6.4 C
Rome
domenica, Novembre 17, 2024
6.4 C
Rome
domenica, Novembre 17, 2024
Homequotidiano movimento“Ragazzi, la vostra prof, prima di essere insegnante, è antifascista”.

“Ragazzi, la vostra prof, prima di essere insegnante, è antifascista”.

Lettera aperta agli studenti sull’antifascismo. Ho inteso la Resistenza come “educazione in atto”, mai come agiografia. Non mi sono mai piaciute le celebrazioni,  troppo museali. La moralità nasce dal conflitto

di Patrizia Buffa

170318563-a2709f5b-ef77-4030-8789-df3c071744cc

Cari ragazzi,

l’anno scolastico volge al termine, eppure sento il bisogno di scrivervi perché vi ho sempre considerati soggetti di diritto e mai semplicemente studenti. Mi rivolgo a voi perché questo, dopo tanti anni d’insegnamento, è il mio modo naturale di situarmi nel mondo, perché è a voi che ho cercato di trasmettere, nel tempo, quel senso permanente di scomodità che consiste nel non sentirsi mai a proprio agio, nell’avvertirsi sempre un poco fuori posto o, come sosteneva Adorno, nell’interpretare la forma più alta di moralità non sentendosi mai a casa, nemmeno a casa propria.

Non ho mai avuto quel pudore che induce buona parte degli insegnanti a rimanere dietro un’impenetrabile coltre, in nome di una presunta neutra “professionalità”. Sono sempre stata – oggi direbbe qualcuno – “politicamente scorretta”. D’altronde vi ho sempre insegnato che non esistono narrazioni fattuali oggettive, ma che dietro ogni narrazione c’è una soggettività che rimanda a un preciso orizzonte valoriale. La memoria è oblio, direbbe Le Goff: quando ricordiamo, facciamo selezioni. Dietro i “non-detti” ci sono i nostri “detti”.  Provate a scrivere la vostra biografia in dieci righe e scoprirete che dietro la vostra narrazione si nascondono tagli e amnesie più o meno consapevoli perché nessuna narrazione potrà mai espungere la soggettività, nemmeno nella scuola delle “competenze”. E se è vero che ogni nostro atto è implicitamente espressione dell’intera personalità di chi lo compie, comunque, con voi, mi sono sempre dichiarata apertamente: ”ragazzi, la vostra insegnante, prima di essere insegnante, è antifascista”. In questa dichiarazione, declinata in una specie di patto d’aula, era ed è compresa la mia assunzione di responsabilità e di tensione morale nei vostri confronti. Era ed è un modo per ri-orientare l’azione didattica verso uno sforzo comune di giustizia, un impegno collettivo volto a realizzar-ci attraverso e non contro l’altrui dignità, fuggendo così dal rischio delle ovvietà e delle sclerotizzazioni. Il Vittorini del dopoguerra avrebbe asciuttamente sintetizzato questa tensione attraverso un’affermazione forte: “ non più una cultura che consoli nelle sofferenze, ma una cultura che protegga dalle sofferenze e che le elimini”.

La politica è una cosa troppo importante: non può essere lasciata nei gangli dei dispositivi di potere.

Nel continuo fare riferimento ai valori della Resistenza e dell’antifascismo, volutamente sono stata con voi anti-commemorativa, poco ieratica, laica, fedele alla lezione di Calvino. Ho inteso la Resistenza come “educazione in atto”, come processualità in corso, mai come agiografia. Non mi sono mai piaciute le celebrazioni, né i “tre minuti di silenzio” dopo il suono della campanella: sono troppo museali, servono, ma solo apparentemente, a emendare coscienze. La moralità nasce dal conflitto, non dalla paralisi, né dalle pacificazioni o dalle omologazioni. Non possiamo sottrarci a una storia comune, ma possiamo e dobbiamo discernere. Eppure, è inutile nasconderci – lo avverto incrociando lo sguardo di qualcuno di voi – quell’azione didattica, declinata sul “paradigma antifascista”, sembra oggi un pezzo di antiquariato. Certo, quel paradigma da troppo tempo è in crisi. E a questa crisi hanno magistralmente contribuito la pretesa di una pacificazione fondata sull’indistinzione, la smobilitazione delle coscienze critiche, l’atteggiamento bulimico nei confronti della memoria, che ha aperto la strada alle memorie in concorrenza e al revisionismo, rendendo tutto uguale e, dunque, tutto neutro. E mentre tutto ciò accadeva, nel subconscio dei meno attenti, passava, senza particolari azioni di contrasto, l’idea di essere parte di un progetto globale declinato su nuovi leaderismi. Nel frattempo, mentre si consumava il processo di sdoganamento del fascismo, le parole cambiavano di senso e gli antifascisti diventavano gli “antagonisti”: una mutazione genetica che si ricapitola all’interno di ciò che Calvino avrebbe efficacemente definito “antilingua”.

