Theresa May rimane l’unica aspirante alla carica di primo ministro dopo l’azzardo referendario di Cameron. «Se sarò io a diventare premier la Gran Bretagna sicuramente uscirà dall’Ue», aveva promesso May
Theresa May, ministro degli interni dello sciagurato governo Cameron, resta l’unica aspirante alla carica di primo ministro. Carica per la quale potrebbe essere designata a breve. «Se sarò io a diventare premier la Gran Bretagna sicuramente uscirà dall’Ue», aveva assicurato May. «Brexit significa Brexit», aveva ripetuto proponendosi come novella Lady di Ferro dopo la meno ovvia Margaret Thatcher.
Ma a due settimane dal referendum che ha sancito l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea le prime avvisaglie di ciò che accadrà nei prossimi mesi sono pessime. La sterlina ha perso il 15% del suo valore precipitando ai valori minimi del 1985. Svalutazione come quella avvenuta durante gli anni della Grande Recessione che però potrebbe non far crescere le esportazioni già in difficoltà (-146 miliardi di dollari), ma addirittura deprimere la domanda interna per la riduzione del potere d’acquisto e della maggiore inflazione.
Immediata invece la crisi nei movimenti di capitale verso il Regno Unito, in particolare nel settore immobiliare dove dall’inizio dell’anno si è registrato un calo di oltre il 50% del flusso dall’estero. In settimana i cinque grandi fondi immobiliari che nel complesso valgono 17,5 miliardi di dollari, hanno sospeso i rimborsi. Una valanga di richieste di smobilizzo da parte degli investitori che ha determinato una perdita media del 10% del valore dei titoli immobiliari nella Borsa di Londra.
Le politiche monetarie della Banca d’Inghilterra avevano favorito una crescita anomala del mercato immobiliare, una vera e propria bolla speculativa, creando il debito mostro delle famiglie rispetto al reddito disponibile del 130%. In Gran Bretagna, anche grazie all’Unione europea, campavano molto sopra le loro reali possibilità. E ora stanno per accorgersene. Scenario da ‘Lehman & Brothers’, come fu l’inizio della crisi dei mutui subprime americani.
Timori anche sul fronte degli investimenti esteri. 452,5 miliardi di euro, il cui 46% arriva dall’UE. Discesa inarrestabile: da 45,6 miliardi di dollari del 2013 a 35,8 miliardi di dollari nel 2014, e via scivolando. Sul fronte investimenti esteri in servizi finanziari, 15,4 miliardi di dollari nel 2014, JP Morgan a Deutsche Bank, hanno già annunciato attueranno migliaia di licenziamenti.
Mentre la crescita delle esportazioni spinta dalla svalutazione della sterlina, grande cavallo di battaglia del Brexit, appare sempre più improbabile.