Due attentati non rivendicati in Turchia. Minacce indirette alla Russia. Continua la campagna in funzione anti-curda del presidente Erdoğan. A Sur si rischia un altro massacro
di Giampaolo Martinotti
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Gli attentati
Giovedì 18 febbraio la deflagrazione di un ordigno a distanza ha investito e ucciso alcuni soldati turchi sulla strada che collega Diyarbakir al distretto di Lime, nel sudest del paese, mentre il giorno prima ad Ankara un’autobomba lanciata contro un convoglio militare ha provocato una trentina di morti e più di 50 feriti non lontano dal parlamento. Sono stati effettuati una quindicina di arresti, mentre l’attentatore suicida, morto nell’esplosione, si chiamerebbe Salih Necar e sarebbe un cittadino siriano.
Le accuse
Questi i fatti che, nella quasi assoluta mancanza di prove, hanno spinto il premier turco Ahmet Davutoglu ad accusare con tanta sicurezza il PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, dichiarando che il kamikaze farebbe senz’altro parte delle Ypg, le unità di protezione popolare attive nel Rojava e legate al PYD, il Partito curdo dell’Unione Democratica. Non sono mancate parole d’accusa anche nei confronti del regime siriano, al quale secondo il premier le Ypg sarebbero legate, e indirettamente contro la Russia che lo sostiene. Da parte loro sia il PKK che il PYD hanno smentito ogni tipo di coinvolgimento nelle azioni condannando con fermezza gli attacchi ai civili.
La risposta di Ankara
Poche ore dopo i presunti attentati, che peraltro non sono ancora stati rivendicati, l’esercito del presidente Recep Tayyip Erdoğan, per non perdere tempo, stava già bombardando per l’ennesima volta le postazioni del PKK nel nord dell’Iraq e al confine con la Siria uccidendo decine e decine di combattenti, mentre il governo da un lato ordinava di interrompere immediatamente la diffusione di notizie sugli attentati, censurando ogni immagine e imponendo alla stampa di attenersi esclusivamente ai “comunicati ufficiali”, e dall’altro chiedeva alle forze internazionali di unirsi alla Turchia nella lotta al “terrorismo”.
Guerra ai curdi
Dall’estate scorsa infatti il presidente Erdoğan, approfittando dell’instabilità e del caos creati dalla guerra civile siriana, ha voluto rinnovare le ostilità contro il popolo curdo lanciando una campagna militare fatta di repressione e violenza a tutto campo. L’ultima strage risale a domenica 9 febbraio: le forze di sicurezza turche hanno massacrato più di 100 civili a Cizre, cittadina turca in stato d’assedio da settembre. In questo momento a Sur circa 200 persone sarebbero nascoste e bloccate in alcuni seminterrati e sotterranei per rifugiarsi dai bombardamenti dell’esercito turco, e potrebbero essere vittime di atroci dinamiche analoghe a quelle avvenute proprio a Cizre. L’artiglieria pesante, i carri armati e i radi aerei di Erdoğan hanno ucciso finora più di 600 civili dall’inizio delle violenze, mentre i soldati del regime si sono resi protagonisti di atrocità immani, tra esecuzioni, arresti arbitrari, saccheggi, perquisizioni brutali e abusi d’ogni sorta.
Strategia della tensione
Non è la prima volta che alcune bombe esplodono in corrispondenza di momenti cruciali nei piani di Erdoğan sia all’interno della regione che del conflitto turco-curdo. I fatti di Cizre hanno fatto levare un velo di critiche, seppur gravemente lieve, nei confronti della Turchia, mentre proprio nei giorni scorsi più di cento deputati del parlamento europeo hanno avviato una raccolta firme per chiedere la rimozione del PKK dalla lista europea delle organizzazioni terroristiche. In questo contesto gli attentati sarebbero una ottima giustificazione per continuare la campagna repressiva contro il popolo curdo all’interno della Turchia e all’esterno, legittimando peraltro agli occhi degli Stati Uniti un maggiore ingaggio dell’esercito turco in territorio siriano.
Il silenzio dell’Europa
Manifestazioni di solidarietà con il popolo curdo continuano ad essere organizzate in tutto il continente ma l’Europa ufficialmente tace, in particolare dopo l’accordo che nei mesi scorsi la accomuna al governo di Ankara nel contrasto ai flussi migratori. La prima tranche da 3 miliardi di euro del finanziamento che rende la Turchia una grande prigione a cielo aperto per profughi e rifugiati, rappresenta il vergognoso prezzo che l’Unione si è auto-imposta per chiudere gli occhi davanti all’insopportabile ferocia del regime turco nei confronti della popolazione civile e dell’opposizione politica filo-curda. Il nulla osta accordato a Erdoğan dall’ottusità dei leader europei alimenta giorno dopo giorno la pericolosissima strategia turca, facendo oltretutto aumentare il vergognoso numero delle vittime innocenti. Non comprendere l’importanza che il popolo curdo ricopre all’interno della lotta sociale e politica in Medio Oriente, e non riconoscere il suo ruolo fondamentale nel contrasto all’ISIS, avrà conseguenze catastrofiche che non saranno esclusivamente circoscritte alla regione.