Tsipras ha trasformato gli “hot spots” in prigioni, respinge migliaia di persone in Turchia in spregio del diritto di asilo e spera di ottenere in cambio l’alleggerimento del debito
Alcuni miti sono duri a morire. Uno di questi è il mito del buon Tsipras vittima della crudele trojka. Agli occhi di alcune tendenze di sinistra, infatti, il Primo ministro greco può applicare una politica platealmente neoliberista, come Hollande, ma senza perdere la sa aura di “sinistra radicale”.
L’elenco delle promesse rinnegate del leader di Syriza è più lungo del Danubio. In un anno, ha tradito i suoi impegni, organizzato un referendum sperando di perderlo, ne ha gettato nella spazzatura il risultato perché lo aveva vinto, ha accettato dalla trojka un Memorandum peggiore dei precedenti, ha stretto la presa sul suo partito per muoversi a modo suo, ha eliminato la commissione di audit del debito istituita dal parlamento, ha privatizzato porti e aeroporti, ha cercato di fare ingoiare la pillola dell’austerità promettendo un “programma parallelo”, lo ha poi ritirato una settimana dopo al primo cenno di sopracciglio di Bruxelles, ha affermato che “Gerusalemme è “la capitale storica” di Israele e ha intrecciato eccellenti rapporti con il dittatore egiziano al Sissi.
Il danno è emerso subito. Nel febbraio 2015, il governo Tsipras si impegnava a rimborsare per intero il debito. Abbiamo espresso subito le nostre riserve e inquadrato il nostro appoggio: «Siamo in prima fila nella solidarietà verso il popolo greco. Chiamiamo i movimenti sociali, in tutta l’Europa, a cogliere l’occasione che si offre di scuotere il giogo della finanza e di far vacillare l’Unione Europea. Sosterremo le misure che il governo greco prenderà in favore degli/delle sfruttati/e e oppressi/e. Tuttavia, non cadiamo nell’unanimismo pro-Syriza: la nostra solidarietà politica va alle forze coscienti dei rischi (di ripensamento) e determinate a costruire l’unità nelle lotte in base a un programma anticapitalista di rottura con l’austerità”.
Non siamo rimasti soli a lungo. Jean-Luc Mélenchon ha rotto con Tsipras nell’agosto del 2015. Eric Toussaint, presidente della Commissione per la verità sul debito greco, ha parlato di capitolazione. Yanis Varoufakis, ex-ministro delle Finanze, ha confermato che Tsipras aveva convocato il referendum nella speranza di perderlo. Zoé Konstantopoulou, ex-Presidente del parlamento, ha denunciato il diniego di democrazia. Questi personaggi discordano su quella che avrebbe potuto essere una politica alternativa. Noi siamo ben lungi dal condividere tutte le idee di Mélenchon o di Varoufakis. Ma, al di là delle nostre divergenze, abbiamo questo in comune: il ruolo della trojka non assolve Tsipras dalle sue responsabilità.
Pierre Laurent è di quelli che questa assoluzione la danno senza esitare. Per il dirigente del PCF, Tsipras si è battuto come un leone, ma la partita era troppo diseguale, e ha dovuto cedere. È da biasimare soltanto l’Unione Europea. Più precisamente: è da biasimare la sua politica. Per Pierre Laurent e i suoi amici del PGE, l’Unione sarebbe riformabile, al suo interno si potrebbe portare avanti un’altra politica ed è questa battaglia all’interno dell’UE – anziché contro l’UE – che si dovrebbe condurre. Con Tsipras, che fin dall’inizio doveva rimanere nell’euro. Con Tsipras, la cui eroica lotta sarebbe il punto d’appoggio per tutta la sinistra. Noi, viceversa, pensiamo che Tsipras abbia inferto un colpo terribile a tutta la sinistra, in Grecia e in tutta l’Europa.
Siamo stati rimproverati di “essenzialismo”, di ritenere che le radici eurocomuniste del Primo ministro greco e della sua cerchia condannassero fatalmente Syriza alla capitolazione, che un partito i cui dirigenti si erano formati leggendo Nikos Poulantzas invece di Ernest Mandel non poteva se non tradire…. Non è questa la discussione. La linea di demarcazione, per noi, non era tracciata in qualche libro, ma nella politica concreta: rottura con l’austerità, si o no? Su questa questione chiave, venivano lanciati avvertimenti non solo da emuli di Mandel ma anche di Nikos Poulantzas. Fin dal dicembre 2014, Stathis Kouvelakis, un dirigente di sinistra di Syriza dichiarava: “Un compito spaventoso attende le forze decise a difendere i punti chiave del programma di rottura che è quello di Syriza. Più che mai, diventerà chiaro che tra lo scontro e il rinnegamento lo spazio è davvero inesistente”. È in questa battaglia che noi ci siamo inseriti, non nella difesa di un dogma.
Poco fa, alcuni paragonavano ancora la capitolazione di Tsipras di fronte alla trojka alla pace di Brest-Litovsk tra il giovane potere sovietico e la Germania, nel 1918. Non è chiaro che è un paragone assurdo? Il governo greco esegue zelantemente l’accordo sui profughi tra Ankara e Bruxelles. Ha trasformato gli “hot spots” in prigioni, respinge migliaia di persone in Turchia in spregio del diritto di asilo e spera di ottenere in cambio l’alleggerimento del debito. Continuare a dire che Tsipras appartiene alla “sinistra radicale” è altrettanto aberrante che credere nel miracolo della resurrezione. E ancora di più. Gli evangelisti hanno infatti scritto vari decenni dopo la morte di Gesù, sulla base di narrazioni già mitificate. Gli apostoli di Tsipras, da parte loro, lavorano in tempo reale.
[da Europe solidaire sans frontières – http://www.europe-solidaire.org/]
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