Livorno sembra naufragare nella stagnazione e la giunta a cinque stelle non sembra in grado di reggere la sfida del governo di una città messa in croce dal malgoverno del Pd
da Livorno, Otello Chelli
Impazza ormai da mesi la questione Aamps, in una città che sembra ormai avviata (ma lo è già, nel concreto), verso un’esistenza grigia dove, mancando autentiche fonti di lavoro, galleggeremo sempre nel mestiere più antico degli italiani: l’arte di arrangiarsi. Questa è una città che non possiede più una classe dirigente da molto tempo. L’egemonia assoluta del partito dominante che, dopo aver dato, nell’entusiasmo della Liberazione, prova di intelligenza e buon governo, pur con alcune macchie indelebili come la pazzesca ricostruzione della città e alcuni macroscopici compromessi, ha aperto la strada all’ingresso, sulla scena politica, di un ceto mediocre che ha costruito il suo potere facendo leva su una ragnatela tale di interessi e intrecci, rappresentata, dalla galassia delle cooperative di ogni dimensione, da enti, aziende, circoscrizioni, associazionismo, comitati, circoli ricreativi, società sportive… una ragnatela impenetrabile, una cupola mefitica sopra la città e il territorio, mentre le scelte di questo partito si allontanavano definitivamente dagli interessi dei cittadini che, pure, in virtù di un fidelismo ideologico incapace di critica, durato cinquant’anni, lo hanno sempre fedelmente votato. I migliori cervelli, risolutamente esclusi e esiliati in Italia e all’estero, molti dei quali occupano oggi, come ieri, in ogni settore, importanti ruoli manageriali e scientifici in ogni settore.
La nostra città, lentamente, poi sempre più rapidamente, ha vissuto una sempre meno dorata mediocrità, finendo, forse per sempre, la sua corsa nel pantano di una mortale stagnazione. Alle lotte combattute per affermare la municipalizzazione dei servizi è subentrata la distruttiva teoria, applicata poi ad ogni livello, della privatizzazione del patrimonio e delle aziende, inventata per “fare andare avanti le cose”, ma rivelatasi subito come un gigantesco strumento di corruzione e speculazione a spese di una comunità sempre meno e male servita, soprattutto nei settori dei servizi: sanità, trasporti, ambiente, acqua, casa, scuola e tutto il resto. Una classe politica che non ha capito per tempo, ad esempio, come fosse suicida vivere di sole fabbriche a partecipazione statale, con le arrembanti teorie delle privatizzazioni globali. Sarebbe stato necessario cercare un’industrializzazione diversa come, ad esempio ha fatto Pisa, creando programmi e progetti, una gamma di offerte, mentre abbiamo solo visto realizzare in oltre quarant’anni, solo un insignificante “Picchianti”. Abbiamo conquistato i “mezzi di produzione” del Cantiere Navale e invece della passione di una indispensabile impegno operaio e la ricerca di autentici manager, si è costruito un altro pezzo della ragnatela complice e impenetrabile del regime, con i soliti mille piccoli e meno piccoli privilegi che hanno provocato un botto mortale alla fabbrica storica della città, aprendo la strada ad un Azimut Benetti che ha mantenuto nella bambagia i superstiti del Cantiere, facendo lavorare quasi esclusivamente imprese estranee alla città e, addirittura, rovinando il nostro sistema dei bacini, con l’aggiunta di una operazione immobiliare esclusivamente speculativa. Il porto ha subito la stessa sorte e, nonostante ci sia oggi un tentativo, gradissimo, fra l’altro, di un recupero, si va avanti con una battaglia interna che invece di sostenere gli interessi generali, mira esclusivamente all’interesse dei singoli e dei gruppi che si disputano ogni palmo della superficie portuale esistente, sempre gravemente insufficiente per le potenzialità del nostro scalo. Ad una partecipazione incredibile di portuali e privati alla ricostruzione del porto distrutto dalla guerra, si è passati al clientelismo tipico del “sistema” dominante.
L’incapacità, forse prodotta da una sottile complicità, ha portato anche ad un altro macroscopico danno economico alla città: il “lodo Fremura” che in consiglio comunale venne da me chiamato LODO Fremura. I Fremura avevano ragione, il prezzo dei terreni espropriati per costruire la nuova sede della Polizia di Stato in Coteto era sottostimato e vinsero la prima causa. Si trattava di pochi milioni di lire, ma il sindaco e la giunta ricorsero ed ebbe inizio una serie di giudizi che alla fine, con sentenza della Cassazione, divenne un debito di 70 milioni di euro. Cosa era andato storto? Chi aveva pervicacemente insistito nei ricorsi fino a rovinare le finanze della città? Nessuno, nemmeno la magistratura intervenne e così, per pagare il macroscopico debito, fu stipulato l’accordo che creava il “nuovo centro”, con la nuova coop, mille appartamenti, una serie di grandi magazzini, insomma, un affare economico macroscopico per parecchi soggetti, comprese coop immobiliari. Anche questo ha prodotto il partito al potere a Livorno. Ha governato la città oltre mezzo secolo, ma non ha risolto i problemi vitali per far si che Livorno continuasse ad essere quell’amalgama inimitabile che la fece diventare una tra le più importanti città cosmopolite del paese. Al contrario, le sue scelte ne hanno ridotto sensibilmente lo stesso welfare e, oggi, economicamente, i maggiori cespiti per la sopravvivenza vengono dal lavoro terziario che si sta riducendo sempre più vistosamente, dalle pensioni dei più vecchi e da quell’”arte di arrangiarsi” che ha, secondo me, sempre più caratteristiche meridionali.