“Caratteristica principale dell’antilingua è quello che definirei “terrore semantico”, cioè la fuga di fronte ad ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato ……Nell’antilingua i significati sono costantemente allontanati, relegati in fondo a una prospettiva di vocaboli che di per se stessi non vogliono dire niente o vogliono dire qualcosa di vago e sfuggente….” (Calvino, L’ANTILINGUA, 1965)

L’antilingua è ciò che ci allontana dal senso, dalla familiarità, dai fondamenti. Così stiamo perdendo lo status di antifascisti e stiamo diventando gli antagonisti, i perturbatori, i destabilizzatori, almeno per le vestali del dettato di J. P. Morgan e dei liquidatori a buon mercato delle Costituzioni antifasciste. Non è stato poi così difficile partorire questa mostruosità: l’antifascismo, in questo paese non si è mai costituito quale reale nervatura della nostra memoria collettiva. Tanti, troppi, sono stati i percorsi ad ostacoli, in primis la mancanza di una “Norimberga italiana” che, come sostiene lo storico Filippo Focardi, ha alimentato e consolidato l’oblio collettivo. Il risultato è che, a colpi di revisionismo, abbiamo superato anche le omologazioni tra vittime e carnefici: i nuovi fascisti che fanno marcette su Roma diventano i “bravi ragazzi” e gli antifascisti diventano gli “antagonisti”, con tutta la carica semantica di negatività che il termine comporta per i media mainstream.

Chiudo questa lettera, cercando di neutralizzare l’amarezza con una bellissima metafora di Bloch:il bravo storico è come l’orco della fiaba. Egli sa che là dove fiuta carne umana, là è la sua preda”.

Io continuerò, per quanto mi sarà possibile, a fare l’orco. Continuerò a interpretare il mestiere d’insegnante sollecitandovi a non agire mai in nome di un presunto “Befehl ist Befehl” e, a settembre, quando incontrerò nuovi studenti, per prima cosa dirò loro: “ragazzi, la vostra insegnante, prima di essere insegnante, è antifascista”.

*insegnante

pantani-3_er

 

1 COMMENT

  1. salve,
    però è importante capire (e sopratutto insegnare ai bambini…) che molti partigiani-comunisti si sono comportati in modo totalmente assimilabile ad un terrorista eh! giusto per far chiarezza sui termini 🙂

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Ultimi articoli

Lo squadrismo dei tifosi israeliani e il pogrom immaginario

Violenza ad Amsterdam: i fatti dietro le mistificazioni e le manipolazioni politiche e mediatiche [Gwenaelle Lenoir]

Ferrarotti è morto e forse la sociologia non si sente troppo bene

Vita e opere dell'uomo, morto il 13 novembre a 98 anni, che ha portato la sociologia in Italia sfidando (e battendo) i pregiudizi crociani

Un Acropoli che attraversa una città, recitando

A Genova va in scena, per la quindicesima edizione, il Festival di Teatro Akropolis Testimonianze ricerca azioni

Maya Issa: «Nessun compromesso sulla pelle dei palestinesi»

L'intervento della presidente del Movimento Studenti Palestinesi in Italia all'assemblea nazionale del 9 novembre [Maya Issa]

Come possiamo difenderci nella nuova era Trump

Bill Fletcher, organizzatore sindacale, sostiene che ora “il movimento sindacale deve diventare un movimento antifascista”. [Dave Zirin]