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Fosse Ardeatine, Roma non ha mai dimenticato

Il 24 marzo del ’44 l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Un reportage tra passato e presente. Le commemorazioni studentesche e il ricordo dei familiari delle vittime

testo e foto di Andrea Zennaro

QUI FUMMO TRUCIDATI/ VITTIME DI UN SACRIFICIO ORRENDO/ DAL NOSTRO SACRIFICIO/ SORGA UNA PATRIA MIGLIORE/ E DURATURA PACE TRA I POPOLI

Questa è la scritta collocata in fondo alla grotta dove 72 anni fa furono barbaramente assassinate 335 persone, colpevoli di essere antifasciste. Siamo a Roma, tra la via Ardeatina e la Cristoforo Colombo, vicino all’attuale quartiere di Tor Marancia.

Il 24 marzo del 1944, come vendetta all’attacco gappista di via Rasella, il comando delle SS tedesche di stanza nella Roma occupata prese dalle carceri di via Tasso e Regina Coeli e da altri rastrellamenti casuali 335 uomini di estrazione sociale varia e, con la complicità delle milizie fasciste, li uccise presso le Fosse Ardeatine. In seguito con l’esplosione di mine tentarono di nascondere il massacro compiuto. In un primo momento non si seppe nulla. Appena Roma fu liberata (tre mesi dopo la strage), furono dei preti del vicino Istituto S. Michele ad avvicinarsi e calarsi nelle grotte, preoccupati per il forte fetore e le mosche: ne uscirono a dir poco sconvolti. Toccò agli operai ACEA iniziare la riesumazione dei resti e nei mesi successivi un gruppo guidato dal professor Ascarellli si occupo dell’identificazione dei corpi ritrovati. Tuttora parte di quei 335 resta senza nome.

Si tratta di un evento che non trova alcuna giustificazione, né politica né umana. La storiografia e la legge hanno appurato colpe e responsabilità, ma la memoria è un ingranaggio collettivo che ha costante bisogno di essere nutrito. È bene ricordare che non si trattò di una rappresaglia. Questa si usa come risposta a un’azione illegittima per “costringere” il nemico a rispettare le leggi di guerra che sta violando. L’episodio di via Rasella, in cui un gruppo partigiano dei cosiddetti GAP (gruppo di azione patriottica) nascose una bomba in un bidone della spazzatura al passaggio di una colonna di soldati nazisti provocando la morte di 33 di questi, è un atto di resistenza pienamente legittimo in caso di occupazione militare. Ciò che invece legittimo non era affatto è proprio l’occupazione della penisola italiana dopo l’8 settembre 1943 e in particolare di Roma, che era stata dichiarata città aperta. Davanti a una lecita resistenza (non un attentato, diversamente da come racconta oggi certa storiografia) e in assenza di proclami dell’esercito occupante per chiedere la spontanea consegna dei partigiani, quello delle Fosse Ardeatine è da considerarsi un crimine di guerra a tutti gli effetti. In cosa consistessero le attività dei GAP è spiegato molto bene nel libro di Giovanni Pesce (1918-2007, nome di battaglia Visone) intitolato “Senza tregua”; ma, avendo lui militato a Milano e a Torino, non parla delle Fosse.

Roma non ha mai dimenticato questa ferita. Ma la stessa popolazione romana, per quanto segnata dall’esperienza del fascismo prima e dell’occupazione nazista poi, sa molto poco sulla storia della propria resistenza. Conosciamo bene l’eroica vicenda dei GAP di via Rasella, la celebre battaglia di Porta San Paolo, il carcere di via Tasso, l’eccidio delle Fosse Ardeatine e il rastrellamento del Ghetto del 16 ottobre 1943, che vide deportare più di 1000 persone di cui solo 16 fecero ritorno. Quasi nessuno però sa e parla del sangue versato alla Garbatella, alla Magliana, a Cinecittà, a Centocelle o nella battaglia della Montagnola.

Per esigenze scolastiche e istituzionali, quest’anno la celebrazione ufficiale del settantaduesimo anniversario del massacro delle Fosse Ardeatine si è tenuta il 23 marzo anziché il 24 e la commemorazione studentesca il 22.

