(Im)Patto sociale: una campagna di Lbera, Sbilanciamoci, Rete della Conoscenza e anche del Forum del III settore chiede che vengano sganciate le spese sociali dal patto di stabilità
di Checchino Antonini
Sostiene Giuseppe De Marzo che per battere il terrorismo bisogna attaccare le politiche di austerità che da sette anni intossicano la vita di milioni di persone. Che l’austerità sia tutt’altro che intoccabile lo ha ammesso perfino il presidente della CE, Juncker, il 18 novembre, all’indomani degli attentati di Parigi, quando ha promesso alla Francia che le spese per la lotta al terrorismo possono stare fuori dal Patto di stabilità e di crescita. Da quel giorno il re è nudo. Il dogma del liberismo è stato intaccato dal suo stesso custode, il presidente della Commissione europea, ex governatore del Fmi. Ma la differenza tra questo sessantunenne lussemburghese, famoso per i suoi stati di ebbrezza (come quando ricevette Tsipras a Bruxelles dopo la prima vittoria di Syriza), e De Marzo, attivista di Libera e del Gruppo Abele, coordinatore della campagna Miseria Ladra, vent’anni di meno di Juncker, è che il patto di stabilità va sì rotto per lottare contro il terrorismo ma svincolando le spese sociali. «Ricucire quello che l’austerità ha logorato, perchè i diritti civili non hanno valore senza diritti sociali. Si sta istituzionalizzando la povertà – dice De Marzo citando don Ciotti, fondatore di Libera – e questo forma l’acqua sporca in cui il terrorismo diventa un messaggio fortissimo per chi si sente umiliato, emarginato e senza diritti nelle banlieue. Per questo i carrarmati servono davvero a poco, bisogna parlare alle persone».
E se il lussemburghese può contare sull’appoggio dei due grandi partiti dell’austerità, Pse e Ppe, De Marzo parla a nome di 1600 realtà della rete di Miseria ladra (promossa da Libera e Gruppo Abele e alla quale hanno aderito i sindaci di circa 70 città), della sessantina di associazioni che formano Sbilanciamoci, di migliaia di circoli Arci e degli studenti della Rete della conoscenza.
Tutti insieme, su questa idea di rilanciare le spese sociali, ci stanno costruendo una campagna: IM(Patto) Sociale, presentata ieri, 5 aprile a governo, Parlamento, amministratori locali e istituzioni europee, per tentare un pressing sul Def, il documento di economia e finanza: Una risoluzione presentata ai Parlamentari per porre fine alle politiche di austerità e chiedere di escludere la spesa sociale dal Patto di Stabilità in vista della discussione del Def, Documento di Economia e Finanza. Prende il via la seconda fase della campagna im(PATTO SOCIALE) – promossa da Libera e Gruppo Abele, Sbilanciamoci!, Arci, Rete della Conoscenza, Forum Nazionale del Terzo Settore (che si sia rotta la sudditanza dal Pd di questo settore?) e dalle centinaia di realtà sociali che fanno parte della rete di Miseria Ladra. «Le politiche sociali – dichiarano in una nota i promotori della campagna – rappresentano infatti un investimento sulla coesione sociale e sulla sicurezza ancor più necessario in questa fase dinanzi all’esplosione delle diseguaglianze ed alle contraddizioni e tensioni che questo comporta. Il terrorismo lo si sconfigge soprattutto combattendo le diseguaglianze ed investendo in diritti sociali, istruzione e cultura, le vere armi in grado di isolare socialmente e politicamente l’ideologia del terrore e della guerra».
Nella proposta di risoluzione, presentata a tutte le forze politiche, si da risalto a come i dati (Istat, Oxfam, Eurostat e Svimez) sull’aumento delle diseguaglianze e sull’aumento delle grandi ricchezze private dimostrino come il problema della povertà in Europa e in Italia non consista nella scarsità di risorse, ma nel modo in cui la ricchezza è distribuita, nei tagli al welfare e nella perdita della centralità delle politiche sociali e fiscali come strumento di contrasto alle diseguaglianze.
