Una cassetta degli attrezzi per smontare la ruspa e vedere come girano le rotelle degli ingranaggi. In libreria “La politica della ruspa. La Lega di Salvini e le nuove destre europee”, Alegre. Ecco l’introduzione
di Valerio Renzi
Se ne va in giro su e giù per l’Italia su una ruspa, a volte è vera a volte solo metaforica. Con il suo Caterpillar il leader leghista Matteo Salvini vuole abbattere i campi rom, spianare i centri d’accoglienza, spazzare via il governo Renzi e l’euro. Qualcosa non va? E allora ruspa! Tabula rasa, e chi se ne importa delle macerie. La sua ruspa Salvini se la porta anche in televisione e sui palchi di mezza Italia, stampata sulla maglietta d’ordinanza, calzata sopra la camicetta o in versione giocattolo. La ruspa è la metafora della politica di Salvini: radicale e semplice da comprendere, una macchina fieramente populista e popolana. Una retorica irragionevole e spesso irrazionale, politicamente scorretta: prima spianare poi discutere.
Per prima cosa Salvini ha rivolto la sua ruspa verso il suo stesso partito, facendo scordare gli scandali della “vecchia Lega”, seppelliti sotto una valanga di slogan, selfie e post su Facebook, portati via assieme all’iconografia del popolo padano. Via la canotta ecco la t-shirt, senza rinunciare al celodurismo del vecchio capo. Invece di avviare un’impresa di movimentazione della terra, Salvini con la sua ruspa è diventato un ambizioso imprenditore politico: pronto a raccogliere le macerie del berlusconismo per edificare un centrodestra a trazione “Lega della Nazione”. E sulla ruspa che corre forte nei sondaggi provano a salire tutti: trombati e riciclati, e camicie nere senza neanche il doppio petto. Quei neofascisti che Salvini frequentava quando era solo un consigliere comunale o un europarlamentare che cantava goliardicamente “o Vesuvio lavali col fuoco”, ora lo osannano come “il capitano”, pronti a partecipare entusiasti al lavoro di demolizione, imbarcati da un leader politico che finalmente li rappresenta.
Il Bossi in canottiera e gli slogan contro i terroni diventano così ingiallite foto di repertorio, così come i militanti vestiti da celti o druidi pronti a farsi immortalare al rito pagano dell’ampolla del Po. Le immagini sbiadite della Lega che fu, scorrono via assieme a quelle del Nord produttivo, dei distretti della piccola e media industria che crescono al pari o di più dell’economia tedesca. Un mondo cancellato dalla crisi economica, dalla finanziarizzazione dell’economia e dalle politiche di austerità.
Così nel serbatoio della sua ruspa Salvini può mettere tutto il risentimento sociale in circolazione, ben miscelato con le paure di chi vede il proprio mondo crollare e il futuro sempre più incerto.
Tutto questo fa da carburante per la macchina leghista, mentre dal tubo di scappamento escono i gas tossici della microfisica dell’odio. “Tutti a casa loro”, mentre si prende cappuccino e cornetto; “a loro danno trenta euro al giorno e agli italiani niente”, quando si è in attesa alla fermata dell’autobus; poi in fila alle poste si sente dire “pensa che hanno protestato perché non vogliono la pasta, loro nell’albergo al mare e io scemo che pago l’affitto”. Non è la banalità del male ma la banalizzazione della realtà. E ogni tanto capita che qualcuno non si accontenti più di borbottare al bar e passi dalle parole ai fatti. Quando “la misura è colma” e il piccolo schermo e gli appelli irti di punti esclamativi su Facebook indicano l’obiettivo da colpire. L’uomo nero è accucciato negli anfratti delle nostre città, e spesso e volentieri è anche negro, o rom, che poco cambia. E la ruspa passa, raccogliendo poi ciò che ha seminato. Dietro il carro cingolato di Salvini c’è un popolo indistinto, senza classi sociali, un unico corpo armato di forconi e torce, pronto a dar sfogo ai propri istinti.
Ma per capire come e perché la ruspa si sia messa in moto non basta scavare nel torbido dell’animo italico. Serve invece prendere un po’ di distanza e provare a ripercorrere le vicende delle destre italiane almeno negli ultimi vent’anni. Se è presto per storicizzare il ventennio berlusconiano, possiamo però vederne i frutti davanti ai nostri occhi. Caduto il satrapo, la retorica della ruspa sembra rappresentare un piano B. Gli slogan di Salvini non vengono dal laptop di qualche pubblicitario senza scrupoli, ma sono inseriti nella storia delle idee delle destre radicali in Italia e in Europa. Per questo c’è bisogno di ricostruirne la genealogia, senza fermarsi allo sdegno o liquidarli come “becero populismo”. Non basta affibbiare a un programma politico un giudizio morale per disinnescarlo, se non si capisce prima capire da dove nasce la sua efficacia, in quali fenomeni reali si inserisce e quali narrazioni produce.
Bisogna scavare a fondo per comprendere come la ruspa si sia messa in moto, da dove abbia iniziato la sua corsa. Alzare l’orizzonte per scoprire cosa accade in Europa. Tra i memorandum imposti alla Grecia e i miliardi di euro versati dal quantitative easing per salvare il sistema creditizio e gli interessi dei debitori, l’Europa dei falchi del rigore sembra preferire la regola aurea del 3% tra deficit e Pil alla democrazia e al benessere sociale.
Insieme agli effetti sociali delle politiche di austerità, assistiamo all’avanzata dell’estrema destra, dalla ricca Svezia alla Francia di Marine Le Pen, dalla Grecia di Alba Dorata alle marce del movimento anti immigrati tedesco Pegida.
Quello delineato fin qui è grosso modo il compito che ci siamo posti scrivendo questo volume, che vuole essere un contributo a capire nella sua complessità e con una prospettiva di medio e lungo periodo non solo l’ascesa di Salvini come leader della Lega, ma il più complessivo fenomeno delle nuove destre a livello europeo.
Una cassetta degli attrezzi per smontare la ruspa e vedere come girano le rotelle degli ingranaggi.