Spagna, la difficile campagna di Izquierda unida, la coailizione elettorale costruita attorno al Pce. Molta grinta ma sarà penalizzata dall’unità negata da Podemos
di Cristiano Dan
Izquierda Unida(IU) affronta le elezioni di domenica prossima con una certa grinta ma con poche speranze. Sa di essere esclusa dalla quaterna dei partiti che si divideranno la torta dell’80% circa dell’elettorato (PP e PSOE, entrambi in caduta libera ma con una base elettorale assicurata superiore al 20%; e Podemos e Ciudadanos, che veleggiano fra il 15 e il 20%). Può sperare, nella migliore delle ipotesi e salvo soprese, su un 5%, che nel panorama della sinistra anticapitalista europea non è poi tanto male, ma che, dato il sistema elettorale spagnolo fortemente disproporzionale, non si tradurrà che in un seggio o due. Sul piano istituzionale sa dunque di essere fuori gioco, e di dover intraprendere daccapo la lunga traversata del deserto, che per lei e il suo ispiratore, il Partido Comunista de España (PCE), dura ormai dal 1977, anno delle prime elezioni (quasi) libere
Il PCE
All’origine di Izquierda Unida sta dunque il PCE. Ripercorrere la storia, sia pure a grandi linee, di questo partito è impresa che (come nel caso già visto del PSOE) va oltre le ridotte possibilità di spazio di questa scheda. Limitiamoci a dire che il PCE fu fondato nel 1921 in seguito alla fusione di due scissioni “terzinternazionaliste” del PSOE, che fino agli inizi degli anni Trenta ebbe una vita stentatissima, sia perché la stragrande maggioranza del proletariato spagnolo era inquadrato nel PSOE e nelle organizzazioni politico-sindacali anarchiche, sia perché spesso adottò una linea astratta e ultrasinistra (votò contro la repubblica, cui contrapponeva… i soviet), sia – e non da ultimo – perché fu costretto alla clandestinità (a differenza del PSOE) per quasi tutto il primo ventennio della sua esistenza. È solo negli anni Trenta che, grazie alla sua forte disciplina, comincia per il PCE un periodo di ascesa organizzativa e di crescente influenza fra la classe operaia. I militanti del PCE si batterono coraggiosamente contro i franchisti nel corso della guerra civile del 1936-1939, su questo non v’è alcun dubbio; nello stesso tempo, però, la direzione stalinizzata del PCE spese non poche energie nel battersi, criminalmente, anche contro le organizzazioni anarchiche e il POUM, con risultati disastrosi per l’esito della guerra.
Dopo la sconfitta il PCE, al contrario del PSOE, riesce a mantenere in piedi, nella clandestinità, un minimo di rete organizzativa. La situazione del Paese è però tragica: alle distruzioni, alla enorme perdita di vite umane, si aggiunge il disorientamento e la depressione delle masse. Sopravvalutando l’importanza dell’esistenza di alcuni nuclei di resistenti rifugiatisi nelle montagne (i maquis), ignorando i richiami al realismo che venivano dall’interno del Paese, illudendosi sull’appoggio degli Alleati in guerra contro il nazismo, il PCE punta su una ripresa della guerra civile, “invadendo” la Spagna a partire dalla Francia (1944). Sarà un disastro. Per altri otto anni il PCE invierà quadri all’interno del Paese, nel tentativo di organizzare una guerriglia su larga scala, sino a che Stalin darà l’ordine di smantellare tutto, e Santiago Carrillo eseguirà. Abbandonata la via della lotta armata, il PCE sceglie l’“entrismo”, e cioè il lavoro clandestino all’interno del sindacato unico franchista.
Per tutto il periodo che va fino alla morte di Franco il PCE costituisce senza alcun dubbio la più importante forza d’opposizione al regime. Le cose cambiano con l’inizio della cosiddetta “Transizione democratica”. Alle elezioni del 1977 il PCE scopre con disappunto di avere un seguito minoritario: non disprezzabile, ma largamente inferiore a quello del PSOE e per di più a macchia di leopardo, cioè concentrato in poche “zone rosse” (parti dell’Andalusia, le Asturie, Barcellona, Madrid…) e quasi irrilevante nel resto del Paese. Inoltre, ha affrontato la transizione con una linea ultramoderata (riconoscimento della monarchia, rinuncia alla “rottura” col passato regime in cambio di una sua evoluzione in senso democratico, Patti della Moncloa…). È l’“eurocomunismo” in piena azione, che darà ben presto i suoi frutti avvelenati. Il PCE entra in una fase di aspri conflitti interni fra eurocomunisti e filosovietici (o “leninisti”), che si risolveranno in una litania senza fine di scissioni che ridimensioneranno in modo drastico il suo peso politico e organizzativo. Sino al botto finale, e cioè alla scissione-espulsione di Carrillo, che fonderà un suo partito accusando il PCE di aver “svoltato a destra” per finire poi col confluire nel PSOE…
Izquierda Unida
Preso atto della sua debolezza sul piano organizzativo ed elettorale, nel 1986 il PCE opera una svolta: decide di dar vita a una federazione di partiti di sinistra, per costruire un’alternativa più credibile allo strapotere del PSOE. Izquierda Unida nasce così, suscitando molte illusioni, ma in realtà già zoppa in partenza. Non si tratta infatti di un progetto che mira alla costruzione di una nuova organizzazione di sinistra che sappia far tesoro delle lezioni del passato, ma della semplice riproposizione, in formato ridotto, della vecchia formula dei Fronti popolari, all’interno della quale il PCE si riserva il ruolo di partito-guida. Ciò che spiega come Izquierda Unida si sia rivelata estremamente fragile, con una storia costellata di scissioni, ricomposizioni, fratture, che si sono riflesse a loro volta nel PCE, che si dividerà fra partigiani del mantenimento della federazione di partiti e coloro che puntano su un nuovo soggetto unitario frutto della fusione dei partiti federati. E così arriviamo a oggi, alla cronaca.
Izquierda Unidaè stata colta un po’ di sorpresa dal movimento degli Indignados e dal fiorire di iniziative dal basso che vi ha fatto seguito. Anche in questo caso, la tradizionale diffidenza del PCE nei confronti dei movimenti da esso non controllati ha accecato IU, che nelle elezioni europee del 2014 si vede quasi raggiungere da un nuovo soggetto politico, Podemos, che in qualche misura era il riflesso proprio di quei movimenti. L’anno successivo, nelle elezioni andaluse e in altre 15 comunità regionali, il sorpasso sarà compiuto. Il relativo successo di Podemos esigeva da parte di IU una rimessa in discussione del suo progetto. Ma non è stato così. IU si è limitata a spostare il tiro, proponendo per le prossime elezioni la formula della Unidad Popular (cioè una IU in grande, comprendente Podemos), come mero strumento elettorale. Di fronte al rifiuto di Podemos, che a sua volta poneva come condizione irrinunciabile per una lista unica della sinistra il mantenimento della propria sigla, Izquierda Unida è ripiegata sulla formula da lei più volte adottata della coalizione con altre forze di sinistra, perlopiù di impianto locale, fatta eccezione per due importanti comunità, Catalogna e Galizia, dove la sinistra anticapitalista si trova quasi tutta unita in un’unica lista.
dal blog di Antonio Moscato