Nella metà degli anni ’90 Robbie Fowler era giovane, ricco e famoso. Ma quando venne il momento di scegliere, decise di non rinnegare le sue origini
Di Carlo Perigli
A volte c’è bisogno di scegliere, tra quello che sei e quello che vorrebbero tu fossi. Tra il mondo in cui vieni e quello in cui sei approdato. Tra Toxteth, sobborgo di Liverpool dove crescere in fretta assume di norma i caratteri della necessità, e il calcio patinato, quello delle copertine e dei grandi marchi, dello show business in cui, se vuoi esserci, non devi mai uscire dal seminato. Robbie Fowler lo sa, se non fosse stato per quel dono casualmente concessogli da madre natura, quella vita da sogno non sarebbe mai stata la sua. È giovane, ricco e con una passione smodata per le donne e per i club, vizi che coltiva assiduamente insieme al suo amico di sempre, a quel Steve McManaman che da una vita condivide con lui lo spogliatoio, il prato di Anfield e la vista dell’alba dopo una notte non proprio degna di un calciatore professionista.
Si gode il successo, piovutogli addosso grazie a quei novanta gol realizzati in una carriera che nel 1997 è anagraficamente appena iniziata, e a quel mare di sterline che mai avrebbe pensato di guadagnare. Ma per tutti è sempre Robbie, quel ragazzo scapestrato e sognatore, simpatica canaglia che inseguiva un pallone per le vie del quartiere. Genuino, semplice, a volte anche sfrontato e inopportuno, ma tuttavia ancora immune dalla plastificazione di quel mondo che si sta gradualmente svendendo a magnati e pay tv. Per questo la Kop lo ha eletto a suo idolo incontrastato. Perchè “God”, come lo chiamano da quelle parti, è uno di loro, un ragazzo pieno di pregi e di difetti come tanti, uno che puoi incontrare al bar dopo il lavoro e farci una chiacchierata davanti ad un bel boccale di birra.
Perchè le pubblicità, le feste mondane e l’eleganza dei completini alla moda non gli hanno fatto dimenticare le sue origini, le difficoltà vissute in una Toxteth ferita dai pregiudizi e massacrata da quella macelleria sociale che negli anni ’80 prese il nome di “Thatcherismo“. Robbie Fowler è fortunato, altrimenti quel 20 marzo 1997 non si troverebbe nello spogliatoio di Anfield, in attesa di giocare il ritorno di Coppa delle Coppe contro il Brann. Forse sarebbe sugli spalti, nonostante le origini “Toffees”, o forse starebbe giocando una partita molto più importante, che dura da anni e coinvolge la vita di centinaia di persone.
Una battaglia iniziata il 28 settembre 1995, quando la Mersey Docks and Harbour Company ha licenziato in tronco oltre 500 portuali, “colpevoli” di essersi uniti ad un picchetto organizzato in solidarietà con i cinquanta colleghi di Torside, messi alla porta per essersi opposti ai nuovi contratti di lavoro proposti/imposti dall’azienda. Accordi moderni, innovativi, flessibili, come si direbbe oggi, nei quali non c’è spazio per concetti ormai “obsoleti” come orario di lavoro e minimo sindacale. Dai piani alti della società, nessun intervento. Non si muove, ma figuriamoci, il governo conservatore, erede di quella Thatcher che impedì per legge agli operai di solidarizzare con i loro colleghi. Ma a sostegno dei dockers non arriva neanche l’esecutivo formato successivamente dal “New Labour” di Tony Blair, che dopo i toni battaglieri della campagna elettorale inizierà a scoprirsi gradualmente sempre più “new” e sempre meno “labour”.
