All’università di Roma Tre, a partire dal suprematismo bianco in Usa, l’attivista afroamericana dice la sua sulle lotte per i diritti dal locale al globale
di Sergio Braga
La prima volta a Roma di Angela Y. Davis, storica attivista afroamericana per i diritti civili, è stata salutata il 14 marzo da un bagno di folla che l’ha accolta nell’Aula Magna di Lettere Filosofie Lingue dell’Università di Roma Tre: centinaia di persone, posti in piedi. Al dibattito con la Davis, introdotto dal Rettore di Roma Tre Mario Panizza, hanno partecipato Luciana Castellina, il germanista Marino Freschi, il filosofo Giacomo Marramao – direttore della Scuola di lettere Filosofia Lingue di Roma Tre e docente di filosofia politica e di filosofia teoretica – l’americanista Daniela Rossini –studiosa dei movimenti femministi ed anti segregazionisti statunitensi – ed i giornalisti e saggisti Antonio Gnoli e Marco D’Eramo. Un panel decisamente stimolante per accogliere un’intellettuale d’oltre oceano, anche se di formazione profondamente europea – la Davis è legata alla scuola di Francoforte, dove ha studiato Theodor Adorno e lavorato con Herbert Marcuse, apprendendo dal primi il rigore intellettuale e dal secondo l’impegno civile – che ha segnato un’epoca e ha mosso, anche in questa occasione, persone di ogni età arrivate qui per ascoltarla. L’occasione del “chi siamo” di chi lotta è stato appunto il dibattito”The meaning of white supremacy today”, ovvero Il significato della supremazia bianca oggi, promosso dal terzo ateneo romano.
Del resto, l’occasione era da non mancare, perché la voce della Davis, ancora attuale e viva (in grande forma), è testimonianza e narrazione di un passato e di un presente di lotte per i diritti individuali e collettivi che sono il nostro Dna e per cui combattiamo ancora oggi.
Quelle visioni di ieri, di cui Angela è tuttora protagonista, hanno infatti vaticinato buona parte delle sfide che oggi che viviamo e lottiamo nel contesto di un mondo prevalentemente neo-conservatore, anti-liberale e di riflusso.
Un filo rosso lega le lotte di allora a quelle di oggi, che vogliono emergere per discutere una visione “altra” di questo pianeta, che dia una voce, diritti ed opportunità a tutti. Non solo a pochi. Un fronte, quello contro la supremazia bianca, di cui è stata protagonista proprio lei, Angela Y. Davis, e che è lo spunto per parlare delle lotte di oggi e di quelle di domani per riprendere il pianeta da chi lo domina e restituirlo a chi lo abita. Dell’intervento della Davis, di cui abbiamo le registrazioni integrali in inglese che stiamo sbobinando per offrile quanto prima ai nostri lettori, offriamo qui in sintesi qualche anticipazione.
Lotte: dal femminismo alla giustizia sociale, economica ed ambientale.
L’intervento della Davis è dedicato in buona parte al tema della segregazione razziale, al centro dell’incontro, e di cui fa una profonda disamina a partire dalla storia delle lotte contro il segregazionismo, iniziata ormai oltre 2 secoli fa, per arrivare fino all’attualità, quella delle discriminazioni nei confronti degli afroamericani, della loro espulsione forzata dai centri delle città verso le periferie ed i sobborghi, dei ghetti che tuttora esistono – in cui spesso le condizioni di vita, nel Paese più ricco del pianeta, ricordano quelle terzo mondo quanto a povertà, degrado sociale e condizioni igienico sanitarie – delle violenze indiscriminate di una polizia in delirio d’onnipotenza e sempre più militarizzata. Fatti che indicano come la questione razziale negli Stati Uniti sia ben lontana dall’essere risolta.
Ci sono però alcuni aspetti positivi che testimoniano un clima che lentamente cambia. Come la liberazione di Nelson Mandela e la fine del segregazionismo sudafricano ed un processo di riconciliazione tra le due anime del paese, l’elezione per due mandati di Barack Obama, primo afroamericano alla casa bianca, o la crescita e la diffusione del movimento Black Live Matter, che coinvolge molti bianchi nelle lotte per i diritti degli afroamericani. Un intervento, quella della Davis che è la sintesi di un’esperienza di vita e di lotta per i diritti umani, passata anche per un periodo di detenzione di 2 anni con l’accusa di terrorismo che mobilitò intellettuali di tutto il mondo per la sua liberazione, alcuni dei quali, tra cui Luciana Castellina, in sala, pubblicamente ringraziati per il loro impegno di 45 anni fa. Inevitabili, poi, le considerazioni sugli eccessi razzisti della primarie repubblicane per le Presidenziale Usa 2016, che secondo la Davis, piuttosto che rappresentare una vera e propria minaccia, sono il segno della crisi del Gop e del suo radicamento tra i suprematisti bianchi, anch’essi orma in difficoltà in una società che sta profondamente cambiando. Su i muri contro i migranti in Europa, poi, sottolinea come il vecchio continente paghi sul lungo periodo le colpe della sua parabola colonialista , fenomeno alla cui base sono le teorie razziste partorite dalla cultura europea per giustificare la propria supremazia globale, a cui si richiama lo stesso suprematismo bianco. Insomma la crisi di oggi è una sorta di redde rationem per colpe del passato anche recente – neocolonialismo e spartizione del globo in aree d’interesse geopolitico – che non siamo stati in grado di cancellare con adeguate azioni risarcitorie nei confronti dei popoli che abbiamo depredato per sostenere il nostro sviluppo economico e che ancora oggi abbiamo la tentazione di tenere a guinzaglio per impedirne la completa autodeterminazione.
