Mancano poche ore alla scarcerazione di Arnaldo Otegi. Il 5 marzo manifestazione dei militanti della sinistra basca con il leader abertzale parli dal palco
di Enrico Baldin
Mancano poche ore alla scarcerazione di Arnaldo Otegi dal carcere di Logrono, nel quale era detenuto da quasi sei anni e mezzo in seguito alla condanna in via definitiva subita per il cosiddetto “caso Bataragune”. Una scarcerazione è stata anticipata rispetto al termine inizialmente fissato del 28 marzo. Otegi è atteso nel suo paese natale di Elgoibar – in Gipuzkoa – per il primo di marzo, e per l’occasione verrà preparata una sorta di festa pubblica per il suo ritorno. Il 5 marzo invece, al velodromo “Anoeta” di Donostia, si terrà una manifestazione in cui verranno chiamati a raccolta i militanti della sinistra basca e si attende che il 58enne leader abertzale parli dal palco.
La notizia dell’imminente scadenza dei termini di detenzione di Arnaldo Otegi è stata accompagnato da polemiche che nei Paesi Baschi paiono avere perennemente soggiorno, riguardanti quel confine – in Euskal Herria così labile – tra libertà di esercizio politico e limitazione legale ed istituzionale. Solo pochi giorni fa Carlos Urquijo, delegato del governo spagnolo nella CAV (Comunità Autonoma Basca), aveva chiesto di vietare la manifestazione prevista per il 5 marzo a Donostia, in cui verrà salutata la liberazione di Otegi. Secondo il delegato del governo in quella occasione potrebbe configurarsi il reato di propaganda al terrorismo, per quel teorema secondo cui tutto ciò che succede a sinistra in terra basca, ha strettamente a che vedere con ETA. La stessa richiesta fatta da Urquijo è pervenuta dall’associazione delle vittime di ETA, mentre la Audiencia Nacional ha fatto sapere che vigilerà sulla manifestazione. Preoccupazione poi è stata espressa da diversi rappresentanti del Partido Popular e non solo, secondo i quali Otegi «Non può pretendere di presentarsi come uomo di pace».
Piaccia o meno, la campagna internazionale Free Otegi che negli ultimi mesi aveva chiesto la liberazione del leader abertzale e degli altri condannati per il caso Bataragune, aveva raccolto attorno a sé personalità internazionali di spicco del mondo del pacifismo, a partire dai premi Nobel per la pace Desmond Tutu, Adolfo Perez Esquivel, Maired Maguire, oltre agli ex presidenti di Uruguay (Mujica), Paraguay (Lugo) e Honduras (Zelaya). A fianco a loro il premio Pulitzer Alice Walker, il regista Tariq Alì, Angela Davis, Noam Chomsky e un esercito di personalità della politica, dell’arte, della cultura, del giornalismo e dello sport dai Paesi Baschi e dalla Spagna. Lo stesso Arnaldo Otegi nel 2013 conseguì il premio Guernica per la pace e la riconciliazione in compartecipazione col socialista Eguiguren, con la motivazione del suo “apporto al conseguimento della pace in Euskal Herria”.
Otegi ha passato una bella fetta della sua vita in carcere, dapprima per reati legati alla sua attività clandestina con ETA, in seguito per fatti o più spesso per prese di posizione legate alla sua attività politica col partito Batasuna del quale è stato anche parlamentare basco e dirigente di spicco. Otegi venne pure condannato ad un anno per aver dichiarato – a seguito della visita in Bizkaya del re Juan Carlos – che il re riesce a mantenere il regime monarchico solo attraverso la tortura. Su questo intervenne il Tribunale Europeo dei diritti umani che obbligò la Spagna a risarcire Otegi per aver violato il suo diritto d’opinione. Fino al caso Bataragune, quando con altri imputati – parte dei quali scarcerati l’anno scorso – subì la condanna per aver tentato di ricostruire il disciolto partito Batasuna, che una legge liberticida del governo Aznar del 2003, aveva sciolto.
In carcere dal 2010 Otegi studia inglese, scrive e interviene sulla politica. Diviene anche il segretario del partito Sortu – tra i componenti della coalizione della sinistra basca EH Bildu – e nel frattempo, come avvenuto per il Patto de Estrella nel 1998, cerca di farsi promotore di un processo di pace che porti al silenzio delle armi in Euskal Herria, allo stop delle violazioni dei diritti umani nelle carceri basche e spagnole, e ad un percorso democratico consultivo per il “diritto a decidere” sull’indipendenza o meno del popolo basco.
Se da un lato ETA da diversi anni ha smesso di sparare e ha smantellato il suo arsenale, dall’altro non c’è stato nessun passo avanti né sul fronte del cammino per l’indipendenza, né per quanto concerne il rispetto dei diritti umani, spesso contravvenuti – come menzionato in un rapporto di Amnesty International – nelle carceri spagnole, in cui la tortura non è fatto sporadico. Il processo di pace è partito in modo unilaterale e, retto su una sola gamba, è rimasto finora zoppo. Arnaldo Otegi, che dopo l’attentato con cui ETA pose fine alle trattative col governo Zapatero prese le distanze dall’organizzazione armata, è ritenuto il principale attore del definitivo cessate il fuoco dell’organizzazione con l’ascia e il serpente.
Le sue carcerazioni per reati d’opinione, la reiterazione di Madrid nel non accettare la sinistra basca come interlocutore politico, hanno trasformato Otegi in una vittima (per qualcuno anche in un eroe) della persecuzione giudiziaria che si accanisce contro tutto ciò che in Euskal Herria parli di giustizia sociale e indipendenza. L’impegno di Otegi per far uscire Euskal Herria dalla spirale di violenza che ha spezzato centinaia di vite, lo hanno consegnato a una parte dell’opinione pubblica come il Mandela basco. E anche se la parola “fine” appare lontana, che in Euskal Herria possa finire come finì in Sudafrica o in Irlanda, se lo augurano in molti.