“Il principale consumatore del petrolio rubato dai legittimi proprietari, Siria e Iraq, è la Turchia”. Il Cremlino punta il dito contro Ankara Erdoğan e la sua famiglia sarebbero implicati nel traffico di petrolio con l’Isis
di Giampaolo Martinotti
Sono passati una decina di giorni dall’abbattimento del caccia russo Su-24 da parte dell’aviazione di Ankara, risultato di una presunta violazione dello spazio aereo turco al confine con la Siria, e lo zar Vladimir Putin ha mantenuto la promessa. Le “conseguenze drammatiche” che aveva minacciato all’indomani della “pugnalata alla schiena” si sono materializzate durante una conferenza stampa della Difesa russa: per gli 007 del Cremlino la Turchia acquisterebbe petrolio di contrabbando dal sedicente Stato Islamico. L’accusa naturalmente non è una novità, ma rappresenta senza ombra di dubbio una conferma importante nell’analisi delle dinamiche che legano il governo turco ai jihadisti. Oltretutto, Putin aveva già dichiarato che l’aereo russo era stato colpito per difendere il greggio dell’Isis.
Secondo i vertici militari russi le prove raccolte sarebbero inconfutabili, mentre il viceministro della Difesa Anatoly Antonov ha apertamente dichiarato che il presidente Recep Tayyip Erdoğan e la sua famiglia sono direttamente coinvolti in questo traffico miliardario. È curioso infatti notare come Bilal Erdoğan, terzo figlio del presidente, sia uno dei dirigenti, e dei tre azionisti di maggioranza, della compagnia di trasporti BMZ Group, da tempo sospettata di importare illegalmente petrolio dalla Siria e dall’Iraq. Il cerchio si chiuderebbe con la recente nomina a ministro dell’Energia di Berat Albayrak, 37 anni, ex amministratore delegato dell’influente Çalık Holding e genero dello stesso Erdoğan. Proprio quest’ultimo ha risposto seccato alle accuse lanciate da Mosca, definendole semplicemente delle “calunnie”.
Ma l’ambiguità del governo turco nei confronti del gruppo Stato Islamico era stata denunciata più volte in precedenza dalle testimonianze curde: sono mesi e mesi che i valichi lungo la frontiera tra Turchia e Siria sono chiusi per i profughi civili curdo-siriani ma facilmente permeabili per i jihadisti e i vari traffici che ne conseguono. Per non parlare del vergognoso arresto dei giornalisti Can Dündar ed Erdem Gül i quali, tramite il giornale Cumhuriyet, avevano smascherato di recente proprio i legami tra il Mit (servizi segreti turchi) e gli islamisti.
L’annuncio della Difesa russa arriva proprio mentre la NATO sta intensificando la sua azione militare nella regione, e gli “affari d’oro nero” dell’alleato turco non possono sicuramente essere una buona notizia per Washington e per quella stessa Ue che un paio di settimane fa dichiarava la Turchia un “paese sicuro”, dimenticando le costanti violazioni dei diritti umani e la brutale repressione ai danni del popolo curdo, dei combattenti del PKK e delle Unità di protezione popolare maschili e femminili, presi di mira dal regime di Erdoğan anche perché impegnati nell’estenuante lotta all’Isis.
I funzionari turchi sarebbero dunque tra i principali finanziatori del terrorismo internazionale, fornendo armi, mezzi, denaro e appoggio logistico ai combattenti dell’Isis, in cambio di petrolio a buon mercato. E mentre la tensione tra Mosca e Ankara ha superato i livelli di guardia, bisognerà aspettare la reazione della coalizione internazionale e, soprattutto, quella degli Stati Uniti che la comandano per capire i risvolti imprevedibili che questa vicenda potrebbe avere. La situazione è molto inquietante, chissà se dopo queste rivelazioni Matteo Renzi e Roberta Pinotti nutrono ancora la speranza di vedere la Turchia di Erdoğan nell’Unione europea.