Migliaia di litri di greggio viaggiano ancora verso il mar Ligure. Mentre il governo Renzi e le multinazionali si compiacciono per l’astensionismo referendario, gli abitanti del ponente genovese versano lacrime amare intossicati dalle esalazioni.
da Genova, Giampaolo Martinotti e Federico Sabella
La paura si è trasformata in realtà. Come appare nel video della guardia costiera pubblicato da un’emittente genovese, il petrolio ha raggiunto il mar Ligure. Nel frattempo, in Val Polcevera, si fanno i conti con il disasto ambientale: scuole chiuse, disperazione, problemi respiratori e tante lacrime. E no, non è la cronaca dell’apparente sconfitta referendaria subita dal fronte NoTriv, ma sono i risultati dell’onda nera che domenica sera, mentre ancora erano in corso le votazioni, ha travolto l’ecosistema lungo il torrente Polcevera. Flora e fauna sotterrate dal greggio e abitanti di Borzoli e Fegino, quartieri tra i più popolosi del ponente genovese, imprigionati tra le mura domestiche per la mancanza di un piano di emergenza prestabilito.
I primi numeri del disastro sono tanto impietosi quanto preoccupanti: più di 600 mila litri di petrolio sono fuoriusciti dalla vecchia condotta interrata dell’oleodotto Iplom per arrivare in parte fino al mare. Una tragedia annunciata, un ennesimo incidente (il più grave) che le reiterate proteste e segnalazioni degli ultimi anni non sono riuscite a evitare. Gli abitanti della zona, ormai esasperati, conoscono bene la pericolosità di questi impianti pluridecennali. Gli incendi all’interno della raffineria avvenuti nel 2008 e nel 2011, come gli sversamenti “minori” del 2012, non sono bastati a far suonare un campanello d’allarme che avrebbe potuto evitare questa sciagura. Ma mentre le esalazioni di idrocarburi provenienti dalle cisterne rendono l’aria irrespirabile già da tempo, tant’è vero che le porte delle scuole locali vengono fermate praticamente ogni mese, l’Asl e l’Arpal, l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Ligure, escludono rischi per la salute.
In questi giorni pare di assistere al solito tragico copione che si ripete a ogni disastro ambientale: protezione civile all’opera, dichiarazioni premature da parte delle autorità, preoccupazioni e sintomi di malessere per i residenti, ispettori fuori tempo massimo alla ricerca delle eventuali cause. Le operazioni di bonifica nel frattempo si stanno intensificando vista la drammaticità della situazione, e i tecnici dell’Arpal sono effettivamente sul posto per affiancare i volontari dell’Enpa, gli animalisti e i vigili del fuoco incessantemente al lavoro da giorni. Il timore è che i tanti sforzi della prima ora possano essere compromessi dalle piogge previste per il fine settimana, ma è bene sottolineare che la vera e propria bonifica del territorio avrà bisogno di mesi, se non di anni, per essere portata a termine.
Questa catastrofe innaturale si abbatte sull’Italia come un misero scherzo del destino. I tanti rapporti sull’inquinamento e sulla pericolosità degli idrocarburi, pubblicati prima del referendum di domenica scorsa, non sono certo riusciti a risvegliare quell’opinione pubblica italiana che oggi, a pochi giorni di distanza dal “non voto”, si ritrova sotto gli occhi delle immagini a dir poco raccapriccianti. Ma, al di là dell’analisi del risultato referendario, e del processo di lobotomizzazione culturale che ha pesantemente colpito una vasta parte della nostra società negli ultimi trent’anni, sarà importante stabilire al più presto le responsabilità di quanto accaduto anche per fornire un aiuto concreto alle comunità colpite da questo disastro petrolifero. E, a questo proposito, sarebbe utile evitare che le spese, e i vari risarcimenti, vengano fatti rientrare, come da tradizione, nella turpe logica del privatizzare i guadagni ma socializzare le perdite. Nel frattempo, le narrazioni tossiche del governo Renzi si sono già materializzate sotto forma di esalazioni nocive altrettanto pericolose.