Francia, Hollande impone il voto di fiducia sul jobs act. Non accadeva dal 1962. Un operaio della Ford di Bordeaux spiega le prospettive del movimento delle Nuit Debout
Il governo Hollande – nonostante le proteste della sinistra dissidente, della destra di opposizione e dei sindacati – ha deciso di far passare la legge di riforma del lavoro, il jobs act francese, con la scorciatoia della legge 49/3, praticamente il voto di fiducia. L’agguato che l’agguerrita truppa dei dissidenti di sinistra voleva tendere al governo di Francois Hollande e Manuel Valls – è sfumato per appena due firme mancanti: ne sarebbero servite 58 per presentare una mozione di censura contro il governo (diversa da quella presenterà la destra), ne sono arrivate 56. «È inconcepibile che dei socialisti stendano il tappeto rosso alla destra», ha starnazzato la ministra del Lavoro Myriam el Khomri, dalla quale prende il nome la legge, già più volte modificata per smorzare le proteste, che dovrebbe garantire più flessibilità alle imprese. Il governo, dopo aver capito che probabilmente dalla palude degli oltre 5.000 emendamenti non sarebbe mai uscito, ha deciso ieri di puntare diritto al risultato. «È l’arma dei deboli», ha tuonato Christian Paul, capofila socialista della fronda che ormai da molti mesi è la spina nel fianco del governo. In Francia soltanto nel 1962 una mozione di censura ebbe successo, e in quel caso si dibatteva in parlamento di una legge costituzionale. Ma Hollande e Valls, al minimo storico per un presidente e un premier nei sondaggi di popolarità, temono che il clima sociale si surriscaldi ulteriormente. Già ieri sera, all’annuncio del ricorso alla fiducia, circa 500 persone, la maggior parte animatori della Nuit Debout, le notti di protesta alla Republique, si sono immediatamente radunate a protestare sotto l’Assemblea nazionale. Ieri sera, alla vigilia del varo della legge, s’è manifestato in diverse città. La più «calda» si è rivelata Tolosa, dove quattro persone sono state fermate al termine di una manifestazione. Si erano introdotte con intenzioni bellicose negli uffici di una deputata socialista. Sempre a Tolosa, e a Lione, sono state danneggiati i locali di sedi del partito socialista: vetri e finestre in frantumi, scritte minacciose su muri e portoni, uffici saccheggiati. Ecco la testimonianza di cosa è il movimento che in Francia si batte contro il jobs act (checchino antonini)
di Philippe Poutou *
Queste ultime settimane in Francia sono caratterizzate da un movimento sociale mai visto in questi anni dominati da un clima di grande rassegnazione. Con l’arrivo di Hollande e del PS al potere nel 2012, con i suoi immediati attacchi antisociali, questo clima si era rafforzato. Sono la destra ed i reazionari che assumono un ruolo, per esempio con la “Manif pour tous” contro il matrimonio per tutti, oppure un padronato onnipresente ed offensivo che si fa valere.
Certo, durante questo periodo, ci sono state lotte lunghe e determinate contro i cosiddetti progetti “inutili”, nefasti, distruttori dell’ambiente naturale, con le mobilitazioni contro l’aeroporto di Notre Dame des Landes o contro la diga di Sivens. Giovani, precari, persone non organizzate ma anche degli ambienti militanti sindacali hanno messo in campo azioni di resistenza contro le decisioni anti-democratiche, mostrando che era possibile opporsi alle scelte capitaliste.
Ci sono state anche, in differenti settori, lotte di lavoratori del commercio per il salario o contro il lavoro di domenica, nel settore della salute anche qui per le condizioni di lavoro, contro le carenze di personale, e nelle catene alberghiere lotte di addette alle pulizie fortemente precarie.
Di lotte ce ne sono state e ce ne sono ma sono sparse, non coordinate. Ciò che non permette di cambiare il rapporto di forza. Insomma, dal movimento contro la riforma delle pensioni nel 2010 non c’era stata mobilitazione a scala territoriale. La disfatta allora era costata cara al movimento sociale, aveva contribuito a demoralizzare i militanti.
