La lotta degli operai dell’Ilva di Genova costringe il governo a cercare un accordo. La cronaca del corteo e degli ultimi giorni di lotta.
Rosa Cella
Da Genova. Al terzo giorno di giorno e mobilitazione il governo cede alle pressioni dei lavoratori della Fiom e alle 13, mentre i rappresentanti sindacali sono dal prefetto Fiamma Spena, arriva la lettera con l’annuncio che al tavolo del 4 febbraio sarà presente il sottosegretario alla sviluppo economico Simona Vicari. L’annuncio fa tirare un sospiro di sollievo alla città ma soprattutto ai lavoratori Fiom da tre giorni in sciopero, con alle spalle la situazione pesante della solidarietà a rotazione (su 1630 operai la cassa interessa 700).
“Siamo soddisfatti – urla dal megafono Bruno Manganaro leader della Fiom genovese – ma questo è solo l’inizio, dobbiamo difendere l’accordo di programma. Il governo deve dirci con chiarezza cosa vuole fare e soprattutto deve rispettare l’accordo siglato nel 2005, siamo anche disponibili a rivederlo, ma non possono farne carta straccia”.
Mentre il corteo si scioglie e i lavoratori tornano in fabbrica, c’è la soddisfazione di avere portato a casa il risultato, di avere fatto cedere il governo. La mattina non era partita con i migliori auspici. Alle 7 il corteo era partito dallo stabilimento Ilva di Cornigliano, si era ingrossato in piazza Massena a Sestri Ponente ed era proseguito lungo il ponente dove via via si aggiungevano i lavoratori delle altre fabbriche metalmeccaniche, Ansaldo, Selex, Fincatieri, i lavoratori della Compagnia Unica e del porto. Unico momento di tensione si è registrato in lungomare Canepa quando la polizia non li vuole lasciare passare nel timore che occupino come ieri la Sopraelevata e il casello di Genova ovest. Due ore di stop poi il buon senso ha la meglio, racconta Palombo, rsu Ilva, polizia e lavoratori si accordano: i macchinari pesanti vengono lasciati lì e il corteo prosegue verso il centro.
Alle 13 sono circa duemila i lavoratori che marciano verso la prefettura, la rabbia è tanta, non si capisce perché il governo non fermi il braccio di ferro, il timore è che i giochi siano fatti, il governo sia pronto alla svendita dell’acciaieria, che si stia preparando per servire su un piatto d’argento la fabbrica ai possibili acquirenti. Nel frattempo in Senato si sta discutendo del decreto legge 191, quello che regolamenta la “cessione a soggetti provati dei complessi aziendali del Gruppo Ilva”.
Il primo round oggi lo vincono i lavoratori. Lo sciopero terminerà nel pomeriggio e già in serata saranno ripristinati i turni di lavoro. L’appuntamento è per il prossimo 4 febbraio, l’impressione è che il braccio di ferro di questi giorni sia stato anche un modo per dare un segnale al governo: questo potrebbe essere solo l’antipasto.
Martedi 26 gennaio. Resta alta la tensione all’Ilva di Cornigliano dove da ieri la Fiom ha occupato lo stabilimento e bloccato la produzione. Questa mattina nuovo corteo, questa volta diretto verso la Sopraelevata e l’imbocco dell’autostrada creando parecchio scompiglio in tutto il ponente genovese. L’attesa risposta da parte del governo tarda ad arrivare, in realtà dal governo ieri è arrivata solo la conferma che il tavolo ci sarà ma nessuna garanzia che sarà presente anche uno dei ministri, come invece richiesto dalla Fiom.
In città nonostante le code a cui molti cittadini sono costretti c’è comprensione per la lotta dei lavoratori dell’Ilva. Genova si sente abbandonata, quello che i lavoratori chiedono in fondo è solo di poter interloquire con un ministro, di non essere presi in giro, di vedere rispettato l’accordo di programma che, ricordiamo, garantiva ai lavoratori a fronte della chiusura della produzione a caldo, stesso reddito e lavoro. Sono passati dieci anni, i tempi sono cambiati, lo dicono gli stessi dirigenti sindacali, ma non si può calpestare la dignità dei lavoratori, “il governo deve sedersi al tavolo e discutere con noi”, ripete da 48 ore Manganaro, il leader della Fiom genovese. Quello che si teme, qui a Genova, è che in vista della procedura di vendita a cui il governo inizierà a lavorare dal 10 febbraio, si cerchi di “superare” l’accordo di programma per rendere più appetibile lo stabilimento. Ad ogni modo, i sindacati hanno già annunciato che se non arrivano notizie positive dal governo, domani mattina l’appuntamento sarà alle 8,30 in piazza Massena a Sestri Ponente e da lì si andrà verso il centro di Genova per arrivare in Prefettura.
