Nelle cinque grandi città al voto – Roma, Milano, Torino, Bologna e Napoli – nessun candidato sembra in grado di passare al primo turno, ma il Pd rischia di farcela in tutte, al ballottaggio. La vera partita è al referendum d’autunno
di Maurizio Zuccari
Non c’è stato solo il pasticciaccio brutto di Roma per i sinistrati di Fassina e quello nero di Milano per gli ambidestri della Meloni. E verrebbe da dire che destra e sinistra pari sono, almeno a pasticci di lista. Salvo poi vedere che pure i neodiccì alfaniani o i Fuxia people di Maria Teresa Baldini, l’antirom per eccellenza col suo sgargiante colore che “piace tanto alle donne eppoi non c’ha pensato nessuno”, hanno pasticciato in quel di Cosenza e Milano, e su tutti pendeva la daga del Tar. Impicci a parte, i candidati alle amministrative di oggi nei 1.300 comuni al voto, nelle liste civetta o ufficiali, su su fino ai possibili consiglieri e ai probabili sindaci, sono un campionario d’orrori o uno spasso, a seconda dei punti di vista. Comunque uno specchio fedele del Belpaese e dei suoi retrogusti, alla ribalta politica e mediatica per un tempo che per alcuni può durare più d’una legislatura, per molti è l’attimo fuggente da cogliere al volo. Una carica dei 1.001 dove ce n’è per tutte le tasche e ogni gusto. A Napoli c’è l’accoppiata di galantuomini che distribuiva soldini ai seggi, in lizza al comune partenopeo per il candidato renziano, con scorno di Bassolino. Nella multiculturale ex capitale borbonica non poteva mancare la candidatura transessuale con Daniel Lourdes Falanga, responsabile delle politiche per Arcigay, arcidevota alla Madonna. Ma non è l’unica: strizza l’occhio al mondo lgtb con la star trans Rosa Rubino anche De Magistris, che ci riprova invitando elegantemente il premier a cacarsi sotto a ogni comizio. Candidature trans & gay frienfly anche per Milano, decisamente avanti, dove si presenta Veronica Comeni, detta Alessandro, campione(ssa) d’intersessualità. Ma se siete per le quote rosa e più tradizionalisti, sotto la Madonnina potete affidarvi a Daria Colombo, consorte di Roberto Vecchioni, o alla signora Moratti, Milly. A Daria Pesce, legale di Abu Omar come di Nicole Minetti, o alla meno nota Sumaya Adbel Qader che sogna per sé un futuro da Khan e per Milano una moschea. Assai più machista Torino, dove nel record dei papabili sindaci, ben 18, tra i fiancheggiatori forzaitalioti c’è pure l’ultatifoso granata Lorenzo Vetrano, con otto anni di Daspo per essersi menato con gli ultrà romanisti. Roma finis mundi, infine, vede un duello in famiglia tra le nipotine del duce. Alessandra Mussolini corre come capintesta per Forza Italia a sostegno del redivivo Marchini, mentre la sorellastra Rachele sta con la Meloni. Una lotta tra bionde, graziate dal Tar che ha evitato bastonature sulle liste.
Ma parliamo di cose diversamente serie. Tanto pe’ vota’, come cantavano Bertolino & Bottura sul palco di Repidee – ammazza che idee – al Maxxi di Roma per scacciare i fantasmi dell’astensionismo, piuttosto corporei, reificando quelli altrettanto corposi del voto disgiunto. Nelle cinque grandi città al voto – oltre la capitale Milano, Torino, Bologna e Napoli – nessun candidato sembra in grado di passare al primo turno, ma il Pd rischia di farcela in tutte, al ballottaggio. Salvo la quasi certezza di perdere a Napoli contro il sindaco uscente e l’incognita Raggi a Roma. Se la Sora Virginia non dovesse spuntarla a prima botta, cosa pressoché impossibile, e Giachetti dovesse battere sul filo di lana la Meloni impregnata & cazzuta per il ballottaggio, cosa più che probabile, il Pd passerebbe all’incasso pure nella capitale, nonostante gli sfracelli fatti con Buzzi & compari e la cacciata di Marino. Altrimenti vedremo una pentastellata salire in Campidoglio, e che il dio degli atei e degli onesti ce la mandi buona. Ma la partita vera – ben lo sa il premier che s’è acconciato a spendersi in prima persona per il suo radicalchic capitolino di fiducia – sarà al referendum d’autunno. Con Renzi presumibilmente costretto a fare le valigie da palazzo Chigi e non uno straccio d’alternativa che sia meno peggio in un fosco orizzonte di guerra e tregenda sociale. Ma stiamo lieti, cantava il magnifico Lorenzo, del doman non v’è certezza e l’oggi chiama al voto. Tanto pe’ vota’: daje Bertoli’, attacca.
Caro Maurizio, non capisco il finale del tuo articolo, sembra che tu creda che vinceremo noi il referendum e lui se ne andrà. Se fai qualche banchetto per la raccolta delle firme ti accorgi subito che aria tira, almeno qui al nord: per noi brutta … e poi se anche vincessimo e Renzi se ne dovesse andare, come da promessa, già ora c’è qualche professore emerito della consulta come Cassese che dice: «Lo strumento referendario è un classico esempio di “single issue politics”: il popolo decide su un solo quesito. Il referendum su cui dovremo pronunciarci ci chiede di dire la nostra sulla modifica di alcuni articoli della Costituzione. Giuridicamente, il mancato passaggio non comporta dimissioni del governo, così come il passaggio non comporta fiducia al governo».
Se per te senza Renzi si va a rotoli per mancanza di alternativa … allora io voglio rotolare!
Cara Eugenia, il referendum è politico, se passa il no l’abatino e monna boschi vanno a casa, non ci piove. Poi se non passa… Quanto al resto, spero che la chiusa di oggi sia più chiara, ciao