A questa situazione sociale difficile si aggiunge la brutalità della crisi che colpisce milioni di persone. La disoccupazione, la precarietà, la povertà si generalizzano. Le persone subiscono le abitazioni inadeguate, la difficoltà di curarsi. Devono subire anche l’intensificazione del lavoro, quelle e quelli che hanno la fortuna di avere un impiego, le malattie professionali esplodono. Violenza sociale quotidiana è anche lo smantellamento dei servizi pubblici, con meno ospedali, scuole…
Di conseguenza i legami sociali più saldi, le solidarietà si rompono, gli oppressi sono divisi da pregiudizi razzisti ma anche sessisti, omofobi, che si rinforzano. C’è una perdita della coscienza di classe, perdita del sentimento di appartenere al campo degli sfruttati e degli oppressi. C’è, dunque, una perdita di riferimento, allora la collera sbaglia spesso a individuare l’avversario, l’immigrato o il disoccupato diventano a torto il responsabile della crisi. Tutto ciò largamente incoraggiato dai politici reazionari della destra, dell’estrema destra. Un’estrema destra, come in parecchi paesi di Europa, che diventa una forza elettorale molto influente negli ambienti popolari.
È in questo contesto che ci sono stati gli attentati nel 2015 (gennaio e novembre) e che il governo ha deciso di istituire lo stato di emergenza, presunta risposta al terrorismo. Un risposta securitaria, con più poliziotti, più esercito nelle strade, davanti agli edifici pubblici. Ma questa risposta si è poi rivelata per ciò che era. La conseguenza è che, in nome della sicurezza di tutti, le manifestazioni contro la COP21 sono state vietate, alcune manifestazioni di sostegno ai migranti sono state represse. Alcuni militanti ecologisti sono stati sottoposti all’obbligo di residenza, dei militanti collocati in custodia cautelare. Le libertà di manifestare, di contestare la politica del governo sono state ridotte. Una volontà chiara di imbavagliare il movimento sociale, nel momento in cui la collera cominciare ad esprimersi di nuovo.
Perché le settimane precedenti sono state contrassegnate dalla collera dei lavoratori di Air France che denunciavano un nuovo piano di tagli occupazionali, un’azione conclusa con la fuga dei dirigenti, cacciati, le camicie stracciate … cosa che aveva colpito profondamente il padronato e le élite. Per molti giorni avevamo avuto una campagna di denigrazione dei lavoratori violenti, da parte di ministri, di padroni che davano del teppista ai salariati. Ironia della storia, Valls ha denunciato la “violenza” dei lavoratori da Riad in occasione di un accordo commerciale col regime saudita ultrareazionario.
Il contesto di repressione del movimento sociale è stato lo stesso del processo dei lavoratori di Goodyear che avevano sequestrato per alcune ore la loro direzione durante la lotta nel 2013 contro la chiusura della loro fabbrica (1.300 licenziamenti). La direzione di Goodyear aveva ritirato la denuncia ma il potere ha voluto il processo, che ha condannato 8 militanti sindacalisti a 6 mesi di prigione! I militanti indubbiamente hanno fatto appello, ma questo serve a dire qual è l’ambiente. Gli esempi di militanti sindacali o del movimento sociale nel suo insieme condotti in tribunale o convocati dalla polizia si moltiplicano.
In queste condizioni, il movimento contro la loi travail che viviamo da 2 mesi, è una gran buona notizia, è anche quasi una sorpresa. Quasi solamente, perché in realtà la collera è là da molto tempo. Si è parlato delle lotte a Notre Dame des Landes, degli scioperi relativamente numerosi nelle imprese. Si può parlare anche del sostegno ai migranti, delle mobilitazioni a Calais, dove controcorrente si è espressa la solidarietà ai migranti, per l’accoglienza di emergenza ma anche contro il razzismo, per la libertà di circolazione e l’apertura delle frontiere. Il 23 gennaio c’è stata una manifestazione riuscita, dinamica, dove c’era la fierezza della solidarietà internazionale e della lotta antirazzista.