Dal femminismo alle differenze di genere
Per la Davis è inevitabile, anzi obbligatorio, un lungo passaggio sulla condizione femminile, il femminismo, per arrivare infine al genere, tema di grande attualità nel nostro paese.
Il femminismo “bianco” e quello afroamericano, evidenzia Angela Davis sollecitata dalla domanda di Daniela Rossini, hanno avuto, ed in parte hanno ancora, confini e visioni differenti. Se da una parte, infatti, le eredi del suffragismo democratico anglosassone non hanno remore a coordinarsi con le femministe “suprematiste” bianche del sud, a partire dal tema del gender pay gap – la differenza degli stipendi tra professionisti uomini e donne – o dell’oppressione della famiglia patriarcale, hanno però difficoltà a dialogare con le femministe afroamericane, portatrici di ulteriori istanze di emancipazione che mettono in discussione molti dei capisaldi sociali e culturali dei wasp. Questa mancanza di dialogo tra fronti comuni si replica, in modi differenti, secondo la Davis, anche tra le altre comunità, latine ed asiatiche soprattutto, che hanno a che fare anch’esse con il retaggio di culture maschiliste e patriarcali e vivono tuttora un pesantissimo gender gap che condiziona alla base, a partire dai livelli d’istruzione, progetti di vita e di emancipazione individuale delle donne. L’incapacità di fare un fronte unico, anche in questo caso condiziona fortemente il raggiungimento di una reale parità di genere per tutte le donne. Anche nella cultura di genere, rileva la Davis, è opportuno non parlare di una sola comunità Lgbt, ma di comunità Lgbt plurali che spesso vivono e conducono le proprie lotte separatamente e con modalità certe volte quasi concorrenti. Inevitabile anche il suo parere, sebbene implicito, sulla candidatura di Hillary Clinton che potrebbe divenire la prima Presidente donna degli Stati Uniti, cui chiude con un elegante “ci sono donne che non voterei mai”. Pur riconoscendo, però, che l’ex First Lady – rispetto all’altro candidato democratico Bernie Sanders, socialista, già senatore del bianco Vermont anche se newyorkese di nascita – ha incassato l’endorsment dei leader della comunità afroamericana e di quelli di altre minoranze, e potrebbe, grazie alla sua popolarità, raggiungere importanti risultati nella effettiva promozione dei diritti civili negli Usa.
La lotta globale per i diritti umani ed un futuro sostenibile
Le altre domande del panel, poi, hanno consentito alla Davis di spaziare su differenti argomenti di portata globale. Come lo sfruttamento e l’accesso non non equo delle risorse, il cambiamento climatico, lo sviluppo sostenibile, la globalizzazione. Un fenomeno, quest’ultimo, che descrive, da una parte, come una minaccia e la madre di tutte le battaglie e, dall’altra, come un’opportunità di unione di tutte le lotte verso obiettivi comuni, condivisi, collettivi, globali. Emerge la necessità di fare lotte frammentate e, talvolta, concorrenti, un corpo unico e dialogante. Ovvero, comprendere tutte le differenze ed identità in un unico disegno di lotta comune. L’esperienza c’insegna, dice la Davis, che le divisioni possono essere superate solo se uniti, sfidando apertamente chi divide. Questo vale anche per il livello locale, che può trovare inedite alleanze globali, contro fenomeni come la gentrification e i gentrifier, la globalizzazione ed i partiti dell’Ogm e del glisofato che vogliono omologare le produzioni ed i consumi degli alimenti in favore della quantità contro la salute e la qualità del cibo e a discapito di modelli locali e globali di sviluppo sviluppo sostenibile che le emergenze climatiche e le loro conseguenze politiche, economiche e sociali, anche in termini di flussi migratori, sono invece necessari ed urgenti. Bisogna, infine, guardare al passato per capire il futuro, dice la Davis e rivalutare la potenza visionaria di Carl Marx, caduta in disgrazia con l’avvento del neoliberismo, e nel cui pensiero si possono rinvenire sia i presagi del disastro attuale che i semi per la costruzione di una società più equa, giusta e sostenibile.