Strage di civili in Siria anche dopo la farsa di Monaco dove USA e Russia cercano un accordo “provvisorio”. La Turchia continua i suoi attacchi alle unità curde. L’Arabia Saudita minaccia l’intervento
di Giampaolo Martinotti
Il bilancio delle vittime dei più gravi attentati dall’inizio della guerra è pesantissimo. I morti sono almeno 200, mentre i feriti si contano a centinaia. Le esplosioni a catena che domenica scorsa hanno colpito la capitale e la città di Homs, investendone la popolazione, versano altro sangue inerme nel pentolone in ebollizione rappresentato da una Siria devastata. I civili, bersaglio ormai rituale della violenza jihadista e della barbarie del regime che li reprime, sono gli involontari protagonisti di una catastrofe che pare senza fine, a discapito delle potenze internazionali coinvolte nella menzogna di un processo diplomatico ambiguo e inconcludente.
All’Onu il segretario di Stato americano John Kerry e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov avrebbero raggiunto un’intesa sull’applicazione di un cessate il fuoco provvisorio, ma dopo la recente disfatta degli accordi di Monaco, che a detta del braccio destro di Obama avevano “il potenziale di cambiare la vita quotidiana dei siriani”, queste ennesime dichiarazioni hanno la valenza di un misero palliativo che non potrà agire sull’immenso dolore di un popolo che continua a morire. Nascondere l’evidente mancanza di una strategia comune da parte degli svariati “interlocutori” che siedono al tavolo degli pseudo negoziati allontana le possibilità di una risoluzione stabile della drammatica crisi siriana.
Vladimir Putin, come il governo americano, ha scommesso molto sull’avventura mediorientale e la campagna militare di Mosca non ha mai avuto come obiettivo esclusivo quello di preservare il regime dell’alleato Bashar al Assad. Lo Zar è senz’altro favorevole nel mantenere la figura di Assad alla guida della “stabilizzazione” del paese alla conclusione della guerra ma il suo sforzo bellico, con bombardamenti che, in linea con la tradizione statunitense nella regione e altrove, hanno travolto in alcuni casi scuole e ospedali, punta al definitivo rilancio globale di una Russia fortemente colpita dal vorticoso calo del prezzo del petrolio. In questo momento, con le autobombe che scoppiano nei distretti controllati dal regime, l’offensiva in direzione di Aleppo delle forze governative, supportate dall’aviazione russa, non sembra certo favorire una tregua imminente, seppur provvisoria.
Nel contempo, approfittando del caos siriano, la Turchia porta avanti la sua guerra in funzione anti-curda, imponendo un coprifuoco aberrante da Cizre a Sur, massacrando la popolazione civile e indebolendo con ripetuti attacchi la resistenza dei combattenti del PKK e delle Ypg/Ypj, le unità di protezione popolare curde, impegnati nel contrastare l’avanzata degli islamisti di Daesh dopo aver liberato in precedenza ampie fette di territorio nel nord della Siria. E mentre il vice presidente americano Joe Biden, in compagnia del presidente turco Erdoğan, dichiara che “non c’è alcuna differenza tra l’ISIS, il PKK e al-Nusra”, e l’Arabia Saudita minaccia un suo – improbabile –intervento diretto nei confronti del regime di Assad, l’Europa tace e si prepara già alla prossima guerra in Libia dopo le prime bombe sganciate dai droni Usa partiti dalla base militare italiana di Sigonella.
In questo contesto, aumenta nella regione l’emergenza umanitaria di una popolazione civile costantemente presa di mira e ormai letteralmente martoriata da un conflitto che si trascina dal marzo del 2011. Le immagini del video aereo che mostra la devastazione della città di Homs fanno rabbrividire, al pari dei dati forniti dal Syrian Centre for Policy Research sulla catastrofe umana dall’inizio del conflitto: 470mila morti, 1,9 milioni di feriti – tra morti e feriti l’11,5% della popolazione è stata colpita, 6,3 milioni di sfollati – il 45% della popolazione, 4 milioni di profughi, povertà cresciuta dell’85% nell’ultimo anno, aspettativa di vita passata dai 70 ai 55 anni, perdite economiche equivalenti a 225 miliardi di euro. La fallimentare e pericolosa strategia della comunità internazionale alimenta ulteriormente il ribollire del pentolone siriano e, come già in passato, il risultato potrebbe essere una pietanza macabra assolutamente insopportabile.