Niente quorum, solo il 30% alle urne per il referendum. Gli altri al mare, all’ombra delle trivelle. Renzi gongola
di Checchino Antonini
Era nell’aria. Una volta si diceva “piazze piene, urne vuote” per commentare il dato di una mobilitazione sociale senza precedenti che, però, non trovava un riscontro elettorale adeguato. Erano gli anni ’70. Oggi le urne sono vuote come le piazze. Nel paese della passività sociale senza precedenti non s’è raggiunto il quorum su un quesito semplice: la cancellazione, a fine concessione, delle trivelle a meno di 12 miglia dalla costa. Un quesito semplice che si iscrive in un più generale interrogativo che dovrebbe essere sciolto collettivamente: quali modelli energetici per uscire dalla crisi e salvaguardare il paesaggio e la salute?
Domande cruciali, tanto quella “piccola” quanto quella “grande”, che non hanno sfondato nel cuore e nelle menti di un paese sfilacciato, passivo, spaventato, crudele e credulone. Un paese che non ha mai brillato per sensibilità ambientale: già nel 1990 fece mancare il quorum al quesito che chiedeva di abolire l’uso di pesticidi nell’agricoltura. Ma oggi quel paese si compiace di essere disincantato, cinico, indifferente. Non ha mai riflettuto, nemmeno a sinistra, sull’incapacità sociale di far rispettare il risultato di un referendum, quello contro la privatizzazione dei servizi, che solo quattr’anni fa aveva raccolto un quorum senza precedenti ma che i governi che si sono succeduti non si sono nemmeno sognati di rispettare. A partire dall’ex re di tutte le Puglie, Vendola, salito al trono sulla promessa di ripubblicizzare l’acqua ma che a quarantott’ore dal referendum annunciò che non avrebbe ritoccato le bollette come avrebbe dovuto fare dopo la valanga di sì. Solo la lotta dal basso, la mobilitazione dei movimenti sociali, può invertire la tendenza alle privatizzazioni dei beni comuni mentre ne immagina una gestione diversa, pubblica e partecipata.
Oggi solo la Basilicata, la più povera e petrolizzata d’Italia, ha superato il quorum dimostrando quanto sia bugiarda la retorica del governo sul petrolio, ma sconta l’assenza di solidarietà dei cittadini che vivono in regioni più distanti dall’orrore delle trivelle. In Calabria e Campania, regioni che pure hanno promosso il referendum, siamo sotto alla media nazionale. Il governo e il Pd hanno adottato ogni trucco per eludere il nodo referendario, hanno puntato sulla guerra tra poveri con l’endorsement clamoroso della Cgil. Ma, soprattutto, hanno scommesso sull’assenza di solidarietà sociale, la stessa che consentì il naufragio di un altro referendum sconfitto: quello sull’estensione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori.
Renzi gongola a reti unificate, finge di aver difeso posti di lavoro (le piattaforme sono quasi sempre città fantasma disabitate e il petrolio dell’Adriatico è una melma buona solo per imbrattare le ali degli uccelli marini) ma poi ci spiega che la democrazia è talmente costosa e ingombrante che sarebbe meglio abolirla. Infatti a questo punta con la “deforma” costituzionale. E lancia frecciate in codice contro il suo antagonista interno alla corsa per la prima poltrona del Pd, il governatore pugliese Emiliano. La politica teatrino si riprende la scena. La torsione autoritaria e neoliberista prosegue senza inciampi. E’ il Pd la trivella più perniciosa. Next stop a ottobre, al referendum costituzionale – stavolta senza quorum , dato da non sottovalutare – che ritocca al ribasso gli standard di democrazia. Cinque mesi appena per far crescere l’indignazione civile.
Gli passerà presto da ridere all’idiota – scaricate e depositate la denuncia per usurpazione del potere politico, fermiamo il colpo di Stato.