Per questo i promotori della Campagna vogliono fornire al mondo della politica un utile strumento che impegni il governo ad escludere dal Patto di stabilità la spesa sociale; ad aumentare le risorse per i fondi sociali nazionali, a dismettere la politica dei tagli lineari agli enti locali e alla spesa sanitaria, ad aumentare la spesa per l’istruzione e per la cultura portandole almeno al livello della media europea, a rimodulare il sistema del diritto allo studio, prevedendo la sua estensione universale, a introdurre una misura strutturale di sostegno al reddito di entità almeno pari al 60% del reddito mediano pro-capite e ad impegnarsi a livello europeo affinché siano abbandonate le politiche di austerità a vantaggio degli interventi a sostegno dei consumi e della domanda interna, della crescita, dell’occupazione e dell’inclusione sociale.
Ricucire quello che l’austerità ha logorato- proseguono i promotori della campagna- perchè i diritti civili non hanno valore senza diritti sociali. La campagna si rivolge anche agli amministratori locali con la richiesta di approvare una delibera di impegno a sostegno della proposta della campagna im(PATTO SOCIALE). Sono già oltre una ventina i Comuni che hanno aderito all’iniziativa tra cui Napoli, Palermo, Asti, Pisa, Monterotondo, Licata, Fabriano, Campi Bisenzio.
«I vincoli dettati dall’imposizione dell’obbligo del pareggio di bilancio e del contenimento del deficit pubblico – aveva anticipato a Left De Marzo – hanno immediate e concrete conseguenze sulla vita dei cittadini nella misura in cui proprio la spesa sociale è la prima a essere colpita dai tagli della spesa pubblica». Sette anni di crisi hanno visto il taglio del 69% dei fondi per il sociale, la povertà assoluta è triplicata e quella relativa è raddoppiata. L’Italia è la maglia nera in Europa per la dispersione scolastica (17,6%), la povertà minorile (oltre 1 milione), tra i peggiori per la disoccupazione giovanile (41%) ed il numero di working poor (oltre 4 milioni) ed è tra i paesi più diseguali (il quinto, secondo il rapporto Oxfam). Mentre le mafie, le uniche a poter contare su una notevole liquidità ed una accresciuta capacità di penetrazione culturale, sono più forti che mai, ed i tagli alle politiche di integrazione e mediazione culturale aumentano incomprensioni e distanze, scatenando in basso una guerra del povero contro il più povero. Allo stesso tempo bisogna ricordare come la ricchezza sia in realtà aumentata. Nel nostro paese in sette anni di crisi i miliardari sono triplicati, ora sono 332. Vuol dire che i soldi ci sono ma si usano male. Il governo Renzi ha stanziato ad esempio solo 600 milioni per misure di contrasto alla povertà. Pochi e spesi malissimo, sfiorando 256 mila famiglie a fronte di 4 milioni e mezzo di persone che vivono in povertà assoluta. Per i promotori della campagna ci vorrebbero 18 miliardi: 15 per il reddito minimo garantito, Reddito di Dignità, così come previsto dalle risoluzioni europee e dall’articolo 34 della Carta di Nizza, e altri 3 per tornare almeno ai livelli di spesa sociale del 2007. Questa è la cifra che garantirebbe a quasi 4 milioni di persone di uscire dalla povertà e godere dei propri diritti sociali. In Italia, oltre dieci milioni di persone (il 16,6%), sono sotto la soglia di povertà relativa ossia spendono meno della media pro capite del Paese, 972,52 euro mensili. Ma altri sei milioni di anime (quasi il 10%) sono sotto la soglia di povertà assoluta e non riescono, secondo le definizioni dell’Istat, a sostenere la spesa minima necessaria per acquistare quei beni e servizi “considerati essenziali per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile”. Vivono con meno di 506 euro al mese e, nel 2008, erano “solo” due milioni e mezzo. Significa che un italiano su quattro è povero ma in generale è in tutta Europa che si registra un forte aumento della povertà da quando il mantra della crisi è servito a stravolgere i sistemi di welfare. 126 milioni e mezzo di persone vivono in povertà relativa, 43 milioni in povertà assoluta. «Significa che le normative europee, i tagli, i trattati, i memorandum, i patti di stabilità, il fiscal compact, l’austerità, hanno avuto un impatto negativo gigantesco. Siamo uno dei paesi più corrotti d’Europa e quando non c’è certezza dei diritti cresce il numero di chi cerca vie d’uscita individuali o scorciatoie pericolose», conclude De Marzo, 42 anni, di Bari, approdato a “Miseria ladra!” dopo una lunga esperienza nei movimenti che si battono per la giustizia sociale e ambientale tra il Sud Italia e il Cono Sur dell’America. Suoi punti di riferimento sono la teologia della liberazione e il buen vivir.