La mattina di martedì 22 marzo 2016 si parte in corteo da piazza Brin, in cima alla Garbatella. Sono presenti le scuole medie di zona (Sauli, Moscati, Montezemolo, Pincherle e Padre Semeria), il Liceo Classico Socrate (baluardo dell’antifascismo garbatellino), il Liceo Scientifico Peano, il CSOA “La Strada”, La Villetta (storica sede del PCI a partire dal 1944, subito dopo la Liberazione di Roma, e tuttora luogo di incontro di varie organizzazioni della sinistra), Marta Bonafoni (consigliera SEL alla Regione Lazio) e le istituzioni del Municipio VIII nelle persone di Andrea Catarci (Presidente del Municipio), Paola Angelucci (Assessora alla scuola), Amedeo Ciaccheri (consigliere municipale) e Claudio Marotta (Assessore alla politiche culturali, giovanili e per la memoria storica). Insieme a loro sfilano anche alcuni parenti dei martiri del 1944. Il corteo passa per le case di alcune delle vittime della strage e di vari partigiani gappisti della zona: molti di loro abitavano tra i lotti di via Massaia e gli “alberghi” di piazza Biffi. È bene tenere a mente che la Garbatella, quartiere popolare e operaio della allora periferia romana, ha avuto una importante storia di militanza politica e di lotta antifascista durante tutto il secolo. Tra le figure citate va ricordata Settimia Spizzichino, l’unica donna tra i 16 superstiti deportati dal Ghetto di Roma, che ha passato il resto della sua vita, durata fino al 2000, a narrare ai giovani la propria esperienza ad Auschwitz nella speranza che ciò non accada mai più. A lei è dedicato il ponte che collega Garbatella con la via Ostiense passando sopra la ferrovia.

Ad aprire la manifestazione è lo striscione degli studenti che recita “CI HANNO SOTTERRATO, MA ERAVAMO SEMI…”, un pugno in faccia ai vecchi e nuovi revisionisti che vorrebbero far dimenticare l’orrore di alcune pagine di Storia; poco più indietro cammina lo striscione delle istituzioni con su scritto “24 marzo ’44, strage delle fosse ardeatine, Roma ripudia la barbarie nazifascista”.

La notizia dell’attentato di matrice jihadista a Bruxelles costringe il corteo a marciare in silenzio, senza la musica diffusa dal camion durante ogni manifestazione. Rompe il silenzio la consueta pausa a piazza S. Eurosia con la banda dei vigili urbani e i primi interventi istituzionali. A largo Bompiani ci si arriva però con le note dei principali canti partigiani, Bella Ciao e Fischia il vento, poi di nuovo silenzio fino al sacrario dove vengono deposti i fiori, uno per ognuno dei 335 uomini lì trucidati.

Negli interventi tenuti in piazza prima e nel sacrario poi viene ribadito con insistenza sia dagli esponenti pollici che dagli studenti il valore dell’Antifascismo e soprattutto la sua attualità, proprio nel momento in cui l’Europa sembra star morendo sotto nuovi autoritarismi e nuovi razzismi. Perché il Nazifascismo, morto nel gelo della Stalingrado assediata e sotto i colpi dei partigiani sui monti d’Italia, rischia di rinascere contro i profughi affogati nel Mediterraneo, nei muri di filo spinato alle porte della fortezza Europa e nei lacrimogeni usati contro i disperati in fuga da fame e guerra.

Il 23 marzo si tiene in mattinata la cerimonia ufficiale, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, della Ministra della Difesa Roberta Pinotti e delle Vicepresidenti della Camere Marina Sereni e Valeria Fedeli, insieme al Presidente del Senato Pietro Grasso e della Regione Lazio Nicola Zingaretti. Bisogna ricordare che proprio le Fosse Ardeatine hanno costituito la prima uscita pubblica di Mattarella subito dopo la sua elezione. A questi si aggiungono i due uomini che ormai detengono il potere assoluto su Roma nonostante nessuno li abbia mai eletti né voluti (come dimostrato dalla manifestazione di sabato scorso), lorsignori Tronca e Gabrielli. A proposito di potere su Roma, la presenza sul palco di Alfio Marchini e Virginia Raggi segna ormai l’inizio della gara a chi metterà nuovamente le mani sulla Capitale. Oltre alla retorica, il Capo dello Stato e la Ministra della Difesa hanno insistito nel loro discorso sulla “nuova stagione di terrore” che urge sconfiggere, parole rivolte ovviamente alla strage che ha appena insanguinato il Belgio.

La sera dello stesso giorno invece si radunano a largo Bompiani i collettivi comunisti di Roma Sud, muniti di bandiere rosse e pugni chiusi, con canti di lotta e garofani in mano, per portare anche il loro omaggio ai 335 martiri.

Il 24 marzo ritornano sul luogo dell’eccidio i parenti di chi perse la vita 72 anni fa. Prima fra tutte la presidente dell’ANFIM Rosina Stame, figlia di Nicola, partigiano e medaglia d’oro. Ai loro padri e fratelli portano fiori e lacrime, pugni alzati e occhi commossi, rabbia e amore e soprattutto, la memoria, necessaria per fare del mondo un posto migliore, o almeno per provarci.

