Il giornalista Davide Falcioni è stato rinviato a giudizio dal gup di Torino. Da testimone è divenuto imputato. Quel che ha scritto non era funzionale al teorema contro i No Tav
di Enrico Baldin
In Italia si può essere processati per aver raccontato la verità. Popoff ha raccontato diversi mesi fa, intervistandolo, la storia di Davide Falcioni, corrispondente di fanpage.it, che chiamato a testimoniare ad un processo si è ritrovato da testimone ad indagato il giorno stesso dell’udienza.
Davide Falcioni ora è stato anche rinviato a giudizio dal gup del Tribunale di Torino. I fatti risalgono all’agosto del 2012 quando una protesta contro il TAV Torino – Lione, sfociò in una pacifica e temporanea occupazione da parte di alcune decine di manifestanti, della sede della Geovalsusa, azienda impegnata nel progetto dell’alta velocità. Il reporter marchigiano seguì la manifestazione fin dentro alla sede della Geovalsusa, ne rese nota in un articolo e dopo alcuni mesi si recò a testimoniare in Tribunale quanto accadde dentro agli uffici occupati per circa un’ora dai manifestanti No Tav. Quell’articolo e quella testimonianza gli sono costati un capo di imputazione e l’inizio di una odissea processuale dal volto paradossale, perché mai era accaduto ad un giornalista di entrare in un’aula di Tribunale da testimone, ed uscirne da indagato con il capo di imputazione di violazione di domicilio. Un fatto sconcertante ed inaudito: raccontare la verità – quando questa non piace – può essere persino pericoloso.
In una nota sul suo profilo facebook Davide Falcioni ha commentato la decisione del gup di rinviarlo a giudizio: «Non è sempre facile spiegare a chi non è addetto ai lavori che si può finire a processo anche senza essere un ladro, o un assassino, o in generale un criminale. Io ci finisco per aver provato a onorare la professione». Falcioni ricorda i fatti e ribadisce a scanso di equivoci di non essere pentito e che ripeterebbe ogni gesto fatto: «Quel giorno avrei potuto fare un passo indietro e scrivere quello che tutti scrissero: che fu una protesta violenta. Io però scrissi la verità. E la verità non deve lisciare il pelo a nessuno, tanto meno a chi comanda. E’ per questo che si dice che un giornalista è un guardiano della democrazia».
Il giornalista di fanpage.it infine racconta la cosa che fino ad ora lo ha maggiormente sconcertato ed offeso: «Durante un interrogatorio il pm della Procura di Torino alcuni mesi fa mi disse che in fondo questa inchiesta avrebbe giocato a mio favore facendomi “diventare famoso” (testuali parole)». Ma Falcioni non scambierebbe mai la fama con l’onesta dignità del suo lavoro. Facendo nostre le sue parole e il suo lavoro a schiena dritta, la redazione di Popoff è vicina e solidale al collega che ha esercitato il suo diritto di cronaca.