Il movimento è, dunque, esploso in queste ultime settimane. È partito da un nuovo attacco del governo contro i diritti dei lavoratori, un attacco diretto contro il codice del lavoro. Una legge che facilita ancora di più i licenziamenti, che dà libertà supplementari al padronato, che rimette in causa diritti concernenti la salute sul lavoro… Una legge che sarebbe potuta passare come le leggi precedenti, per quanto antisociale. Ebbene, no. Dapprima c’è una petizione messa on line in febbraio, che denuncia il progetto di legge, ne esige il ritiro, sono più di un milione di persone che la firmano, ciò va a sensibilizzare l’opinione pubblica, la contestazione si esprime largamente.
Le confederazioni sindacali restano prive di iniziativa. Il loro primo comunicato intersindacale è incredibilmente al di sotto della necessità, non è questione di mobilitazione, solamente di discussione col governo. Ah, questo sacro dialogo sociale al quale solo le burocrazie sindacali sembrano credere. I responsabili sindacali si scuotono, rapidamente propongono un’azione… tra più di un mese!
È infine la gioventù precaria o studentesca che prende l’iniziativa di lanciare la mobilitazione. Ciò parte dalle reti sociali, “noi valiamo” è ripreso dai sindacati degli studenti e dai liceali, dai sindacati dei lavoratori, è fissata la data del 9 marzo che è un successo, dà uno slancio considerevole. La mobilitazione si costruisce velocemente grazie alle date conosciute in anticipo. Le confederazioni sindacali si uniscono a queste azioni, più o meno apertamente secondo le date.
Le manifestazioni sono entusiaste, dinamiche, ciò suona come un risveglio. Finalmente si è là, nella strada, tutte e tutti insieme, mescolati, giovani, meno giovani, sindacalizzati, zadistes (attivisti che si oppongono ad una ZAD, zona di rinnovo urbano n.d.t.), precari, lavoratori, interinali, militanti della sinistra politica, molta gente in un clima quasi di festa. Per la prima volta da molto tempo, la contestazione sociale contro l’austerità, contro il padronato, per i diritti di tutte e di tutti, si fa sentire e riprende il cammino. Per la prima volta, è un confronto diretto con il governo di “sinistra”.
Al ritmo delle manifestazioni, non necessariamente molto massicce ma sufficientemente dinamiche per costruire una vera mobilitazione. L’opinione pubblica, del resto, è al 75% dalla parte dei manifestanti e contro la loi travail. Accade qualche cosa di enorme. La mobilitazione senza dubbio è tanto più una risposta all’insieme delle politiche di indietreggiamento sociale quanto più le subiamo da anni. La loi travail e la difesa del codice del lavoro sono certamente nel mirino, ma c’è molto più, il rigetto di questo governo detestato, di un padronato arrogante ed offensivo, il rigetto di un società diseguale, ingiusta e violenta.
Questo movimento è una risposta ad una società soffocante. È perciò che accanto alle manifestazioni appare un fenomeno nuovo, le Nuits Debout. Place de la République a Parigi sarà occupata le sere, le notti, le giornate da migliaia di persone, militanti o no, che organizzano delle assemblee generali per dibattere della legge, della collera delle persone, dello sfruttamento capitalista, della società, della democrazia… Una piazza dove si ritrovano diverse battaglie, quella contro la crisi climatica e per la difesa dell’ambiente naturale, quella della solidarietà con i migranti e contro i razzismi, quella contro i licenziamenti, per la difesa dei servizi pubblici, per la ripartizione delle ricchezze. Tutto ciò con una chiara coscienza della convergenza necessaria delle lotte. Questa piazza diventa un incrocio di lotte, di resistenze, di persone che aspirano ad un’altra cosa. La Nuit Debout parigina ne genera altre in numerose altre città dove centinaia, decine di migliaia di persone ugualmente si ritrovano nello stesso clima con gli stessi obiettivi.