L’azienda, dal canto suo, tira dritto e annuncia nuove assunzioni, con salari più bassi e contratti a termine. Inizierà uno scontro durissimo, 850 giorni nel corso dei quali i lavoratori di Liverpool riceveranno la solidarietà da parte dei colleghi di ogni parte del mondo, che a più riprese incroceranno le braccia bloccando interi paesi. In soccorso dei Dockers arriveranno Ken Loach, Jimmy McGovern e Irwine Welsh, che sulla battaglia realizzeranno dei lungometraggi, mentre gli Oasis, figli di una città operaia come Manchester, organizzeranno concerti di beneficenza, e i Chumbawamba attaccheranno frontalmente il partito del premier Blair. «Il New Labour ha venduto i portuali – cantava la band nella versione “rivista” di Tubthumping – e allo stesso modo venderà tutti noi».
E poi c’è la Kop, il terreno dove il Liverpool e i Dockers trovano la più perfetta della sintesi. Operai, portuali, precari e disoccupati, sono tutti lì, come sempre, ma questa volta sono loro ad aver bisogno del sostegno della squadra. Fowler lo sa, e ha deciso di dire la sua. Per questo, tramite lo zio dell’onnipresente McManaman, si è fatto mandare due magliette, per dimostrare in eurovisione la loro solidarietà alla causa. Rosse, e ci mancherebbe, con il logo che scimmiotta quello della Calvin Klein. Ma il messaggio è inequivocabile: “500 Liverpool dockers, sacked since september” – “500 portuali di Liverpool, licenziati da settembre“.
Macca, così veniva chiamato McManaman ai tempi del LIverpool, cerca di assicurarsi che Fowler non faccia casini. «Mi raccomando – gli dice l’esterno – tieni la maglietta sotto e non farla vedere se segni. Quando poi ci scambieremo le casacche con gli avversari e andremo sotto la Kop, la scritta sarà visibile, e il messaggio arriverà ugualmente». Già, perchè a fine partita le telecamere indugiano meno sui particolari, mentre quando realizzi un gol sei il protagonista, e di certo scoppierebbe una bufera. Fowler annuisce, sembra comprendere che con il clima politico che avvolge la questione, seguire le indicazioni di Macca sia la scelta migliore. Sembra, appunto.
Perchè Robbie Fowler non ha mai fatto niente controvoglia. La sua è una vita interamente vissuta sul filo del rasoio, un equilibrista che si muove costantemente tra l’ultimo difensore e il portiere avversario, tra la pinta del tardo pomeriggio e il mal di testa del giorno dopo. Ma il politically correct, di quello veramente non ne vuole sentir parlare, non quando ci sono in gioco le vite della sua gente e delle loro famiglie. Da quando la vertenza è iniziata, sia lui che McManaman sostengono economicamente i lavoratori in difficoltà, senza dire niente a nessuno. Ma qui c’è da fare una scelta: prendere una posizione chiara davanti a milioni di persone, o accettare di non appartenere più a quel mondo che l’ha nato e cresciuto. All’inizio sembra seguire il consiglio di McManaman; al 20′ segna su rigore ma esulta normalmente. Forse non se la sente, forse ha paura che lo scandalo possa distruggere quel sogno che sta realizzando. A tredici minuti dalla fine però la ributta dentro per il 3-0 del Liverpool. A quel punto non pensa più, corre verso la curva e alza la casacca del Liverpool. Lui guarda la Kop, e tutti guardano lui. Stende la maglietta, affinchè nessuno possa ignorare quel messaggio, affinchè tutti sappiano che il ragazzo di Toxteth non è cambiato di una virgola, e che della multa che arriverà dall’Uefa non gliene può fregare di meno. Perchè quando c’è da prendere una decisione, Robbie da Liverpool non si fa comandare da nessuno. Sceglie con il cuore, che batte con forza e costanza per la sua gente. Dalla parte giusta.
Tratto da Robbie Fowler, dalla parte giusta
regan,tatcher, berlusca tutti della medesima risma, la tatcher non era figlia del popolo come vogliono farci credere, ma figlia di un borghesissimo droghiere – salumiere e non bisogna dimenticare la sua frase “pinochet, bene ha impedito al comunismo di entrare nel cile”no pasaran