con comunità, come quella di Espírito Santo sulla costa atlantica, che hanno visto in pochi istanti la propria economia, basata principalmente sul turismo e sulla pesca, andare in fumo.
Ma perché delle strutture che erano state progettate appunto per il contenimento di scarti (provenienti delle lavorazioni minerarie e dunque pericolosi) non hanno retto? Questa è la domanda che si pongono le autorità e la stessa Samarco che, come da copione, ha già dichiarato come i fanghi fuoriusciti dalle dighe non siano nocivi, in totale antitesi con il parere di scienziati ed esperti indipendenti. L’azienda, sempre dal canto suo, fa sapere che ci vorranno mesi per capirne appieno le cause, mentre un dato appare chiaro fin da subito: l’inefficenza delle sue misure di sicurezza preventive, approvate anche dalle istituzioni, è un sintomo evidente del degrado e della crisi di un Brasile che non avrà vita facile nella gestione dell’impatto sociale di questo ennesimo disastro.
Oggi il paese della samba e del futebol ha un profondo bisogno di rilanciare l’economia reale, ma i suoi piani di sviluppo sembrano essere in balia delle diverse lobby dell’energia e delle controverse dinamiche che legano la politica carioca alle oligarchie multinazionali. Potenti gruppi economici che potrebbero essere alla base della decisione del Senato di autorizzare il progetto che accelera la concessione di licenze ambientali per le grandi infrastrutture, proprio in un momento così profondamente drammatico a livello socio-ecologico. Una inchiesta è tuttora in corso e una sanzione amministrativa inconsistente è stata comminata alla Samarco che si dice pronta e disponibile nell’assistenza delle popolazioni locali colpite dalla “tragedia”.
Questa vicenda non può esimerci da una considerazione più ampia sul capitalismo in sé e per sé: un sistema che si basa sul profitto e sulla crescita esponenziale è necessariamente distruttivo per gli esseri umani e per l’ambiente. In questo contesto la giustizia climatica, rivendicata ieri nelle piazze di tutto il mondo, deve essere un passo importante verso la costruzione di un nuovo modello socio-economico che, tutelando la vita e la natura, superi pienamente le catastrofiche dinamiche di produzione e sfruttamento del sistema attuale con un’alternativa che potremmo definire ecosocialista. Diritti, giustizia sociale ed energie rinnovabili, le parole d’ordine per eliminare la “casualità” e il ripetersi di certi crimini ambientali.
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