Questo bisogno profondo di agire, di prendere queste cose nelle mani ha permesso che il movimento si rafforzasse rapidamente, malgrado i freni importanti che l’inerzia delle direzioni sindacali e la debolezza delle organizzazioni della sinistra radicale ed anticapitalista in particolare costituiscono. Le manifestazioni e le Nuits Debout hanno assunto un ruolo nei due ultimi mesi, hanno rimesso in campo l’idea della lotta. Ma adesso siamo in una situazione delicata. La mobilitazione fa fatica a ritrovare lo slancio dopo la “pausa” delle vacanze scolastiche, durata quasi 3 settimane. Per la prima volta dall’inizio, non abbiamo appuntamenti in calendario. C’è il rischio importante che il movimento si esaurisca. I dubbi ritornano. Tuttavia, la volontà, la determinazione e le possibilità ci sono sempre.
Manca l’avvio di un movimento di sciopero che si diffonderebbe, manca un settore per scatenare questa nuova tappa del movimento. Sappiamo tutti che la nostra forza risiede nel blocco dell’economia, nella generalizzazione del movimento. Cerchiamo il modo di superare questo passaggio. Ci sono, certo, nel contempo i ferrovieri in lotta contro una riforma che li riguarda, che potrebbero intraprendere uno sciopero ad oltranza che le direzioni sindacali non auspicano veramente. Ci sono i camionisti, che si mettono in sciopero il 16 maggio. In ogni caso, qualunque cosa sia, non è questione di mollare, dei collettivi militanti interprofessionali convergenti si sono costituiti e le prospettive d’azione sono sempre là.
Il movimento è di fronte ad una repressione brutale. È la risposta di un governo dapprima sorpreso dall’ampiezza della contestazione e che ora sembra volersi dare tutti i mezzi per fermare una mobilitazione che è durata fin troppo, giusto nel momento in cui il progetto di legge è in discussione al parlamento.
Le violenze poliziesche sono notevoli, toccano l’insieme dei manifestanti anche se prendono di mira particolarmente la gioventù, liceali e studenti, particolarmente quelle e quelli che rispondono alle aggressioni delle forze dell’ordine, che vogliono schiacciare fisicamente. I poliziotti in divisa o in borghese, usano i lagrimogeni, colpiscono, tirano a vista proiettili di gomma, che feriscono gravemente decine, addirittura centinaia di manifestanti. La polizia è onnipresente nella maggior parte delle manifestazioni, super-armata, super-attrezzata mentre il movimento era completamente pacifico, senza nessuno “scantonamento”. E’ proprio la volontà repressiva del governo che provoca le tensioni e le baruffe. Essa mira a far degenerare la mobilitazione, ad indebolirla con l’intimidazione.
In questi ultimi giorni, c’è una grossa campagna del governo, ripresa dalla destra e dall’estrema destra contro i “teppisti” ed i rompitori “, per l’interdizione delle manifestazioni e delle Nuits Debout. L’offensiva è tale che i sindacati di polizia manifesteranno il 18 maggio contro le violenze “anti-flics!” Questa campagna è logicamente orchestrata dai media, al servizio del potere. Fortunatamente sulle reti sociali circolano dei video, un lavoro importante di alcuni media denuncia il falso e mostra la realtà delle violenze.
La questione della repressione diventa cruciale per il futuro del movimento, diventa necessario discutere di come proteggere le manifestazioni, di quali risposte dare per difendere i diritti di manifestare e di contestare la politica del potere.
I militanti del NPA partecipano attivamente al movimento, allo stesso tempo stesso svolgono militanza quotidiana per costruire il movimento e per difendere le nostre idee anti-capitaliste, la prospettiva della convergenza delle lotte e dello sciopero generale, l’importanza di prendere i propri interessi nelle mani. Il movimento non ha detto la sua ultima parola.
*intervento svolto alla Assemblea per un Piano B di Roma 8 maggio. Philippe Poutou, operaio della Ford, è il candidato del NPA alle prossime presidenziali