Durante tutto il resto dell’anno il mausoleo delle Fosse Ardeatine è sempre aperto al pubblico e visitabile per scolaresche o semplici cittadini e cittadine bisognose di conoscere la Storia e farne tesoro. A fini umani, politici, didattici o semplicemente di cultura storica personale, è utile anche la visita al carcere delle SS di via Tasso, oggi trasformato in Museo della Resistenza e della Liberazione di Roma: proprio da lì proveniva gran parte degli uomini assassinati tra la via Ardeatina e la Cristoforo Colombo quel giorno.

La mattina del 22, cercando di raggiungere il corteo degli studenti, ho chiesto indicazioni alla proprietaria dell’edicola di piazza Bartolomeo Romano (dove si trova il Palladium, il principale teatro della Garbatella), la quale ci ha tenuto, sentendo nominare le Fosse Ardeatine, a offrirmi la sua testimonianza, che riporto con piacere. Aveva 8 anni allora e abitava nel borgo che oggi costituisce il quartiere di Tor Marancia, al limitare della città di Roma verso la campagna. Il 24 marzo del 1944 dal balcone della sua casa di bimba vide passare dei camion tedeschi pieni di persone, credeva li portassero nei campi a lavorare. Qualche ora dopo vide brillare le mine e sentì in lontananza le esplosioni, poi vide i camion tornare vuoti. Erano tante le persone mancanti, erano 335. Chissà che fine hanno fatto, si chiese. Lo seppe solo mesi più tardi, quando Roma era già stata liberata. Oggi ricorda quel giorno con grande dolore e ogni 24 marzo non manca mai di tornare presso quel luogo a lasciare un fiore e una lacrima.

Di ritorno dal mausoleo ho avuto modo di conoscere Luigi Mainenti, nato a Roma il 5 gennaio 1944 e cresciuto fin da bambino tra i lotti della Garbatella vecchia, e tramite lui sua moglie Clelia Agnini. Mi hanno regalato il racconto della loro esperienza, nonostante allora fossero troppo giovani per avere ricordi diretti dei fatti.

Clelia, nata a Roma il 2 settembre 1943 (pochi giorni prima che arrivasse la notizia dell’Armistizio), è la più giovane di una famiglia antifascista di Montesacro. Il padre Gaetano, giornalista de Il Giornale di Sicilia, si era trasferito a Roma da Catania dopo aver perso il lavoro per essersi rifiutato di iscriversi al Partito Nazionale Fascista e con la coerenza e il coraggio delle sue idee aveva educato i figli. Di questi il più grande era Ferdinando, nato nel 1925. Nel 1944 Nando era studente, eppure per lui l’antifascismo respirato in casa fu più forte dell’educazione militare impartita a scuola: insieme ad altre persone stava formando una banda partigiana per mettere fine alla dittatura e all’occupazione. In seguito a una soffiata, il 24 febbraio i tedeschi irruppero in casa della famiglia, picchiarono Nando per ottenere i nomi dei compagni (che lui non rivelò mai) e lo portarono a via Tasso. Lì subì ben 12 interrogatori con torture; dopo il primo di questi, cui lui non rispose, tornarono a casa e presero anche il padre. A casa arrivò il certificato di morte in carcere di entrambi, scritto in tedesco, e invece Gaetano tornò, dopo alcuni mesi di lavori coatti. Nando fu fatto uscire di cella il 24 marzo, ma non per tornare a casa. Fu caricato su un camion e portato in mezzo alla campagna, nessuno sapeva dove né perché. Strada facendo i camion tedeschi rastrellavano chiunque venisse trovato. Le persone furono fatte scendere nei pressi di una cava di fossolana abbandonata da tempo e lì dentro fatte accedere una a una. Ognuno sentiva le urla del precedente, uno sparo e poi più nulla. Con le mani legate dietro la schiena Nando fu fatto inginocchiare sul corpo di un compagno, il tempo di un colpo di pistola alla nuca, poi avanti il prossimo. Aveva 19 anni. La verità su che fine avessero fatto quei 335 scomparsi si seppe solo dopo la Liberazione di Roma: no, Nando non era morto in carcere.

Nel dopoguerra i parenti delle vittime dell’eccidio sono sempre stati defilati e silenziosi, ma, seppur con discrezione, non hanno mai mancato di ricordare al mondo la sorte criminale subita dai loro cari.

Oggi a Ferdinando Agnini è dedicata una strada in zona Tiburtina e una palestra a Montesacro, inaugurata nel 1982 sotto la giunta Vetere non lontano da dove abitava la sua famiglia.

Concludo citando il verso più importante della famosa poesia di Primo Levi intitolata “Se questo è un uomo”, poesia che apre l’omonimo libro:

E ricordate che questo è stato…

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