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St. Pauli, vuota la bacheca dei trofei, stadio sempre pieno

Sale e scende dalla serie B, non ha mai vinto un trofeo ma è una delle squadre più amate dentro e fuori dallo stadio. E i suoi ultras sono antirazzisti e antifascisti.  Un libro spiega il mistero del St. Pauli

di Enrico Baldin

Football: Germany, 2. Bundesliga

Tifare allo stadio e fare politica a sinistra si può. E dimostrazione del connubio è la tifoseria del St. Pauli, una squadra tedesca attualmente militante nella Zweite Liga, la serie B della Germania. Una bacheca trofei vuota, una società che ha vissuto mille crisi economiche e societarie, una rosa che non ha mai visto passare grandi campioni, un continuo ondivagare tra promozioni e retrocessioni nelle prime tre serie calcistiche tedesche. Guai a parlare solo di sconfitte però, perché da quelle parti si ricordano bene un incredibile 2-1 inflitto in casa nel 2002 da ultimi in classifica agli appena laureati campioni intercontinentali del Bayern Monaco. Nonostante questo il Fc St. Pauli però non è la squadra che offre grandi palcoscenici sul calcio “che conta”. Eppure, oltre a Bayern e Borussia Dortmund, è tra le più seguite e amate di Germania. Complice, oltre ad un assetto societario che fa del St. Pauli una polisportiva “governata dal basso” unica al mondo, anche una tifoseria che nel corso dei decenni ha trovato il modo di farsi rispettare.

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A parlare di questa storia è un libro uscito l’anno scorso e che ha riscosso un buon successo. Si intitola St. Pauli siamo noi e racconta con un piglio a metà strada tra quello dello storico, del tifoso e del sociologo, decenni di avvenimenti nel quartiere portuale più proletario di Amburgo, quello dove tra locali punk, locali a luci rosse e industrie portuali si erge il Millerntorn Stadium. Al Millerntorn pochi giorni fa è terminata la ristrutturazione della Nord Kurve ove compare a caratteri cubitali la scritta “Nessuno è illegale”. In una società e in un tempo in cui dominano esclusione, emarginazione e discriminazioni, non poteva che essere questo il contributo di benvenuto a chi si reca allo stadio. Neppure due settimane fa le sconcertanti immagini andate in scena a Lille in una delle prime giornate dell’Europeo di calcio, quando in strada tifosi inglesi e gallesi hanno irriso e schernito quattro ragazzini rifugiati, tirando loro monetine. Immagini di intolleranza e odio che hanno indignato tutti ma che nel mondo del calcio, in un modo o nell’altro, si verificano non di rado. E’anche per questo che a St. Pauli si è deciso di fare politica dentro e fuori della curva, perché se qualcuno allo stadio predica l’esclusione e l’odio, ci dev’essere qualcun altro che manifesta i sentimenti opposti. E’ per questo che alcuni anni fa i tifosi del St. Pauli hanno accompagnato allo stadio alcuni rifugiati ospitati in un centro di accoglienza, offrendo loro il biglietto. Perché se ci son curve zeppe di neonazisti ci sono pure i tifosi del St. Pauli che pensano a testimoniare tutt’altri valori, oggi in parte accolti anche dai vertici del calcio tedesco. «Se ad Amburgo gli estremisti di destra antislamici di Pegida non sono mai riusciti a fare alcuna manifestazione, questo è grazie anche alla presa di posizione di chi popola la curva del St. Pauli» ci ha detto Marco Petroni, autore di St. Pauli siamo noi. «La Federcalcio tedesca su temi come razzismo, omofobia, maschilismo è molto più aperta dei vertici del calcio italiano – aggiunge Petroni – ma a questo si è arrivati anche grazie alle posizioni di tifoseria e società del St. Pauli che si sono manifestate presto, quando erano ancora impopolari».

Quel connubio tra politica e tifo si è registrato già molti anni fa e ha trovato forse la sua massima espressione negli anni delle occupazioni degli alloggi della Hafenstrasse. La lotta per il diritto alla casa nel quartiere di St. Pauli si è incrociata con la frequentazione del Millerntorn, coloro che difendevano il diritto all’abitare erano gli stessi che alla domenica andavano a tifare la squadra del Jolly Roger. E in questa storia di partecipazione e ribellione non poteva mancare uno come Volker Ippig, un antieroe, uno di quelli che rendono certi racconti romantici. Sì perché in quella squadra che tentava di salire in Bundesliga militava anche un portiere squatter, che condivideva l’occupazione di un alloggio in Hafenstrasse e con questo anche l’orto comune, le assemblee politiche e le barricate nel momento in cui c’era da difendere quei palazzoni dagli attacchi delle forze dell’ordine che volevano farli sgomberare. Ippig, portiere di buon livello che difese la porta dei “pirati” tra gli anni ’80 e ‘90 decise di sposare sia la squadra che il quartiere di St.Pauli. Salvo due separazioni coincise con due periodi di interruzione della sua carriera calcistica in cui scelse di fare semplicemente un lavoro normale, e di andare a sostenere i sandinisti in Nicaragua. Ippig è un simbolo di quegli anni in cui la squadra in bianco-marrone divenne un fenomeno cult e popolare.

«Mai più fascismo! Mai più guerra! Mai più terza liga!» era uno striscione che troneggiava allo stadio negli anni ’80 dopo che la tifoseria era rimasta sconvolta dalla retrocessione in terza divisione. All’epoca a popolare le gradinate del Millerntorn erano giubbotti neri di pelle, cappucci scuri e creste colorate dei punk di Amburgo. Alcuni erano tifosi storici del St. Pauli, altri se n’erano andati dalla squadra principale della città, l’Amburgo, perché la curva era zeppa di nazisti, quasi come quelle dell’Hansa Rostock e del Borussia Dortmund. A colpi di slogan e striscioni ironici e sarcastici, lentamente i primi tifosi radicali (cento o duecento nelle partite casalinghe) vennero accettati dalla maggioranza più tranquilla della tifoseria che inizialmente non capiva la necessità di prendere posizione. Poi, nel giro di qualche anno, il nuovo assetto societario della polisportiva, dimostrò la solidità della tifoseria, impegnata al contempo allo stadio, nelle assemblee dei soci, e nelle attività sociali che in nome di St. Pauli erano orientate al quartiere. Le migliaia di soci del club negli anni hanno deliberato varie iniziative: da quelle rivolte ai giovanissimi, a quelle di tutela dello sport femminile, dai progetti di inclusione sociale al fattivo divieto di colonizzazione finanziaria da parte di gruppi speculativi.

Del resto si può avere l’armadio dei trofei vuoto, si può faticare ad andare oltre la Zweite Liga e competere col budget economico più basso del campionato, ma al contempo avere lo stadio più affollato del campionato, centinaia e centinaia di club di tifosi e dieci milioni di supporters sparsi nei vari angoli del pianeta. E questo nel quartiere che si affaccia all’Elba, vale di più di una Coppa Intercontinentale.

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