Le ultime elezioni amministrative sono state un vero colpo di fulmine. Crollata l’egemonia del Pd, che dalle trasformazioni da Pci ad oggi ha anche vissuto, lo ripeto, su un fideismo acritico dei quartieri popolari, oltre che sulla fitta rete clientelare, ci si è trovati all’anno zero. Ha vinto il M5S, ma il dramma è che non ha vinto su una piattaforma politica e programmatica sostenuta da una autentica ed esperta passione politica, ma solo sul crollo dei consensi al Pd, ormai diventato strumento insopportabile di disgregazione della città. Una maggioranza che non è nata da un progetto politico perfettamente disegnato e da un sostegno popolare propositivo. Una maggioranza assoluta, ma spuria. Esperienze di vita diverse, posizioni culturali disomogenee, gli eletti hanno raggiunto la loro elezione in base alla cerchia delle conoscenze private e anche sociali, ma ognuno di essi con un proprio bagaglio intellettuale e sociale, probabilmente diverso l’uno dall’altro. Così gli assessori scelti sulla base di curricula, come per le assunzioni in azienda. Lo scollamento registrato in questi diciotto, venti mesi, è la dimostrazione lampante di quanto sto dicendo. Oggi per governare ad ogni livello non è sufficiente una patente di onestà e il ripudio della corruzione, fra l’altro elementi importantissimi nella situazione che viviamo. Per governare l’interesse della collettività è indispensabile una capacità di governo che non si può inventare lì per lì.
La stragrande maggioranza dei livornesi non voleva l’ospedale a Montenero ritenendolo giustamente uno spreco mortale di finanza pubblica e un enorme fornace di corruttela e clientelismo. Le parole impositive di Vaiani del CNA: “Dobbiamo realizzare l’ospedale per far lavorare le imprese”, nessuno ha mostrato di accorgersene, erano semplicemente una mostruosità. Costruirci un ospedale per avere un’assistenza basilare migliore, non per far lavorare le imprese. I cittadini vogliono che l’ospedale di viale Alfieri sia trasformato in una moderna efficiente struttura. Sono passati venti mesi e solo oggi, larvatamente, si sente mormorare di un qualche progetto non ancora ben definito. Questo status vale per tutto quanto riguarda la vita della nostra città. Cos’ha concluso Nogarin con i suoi paletti sul porto? Doveva sostenere con autorità la sua candidata e le idee da lei espresse con grande cognizione di causa ed esperienza ad alto livello internazionale… ha lentamente fatto cadere tutto, almeno allo stato delle cose.
Così l’Aamps. Il Pd ha consegnato alla nuova amministrazione un’azienda decotta e indebitata oltre ogni misura. La situazione andava si denunciata in sede anche penale, ma rispetto ad un’amministrazione fallimentare sospetta. L’Amministrazione doveva affrontare direttamente la situazione d’emergenza venutasi a creare. Intanto, forse, avrebbe dovuto per prima cosa assumere direttamente gli “operatori ecologici” liquidando Cooplat e chiedendo anche ai lavoratori un periodo di impegno straordinario, convocare i creditori, elaborare un programma realizzabile di recupero delle morosità, chiedere la più ampia convergenza su questo programma , non affidare il tutto al concordato, rischiando fra l’altro di mettere in crisi numerose piccole aziende dell’indotto. Questo comportamento vale per tutta l’attività di chi amministra una città o anche un governo centrale. (La stagnazione del paese nonostante i proclami trionfalistici di Renzi, ne è la dimostrazione).
Ma il problema è anche quello della passività ormai cronica dei nostri concittadini, diventati larve di quei livornesi che avevano la capacità di affrontare ogni questione e risolverla con impeto, intelligenza e incredibili capacità. Abbiamo lasciato governare un partito dalla liberazione ad oggi affidandogli la nostra sorte e permettendogli di portare LIvorno alla rovina. Non può bastare un voto per fare gli interessi della città. Il cittadino deve avere capacità propositive e di impegno, oltre che di controllo sempre vivace nei confronti di chi elegge, sostenendolo fortemente nelle sue giuste iniziative di sviluppo economico e del welfare e contestando le scelte sbagliate. Noi, in ben altre faccende affaccendati, non sviluppiamo questo ruolo e i nostri amministratori, soli, non sono diversi da noi e, lasciati soli… beh, povera città. Questo vale anche per l’opposizione schierata, urlante e populista, ma senza controproposte valide, mentre l’opposizione del Pd, beh, assumano l’umiltà di chi vuole ricominciare da capo e non quella di giudici degli attuali amministratori. E’ il loro partito la radice dei mali di questa città.