ROMA – Per la Grecia, quelle appena trascorse, sono state le prime ventiquattro ore senza sbarchi di migranti. Potrebbe trattarsi dei primi effetti visibili del controverso accordo concluso tra Unione europea e Turchia, ma anche soltanto, avvertono le autorità greche, degli effetti del maltempo e dei venti di tempesta che per tutto mercoledì hanno spazzato l’Egeo. Nonostante l’accordo, i migranti sbarcati sulle isole greche sono stati oltre 1.600 lunedì per poi diminuire gradualmente con il passare dei giorni. Ma anche con la riduzione degli arrivi, i problemi sono lontani dall’essere risolti: i migranti bloccati in Grecia sono ancora tanti, le condizioni di accoglienza sono sempre più critiche, mentre la macchina che dovrebbe riportarli verso la Turchia o rimpatriarli è lontana dall’essere pronta ad entrare in funzione.
Tra i problemi, quello dei posti disponibili nei centri di accoglienza, già vicini alla capienza massima: secondo le cifre fornite dalle autorità greche ci sono già 20.475 rifugiati ospitati in strutture temporanee che ne possono accogliere fino ad un massimo di 26 mila. Pochissimi, se si pensa che queste strutture dovrebbero accogliere anche i profughi che si sta cercando di sgomberare dal campo di Idomeni e quelli ancora al Pireo o sulle isole greche. Occorre insomma che partano, rapidamente, i ritorni verso la Turchia, nodo centrale dell’accordo stretto tra Bruxelles e Ankara, ma le condizioni per farlo ancora non ci sono.
Mancano, ad esempio, le forze di polizia necessaria a garantire la sicurezza delle operazioni. In tutto Bruxelles ha calcolato che alla Grecia serviranno 4 mila persone per gestire la situazione. Se per quanto riguarda gli esperti che si dovranno occupare delle operazioni di rinvio le necessità sono quasi soddisfatte, ancora per il personale di sicurezza si è ben lontani dall’obiettivo: finora gli Stati membri hanno offerto appena 396 poliziotti sui 1.500 richiesti. Meno di un terzo del necessario. “Faccio appello agli Stati membri perché offrano molti più poliziotti se vogliamo essere pronti a supportare i ritorni in Turchia come concordato dal Consiglio europeo”, ha dichiarato il direttore esecutivo di Frontex, Fabrice Leggeri.
Ma gli aspetti pratici dell’organizzazione in Grecia non sono l’unico problema. Ci sono, e non è poco, preoccupazioni consistenti per il rispetto dei diritti dei rifugiati. Se già ieri l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite e diverse Ong hanno lasciato gli hotspot in Grecia per non collaborare con un sistema di rimpatri ritorni ritenuto ingiusto, oggi Amnesty International lancia una denuncia che potrebbe mettere in crisi il concetto di Turchia come “paese sicuro”, principio chiave per potervi rimandare i migranti. Ankara, denuncia l’associazione, ha negato l’accesso alle procedure di asilo a circa 30 richiedenti asilo afghani che sono invece stati riportati a Kabul nonostante il timore degli attacchi dei talebani. “Non si era ancora asciugato l’inchiostro dell’accordo Ue-Turchia che diverse dozzine di afghani sono stati rimandati a forza verso un paese dove le loro vite potrebbero essere in pericolo”, denuncia il direttore di Amnesty International per l’Europa, John Dalhuisen, secondo cui quest’ultimo episodio “evidenzia i rischi del rimandare i richiedenti asilo verso la Turchia”.
A complicare ulteriormente le cose, poi, anche la presa di posizione della premier polacca Beata Sydlo che, all’indomani degli attacchi di Bruxelles ha deciso di bloccare l’accoglienza di rifugiati nel Paese. “Lo dico molto chiaramente – ha dichiarato nel corso di un’intervista televisiva – non vedo alcuna possibilità di accogliere al momento dei migranti in Polonia”. Un esempio che potrebbe essere seguito da altri Stati poco inclini all’accoglienza e che costituisce un problema non da poco visto che la Turchia, in cambio dell’accoglienza di migranti rimandati dalla Grecia, si aspetta il trasferimento di una parte di rifugiati siriani dai campi turchi, direttamente in tutti i paesi membri d’Europa.