Massiccia risposta alla consultazione pubblica avviata dal sito del ministero della Giustizia. Le maggiori proposte arrivano dalle comunità e dalle associazioni del mondo cattolico e riguardano le misure alternative
ROMA – Quando il carcere chiama, il volontariato c’è. Se non basta la consistente presenza quotidiana negli istituti di pena italiani, a dimostrarlo arriva la significativa risposta alla consultazione pubblica avviata dal sito del Ministero della giustizia come percorso conclusivo degli Stati generali sull’esecuzione penale: la rivoluzione culturale voluta dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, per disegnare il nuovo volto del carcere e sottrarre l’Italia alla zona d’ombra delle maglie nere europee.
La consultazione si è conclusa sabato scorso ed era stata lanciata subito dopo la pubblicazione dei report finali che raccontano il lavoro di ricerca svolto in 7 mesi dai 200 esperti chiamati a raccolta per sviscerare le diverse anime della detenzione: dalla sanità al trattamento dei detenuti, dal lavoro ai minori, dalle donne alle dipendenze, dalla cultura agli affetti, all’architettura.
Una notevole opera di approfondimento che in queste settimane il comitato scientifico, coordinato da Glauco Giostra (università Sapienza), sta sintetizzando nel documento conclusivo che verrà presentato durante la cerimonia programmata per metà aprile alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
L’ambiziosa scommessa del ministro e di quanti in questi mesi hanno lavorato ai Tavoli è che attraverso gli Stati generali sui temi del carcere “si apra un dibattito che coinvolga l’opinione pubblica e la società italiana nel suo complesso, dal mondo dell’economia, a quello della produzione artistica, culturale, professionale”.
La risposta è arrivata puntuale dal mondo del volontariato e vede protagoniste le associazioni e le comunità terapeutiche e non, che in base alla propria esperienza e alla luce dei risultati arrivati dai Tavoli hanno avanzato proposte e possibili soluzioni alle criticità rilevate nel sistema dell’esecuzione penale.
La necessità di un ricorso molto più significativo alle misure alternative al carcere è trasversale e abbraccia l’orientamento della maggior parte dei Tavoli. Ne consegue una ricerca continua di strutture che possano accogliere i detenuti destinati a scontare parte della pena fuori dagli istituti.
Da qui le proposte, che provengono soprattutto dalle comunità degli ambienti cattolici, già fortemente impegnate nelle carceri italiane. Proposte articolate e puntuali che ora sono al vaglio degli esperti. Insieme ai contributi sono arrivati anche gli appunti: il più ricorrente lamenta “il parziale coinvolgimento del volontariato nel lavoro dei Tavoli”. Mentre gli stessi Tavoli hanno ribadito l’importanza e il valore dell’opera gratuita.
Proprio al contributo che arriva dal mondo delle associazioni, il Tavolo 7 (“Stranieri ed esecuzione penale”) ha dedicato una sezione specifica.
“Il valore del contributo di associazioni di volontari per lo svolgimento di attività e per l’accompagnamento dei detenuti nel processo di risocializzazione è previsto nell’Ordinamento penitenziario – spiegano gli esperti – ed è stato sempre più riconosciuto nell’esperienza di questi anni, in cui la presenza fattiva del volontariato si è affermata come uno degli elementi più vitali della società civile italiana. I volontari sono uno degli strumenti principali per la realizzazione di quei “contatti con il mondo esterno” che, soprattutto in previsione del fine pena, l’Ordinamento indica come elemento centrale del trattamento”.
Strumento ancora più incisivo per i detenuti stranieri, “che in Italia non hanno legami familiari e dunque saranno maggiormente disorientati e privi di appoggi al momento della scarcerazione. Per loro, avere una rete di sostegno esterna già conosciuta in carcere rappresenta in qualche caso una forma di prevenzione della recidiva”.
“I volontari, che provengono da associazioni che promuovono l’interesse per l’uomo e la donna e le loro condizioni di vita e che intendono spendersi per l’opera di risocializzazione dei detenuti, sono portatori di una cultura filantropica basata sulla gratuità, estranea al mondo del carcere e dei detenuti. La gratuità dell’intervento diventa un punto di forza, in quanto i volontari entrano in un rapporto dialogico con i detenuti e riescono talvolta a disinnescare tensioni e eventi critici attraverso la loro presenza affettiva, pur non essendo operatori, né parenti, né paesani. Promuovono anche lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera, si interessano della salute dei detenuti e della ricerca di accoglienza per persone che presentano vulnerabilità. Inoltre i volontari hanno una capacità propositiva e di liberazione da schemi prefissati, che l’amministrazione per ragioni istituzionali non può avere. Sono una risorsa per la realizzazione di progetti cui l’amministrazione non è in grado di provvedere direttamente. Riescono a connettere le diverse realtà presenti nel carcere e a facilitare la realizzazione di eventi che sembravano impossibili all’interno di un carcere”.
“Infine – conclude il Tavolo 7 – , l’apertura alla società esterna permette un’azione di vigilanza sulla condizione dei detenuti. Le difficoltà individuali prospettate dai detenuti nel corso dei colloqui, possono essere trasmesse quali istanze di giustizia nelle sedi (istituzionali e non) più opportune. Si deve dunque accogliere con favore la volontà – espressa dal Ministro presentando i lavori degli Stati generali – di potenziare la presenza dei volontari, incentivazione che già costituisce uno dei punti di approfondimento indicati dal disegno di legge per la riforma del sistema penitenziario”. (Teresa Valiani)
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