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Parigi, gli adoratori di vetrine e i lavoratori trasparenti

Un milione di lavoratori sfila a Parigi contro la loi travail ma i giornalisti italiani vedono solo pochi incappucciati. Potenza dei lacrimiogeni oppure strabismo dei professionisti del “dito e la luna”?

di Checchino Antonini

13403177_10153566836040952_6460294117957100948_oScontri, casseurs, ferro, fuoco, feriti, frantumi. Sono le parole più ricorrenti nei titoli e nei pezzi di ieri da Parigi. A scorrere gli articoli si può scoprire che i feriti non sono gravi e che i “black bloc” (quanto gli piace chiamarli così) non erano che poche centinaia in mezzo a un milione di persone che sono arrivate a Parigi per contestare il jobs act, pari pari quello di Renzi e Poletti.

Dietro gli scontri una manifestazione immensa – si può leggere su Brescia Anticapitalista – quando la testa entrava agli Invalides la coda non riusciva a defluire da Place d’Italie distante oltre 5 Km. Il rumore assordante dei tamburi degli 8000 portuali confluiti da Havre, Marseille e dagli altri porti in sciopero, dava l’idea della forza dei lavoratori e di questa mobilitazione.

Gattaz, il presidente del MDEF la confindustria francese, in conferenza stampa denuncia il clima nauseabondo in cui i delegati sindacali e gli operai hanno un sentimento di impunità. Ha dichiarato che è necessario che il governo riprenda in mano con la forza la situazione, e impedisca ai lavoratori di danneggiare l’economia della Francia. A Marsiglia un’altra manifestazione enorme, con 140.000 lavoratori e studenti, ha paralizzato la città. Manifestazioni in moltissime città.

Ma il milione di lavorartori, forse, era trasparente, della stessa materia dello spettro che si aggira per l’Europa, che – come quello – turba i sonni – ma è innominabile. Meglio mescolare i fatti e chiacchierare sulla Francia nella morsa della violenza: hooligans, jihadisti, casseurs e servizio d’ordine della Cgt. E’ la vecchia storia del dito e della luna, cavallo di battaglia degli stessi giornalisti che hanno sostenuto che l’austerità avrebbe promosso la crescita, che la flessibilità avrebbe creato lavoro, che l’alta velocità, il petrolio e l’uranio impoverito fanno bene, che la guerra è umanitaria. Adoratori di vetrine, si direbbe, appena se ne rompe una nel centro cittadino loro ne soffrono tantissimo. E con gli occhi pieni di lacrime non riescono a mettere a fuoco il milione di lavoratori che manifesta contro lo sfruttamento, per trasformare i rapporti di forza.

Si può leggere su La Stampa, house organ della famiglia Agnelli, che «Coraggio e orgoglio gallico non bastano se l’irresponsabilità dei vecchi, anagraficamente e ideologicamente, sindacati francesi, mette i bastoni fra le ruote della società civile. Lungi dall’essere il motivo di tregua, gli Europei sono un bersaglio per terroristi e oggetto di ricatto per una Cgt corporativa».

Si invocano usanze antiche («Gli antichi Greci interrompevano le guerre per le Olimpiadi») e solo in fondo all’articolo di fondo si svela il vero timore dell’articolista: «La Francia è nell’occhio del ciclone. Potrebbe toccare a qualsiasi Paese europeo, proprio mentre intorno a Brexit si sta cementando la solidarietà trasversale anti-sistema e anti-politica». In un altro pezzo, lo stesso giornale interpella il politologo Jean-Yves Camus per sentirsi rispondere, senza alcuna pezza d’appoggio: «Altro che casseur, questi sono militanti politici, il loro obiettivo è distruggere lo Stato, come in Italia durante gli anni di Piombo».

«Nel momento in cui la Francia ospita Euro 2016 e affronta il terrorismo, non sarà più permesso a nessuno di fare dimostrazioni in piazza se non sarà garantita la salvaguardia e l’incolumità delle persone e dei beni pubblici e privati»: il governo socialista fa il duro, all’indomani del grande corteo del 14 giugno, La loi travail non si tocca, «è già il risultato di un compromesso con i sindacati riformisti raggiunto mesi fa», ha giurato il premier Valls che, con Hollande, il presidente, condivide il record della più bassa popolarità di un governo in tutta l’epoca della Quinta repubblica. Ma intanto altri due giorni di scioperi e manifestazioni in tutta la Francia sono già in programma per il 23 e 28 giugno. La lotta continua contro la legge, che non piace a tre quarti della società francese perché carta straccia del contratto nazionale e delle 35 ore: turni più pesanti, licenziamenti facili e buste paga più leggere. Contro questo si battono milioni di lavoratrici e lavoratori forti del sostegno dell’intersindacale (una sorta di unità d’azione tra Cgt, sindacato confederale, il primo del paese, Sud-Solidaire, sindacato di base, e di un movimento di giovani studenti e precari, le Nuit Debout che sta sfidando da più di cento giorni le strettoie dell’Etat d’urgence, lo stato di emergenza.

da anticapitalista.org

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