Ma gli animi sono caldi anche in fabbrica, non tutti le sigle sindacali hanno aderito e ieri Fim e Uil non hanno mancato di farsi sentire. Duri i giudizi sui comportamenti della Fiom accusata di essere troppo dura con il governo e non collaborare facendo il male della fabbrica, secondo il segretario della Fim Alessandro Vella, più duro invece Antonio Apa della Fim, che bolla le scelte della Fiom come “inaccettabili intimidazioni nei confronti di altri lavoratori”.
Politicamente sono poche le voci che si sono alzate a difesa dei lavoratori: dalla regione timidamente hanno dichiarato il M5S e il PD, con più solerzia da parte di Sel e Rete a sinistra.
In tarda mattinata in Via Buozzi nella sede della comunità di accoglienza di San Benedetto al Porto è stato appeso uno striscione in solidarietà con i lavoratori dell’Ilva. “Sono stato in coda due ore questa mattina – racconta Megu Chionetti, portavoce della Comunità – ma ringrazio quanto stanno facendo i lavoratori dell’Ilva, perché riguarda tutti noi e la lotta che in queste ore stanno portando avanti riguarda la dignità del lavoro che ognuno di noi ha come diritto inalienabile, non si può lavorare ed essere poveri e essere resi poveri per troppi profitti altrui”.
Lunedì 25 gennaio. L’avevano annunciato e questa mattina è successo. Alle 7 le tute blu della Fiom hanno occupato lo stabilimento Ilva di Genova, fermato la produzione e poco dopo sono scesi in corteo con i mezzi meccanici lungo le strade di Cornigliano, sfilando per la prima volta lungo la strada a mare da poco inaugurata. Lo striscione dice chiaramente: “Pacta servanda sunt”, i patti vanno rispettati.
L’accusa della Fiom genovese al governo è che in vista della messa in vendita dell’Ilva ai privati, attesa per il prossimo 10 febbraio, voglia rimangiarsi l’accordo di programma firmato nel 2005 da governo, istituzioni locali e sindacati che garantiva, a fronte della chiusura della lavorazione a caldo e della restituzione alla città di 400mila metri quadri, continuità produttiva e di reddito. All’epoca della firma i lavoratori erano oltre 2000 mentre oggi sono circa 1700, dal primo di ottobre in regime di solidarietà a rotazione dopo che a settembre era scaduta la cassa integrazione.
All’orizzonte non c’è un piano industriale, denunciano da tempo, le organizzazioni sindacali, e quello su cui lo stabilimento genovese poteva puntare: la banda stagnata, sembra non rientrare nei piani del governo. Eppure quella doveva essere la strada per riportare di nuovo l’Ilva a essere produttiva.
La questione è propria questa. Il prossimo 4 febbraio a Roma ci sarà la convocazione da parte del governo con al centro Ilva, ma al tavolo non saranno presenti ministri. Armando Palombo della Fiom Cgil risponde che i lavoratori resteranno mobilitati finche non arriverà la convocazione ufficiale da parte del governo con la presenza al tavolo di un suo ministro. “Stanno prendendo in giro i lavoratori e la città, quello che vogliono e fare saltare l’accordo di programma”, dicono le tute blu. La mobilitazione è quindi confermata.
La posizione della Fiom non è però condivisa dalle altre sigle sindacali. Come già nei giorni precedenti Uim e Film non hanno aderito alla mobilitazione e la loro posizione è più morbida nei confronti del governo.
L’ultima volta che gli operai della Fiom erano usciti con i mezzi meccanici era stato nel luglio del 2014 quando erano arrivati fino in centro città per chiedere che venissero pagati stipendi e quattordicesime. Poco dopo arrivò la conferma da parte del commissario Gnudi.