Cambia la sede, l’Auditorium invece del ninfeo di Villa Giulia, ma la musica è la stessa. Così il premio rappresenterà solo se stesso
di Maurizio Zuccari
«Torniamo al ninfeo di villa Giulia. Quello è il posto dello Strega». La migliore battuta della serata l’ha fatta Francesco Piccolo, vincitore tra i più recenti e meno esaltanti del premio, che difatti ha strappato un applauso tra i pochi convinti della mesta serata.
Tra i rari a non appartenere alla scuderia Mondadori-Rizzoli – difatti è Einaudi, pressoché la stessa cosa – che l’ha vinto dieci volte nell’ultimo quindicennio. Stavolta c’è stata ancora meno gara tra Edoardo Albinati, che s’è aggiudicato la soporifera edizione del 70esimo, e gli altri. Tra i 143 voti del vincitore e i 25 di Elena Stancanelli, dame en rose stancamente navigante sulla Nave di Teseo, c’è un mondo, non solo letterario. Forse solo la corsa fra il secondo e terzo posto sul podio, tra L’uomo del futuro di Eraldo Affinati e il Cinghiale che uccise Liberty Valance di Giordano Meacci – look scapigliato strettamente post pasoliniano, sulla falsariga del passato vincitore, Nick Laferocia – risolta per un pugno di voti a favore del primo (Mondadori), ha fatto palpitare qualche cuore, ma bisognava essere davvero aficionados, con forti dosi di cardiotonici al seguito. Non che la vittoria di Albinati (Rizzoli) non sia meritata, col suo monumentale La scuola cattolica, ma insomma ci vuole altro per rivitalizzare quel che resta del bel mondo letterario e della letteratura tout court nel Belpaese. Ma questa, forse, è già di suo una domanda malposta, dunque deprivata di risposta, nell’età della fuffa spacciata per spettacolo e dell’ipersviluppo tecnologico dato come puro progresso.
Settant’anni? L’età giusta per un restyling. L’hanno pensata così alla Strega Alberti di Benevento e alla fondazione Bellonci, che in occasione del 70° Strega hanno rifatto il look al premio letterario più noto e riformato d’Italia. Ancorché immutabile. Addio alla storica sede di villa Giulia, col rinascimentale ninfeo primo teatro d’acque di Roma. È cambiata pure la data della finale, l’8 luglio, per non far impattare in diretta su Rai 3 la declamazione del vincitore con gli Europei, data la ferrea connessione tra utenza letteraria e calcistica. E se il tributo che la letteratura paga al calcio è chiaro specchio dei tempi, lo è pure il posto scelto: l’Auditorium. Ombelico culturale capitolino dove tutto si tiene e che tutto fagocita, dal cinema ai libri, all’arte, con buona pace della musica per cui Renzo Piano l’ha progettato. Luogo da pubblico massificato e mediatico, pagante, non per addetti ai lavori com’era la villa di Giulio III. Salotto letterario dove allignavano vecchie mummie e neorampanti, ora destinati a deperire e morire come piante private del loro habitat.
Il premio Strega trasloca, dunque, per la seconda volta da quando la buonanima di Maria Bellonci e consorte lo idearono, nel ‘47. Fino al ‘52 si tenne all’Hotel de la Ville, in via Sistina. E in quel delicato giardino di ninfee conobbe fasti e polemiche dell’Italietta che virava dal dopoguerra al boom, sopravvivendo alle stagioni dell’eversione e dello stragismo, fino agli anni ‘80 e al tracollo coèvo. Negli scatoloni che passano di mano sembrano chiudersi sogni e vicende di un mondo, non solo letterario, che più non è né sarà. Il voler stare al passo coi tempi, aprendo le sale degli amici (degli editori) a un pubblico che per quanto vasto resta risicato, appare una mera chimera, come l’editoria rivitalizzata dall’ebook. E nel crollo strutturale infuriano le polemiche. Feltrinelli ed Einaudi non hanno partecipato all’edizione 2016, mentre la Mondazzoli, che già fagocitava lo Strega, non ha più concorrenti a sbarrarle il passo. Suoi i primi due già in cinquina, Albinati & Affinati, per gli altri tre (Sermonti, Meacci e la Stancanelli), non c’è stata partita.
Se in tutto ciò l’unico premio letterario che conti in termini d’immagine e vendite, ancorché gioco di società da gerontocomio culturale che non conta nulla, per dirla come Massimiliano Parente, saprà rivitalizzarsi o perirà, si vedrà. Certo, fuori da quel ninfeo non sarà più lo stesso, e un bel pezzo di storia se ne va. Specchio, a suo modo, di vizi e virtù del Belpaese. La corazzata Mondazzoli colpisce e affonda al primo colpo, dunque, con Affinati. Se non saprà giocare pulito, sarà un gigante destinato a galleggiare nelle acque morte di uno stagno che nessun marketting renderà limpido e vitale. Se lo Strega non saprà rendersi autonomo dal club del monoeditore, tornando all’antico anche in termini di sede, resterà un marchio destinato a far vendere qualche libro in più, e ben venga, ma tanto interno alla temperie culturale del paese da ridursi a un gioco delle parti che nulla più rappresenta, se non se stesso.