Ore drammatiche alla Marcegaglia di Milano. I 7 operai in lotta da stamattina hanno occupato una palazzina, portandosi delle taniche
di Alessio Di Florio
“Abbiamo occupato la palazzina di via della casa dodici… ci siamo portati le taniche. .. qui devono venire a prenderci con i lagunari. … non usciamo più! Accorrete e fate girare. Via della casa 12 milano” questo il messaggio che da stamattina rimbalza sui social e sui siti web di movimento. L’hanno inviato i 7 operai della Marcegaglia di Milano che da due anni stanno portando avanti la lotta per difendere il loro posto di lavoro. Dopo il fallimento ieri delle trattative in Prefettura hanno deciso quest’azione di protesta.
La Marcegaglia è una delle principali aziende italiane ed europee (la sua presidente è oggi presidente della Confindustria europea) nel settore siderurgico, con interessi anche in altri settori. Ormai da due anni, in Marcegaglia 7 operai dello stabilimento di Milano stanno andando avanti la lotta contro la proprietà in difesa del posto di lavoro. Una lotta che, nelle ultime settimane, è tornata ad acuirsi. Massimiliano Murgo, delegato FIOM nello stabilimento, nei giorni scorsi è venuto a raccontare quanto sta succedendo a Vasto, in Abruzzo, ospite del locale circolo di Rifondazione Comunista e di Sinistra Anticapitalista Abruzzo. Massimiliano ha ripercorso la storia del gruppo, della pressoché totale assenza di conflittualità nelle relazioni sindacali fino all’inizio della loro lotta, della creatività e forza che in questi due anni hanno dovuto mettere in campo, di come sono stati anche esempio e avanguardia per i lavoratori degli altri stabilimenti. Perché i 7 operai in lotta non sono “solo 7”, quasi fossero un’esigua minoranza isolata, ma i primi 7 di una storia operaia tutta ancora da scrivere.
Una storia iniziata due anni fa, quando la proprietà ha comunicato la decisione di chiudere lo stabilimento di Milano. In tale occasione, come ha raccontato anche Massimiliano nell’incontro a Vasto, l’accordo di chiusura dello stabilimento ha offerto agli operai 3 possibili scelte:
– Accettare il trasferimento, incentivato e con messa a disposizione di trasporto aziendale con autobus, a Pozzolo Formigaro a 108 km dallo stabilimento di Milano
– Accettare la messa in mobilità e l’incentivo all’ esodo di 30000 euro lordi
– Non accettare ne il primo e ne il secondo, e nel periodo di CIGS, che in base all’accordo si sarebbe rinnovata per un altro anno, l’azienda si impegnava a trovare la ricollocazione in uno dei 4 stabilimenti del gruppo Marcegaglia limitrofi a Milano, quelli cioè di Lainate, Corsico, Boltiere e Lomagna. In caso di impossibilità a ricollocare entro i 2 anni di CIGS comunque l’azienda avrebbe offerto la possibilità di trasferirsi a Pozzolo. Eventualmente l’azienda si impegnava a ricercare soluzioni lavorative presso terzi, fornitori o clienti in provincia di Milano.
Al 30 ottobre 2014, ultimo giorno per comunicare la scelta, Massimiliano e i suoi compagni, “non avendo la possibilità, per ragioni di salute di alcuni e familiari di altri” di trasferirsi e per gli stessi motivi, di “perdere il lavoro in cambio di pochi soldi” decidono di rimanere in CIGS. “Come un fulmine a ciel sereno – raccontano – alla fine del mese di giugno 2015 l’azienda invece ci ha convocato per comunicarci di non essere intenzionata neanche a tentare l’apertura del secondo anno di CIGS, in quanto sarebbero state modificate le norme di accesso al secondo anno di tale istituto. In ragione di ciò ci comunicarono che ci avrebbero aperto la procedura di trasferimento a Pozzolo Formigaro, e che non avremmo neanche avuto diritto al trasporto aziendale.
Una tegola enorme sulla nostra testa. Conti alla mano trasferirci a quelle condizioni significava lavorare per pagarci benzina, casello, tagliandi e una macchina ogni 2/3 anni, mentre comunque rimanevano le condizioni di impedimento per tutti noi di recarci a lavoro così lontano. L’unica alternativa che ci dava l’azienda era il licenziamento senza nessuna indennità”. Davanti a questa prospettiva sono saliti sul tetto dello stabilimento per 6 giorni, un operaio si mise anche in sciopero della fame. Alla fine, grazie anche all’intervento del Prefetto, il secondo anno di CIGS fu attivato.
Il 2 maggio scorso l’azienda ha comunicato l’intenzione di inviare “le lettere di trasferimento coatto e senza agevolazioni”. E’ iniziato un nuovo scontro con i 7 operai in lotta che, lo scorso 31 maggio si sono incatenati “all’ingresso degli uffici direzionali, amministrativi e Commerciali di Marcegaglia Buildtech in via della Casa 12”. Dopo qualche ora si è riaperta la trattativa, con la convocazione di un tavolo in prefettura il 7 giugno. Raccontano i lavoratori che in quell’occasione l’azienda ha ribadito “di non aver alcuna possibilità di ricollocarci. La funzionaria prefettizia, ha ricordato all’azienda le ragioni del verbale di accordo sottoscritto col prefetto lo scorso anno e ha giustamente considerato inverosimile che una azienda solida e importante come Marcegaglia non sia stata in grado di trovare una soluzione per soli 7 operai”. La Prefettura ha quindi deciso di riconvocare il tavolo per il 14 giugno. E questa è cronaca di queste ore. Il fallimento, come scritto all’inizio, della trattativa e la decisione di occupare gli uffici Buildtech. “Ci siamo barricati all’interno della palazzina. Tutti gli ingressi sono bloccati.
QUESTA VOLTA NON FINISCE IN CHIACCHIERE. O ACCORDO O NON SI ESCE!
7 POSTI DI LAVORO A LAINATE CORSICO BOLTIERE E LOMAGNA!
Stiamo bene, non abbiamo alcuna intenzione di recare danni ai beni aziendali. In mensa c’è da mangiare. Stiamo segnando ciò che consumiamo per ripagarlo poi al gestore della mensa.
Emma Marcegaglia è presidente di business europe, l’associazione a tutela di tutte le imprese di europa.
Oltre a essere una dei mandanti del jobs act in Italia assieme agli altri sarà certamente una sostenitrice della loi traval. Per questa e altre ragioni ci sentiamo strettamente legati alle sorti di tutti i lavoratori di Francia a cui va tutta la nostra solidarietà”. Una solidarietà che sta viaggiando in Rete e non solo in queste ore, invitando chi vive a Milano e dintorni e solidarizza con i 7 operai a recarsi presso la palazzina occupata, e con la proposta di attivare una cassa di resistenza.