Rovato e Pontoglio, comuni a guida leghista, avevano aumentato a dismisura la tassa agli stranieri per l’idoneità alloggiativa. Pontoglio aveva anche affisso deliranti segnali sulle radici cristiane. Un giudice li ha condannati
di Checchino Antonini
Rovato (dov’è stata soppressa la toponomastica dedicata a Pasolini) e Pontoglio, comuni del bresciano a guida leghista, sono stati condannati per comportamento discriminatorio: avevano aumentato a dismisura i diritti di segreteria per i certificati di idoneità alloggiativa. Una mossa dall’acre sapore di razzismo dettata dal desiderio di stimolaregli istinti identitari più deteriori. Quel certificato, infatti, serve soprattutto ai migranti che già devono pagare la pigione alla brava gente del posto. Il giudice di Brescia ha bocciato l’aumento del 626% (da 50 a 312 euro) voluto dalla giunta rovatese per il rilascio dei certificati di idoneità abitativa mentre quella di Pontoglio l’aveva innalzata “solo” da 200 a 425 euro.
Il Comune di Pontoglio è stato multato anche per aver installato cartelli stradali discriminatori. Sopra c’era scritto: «Pontoglio è un paese a cultura occidentale di profonda tradizione cristiana. Chi non intende rispettare la cultura e le tradizioni locali è invitato ad andarsene». Il comune, guidato dalla Lega, è stato condannato dal tribunale civile di Brescia che ha accolto il ricorso della Fondazione Guido Piccini e dall’Asgi (associazione studi giuridici sull’immigrazione) e riconosciuto il Comune colpevole di «discriminazione collettiva nei confronti degli immigrati e di chiunque professi una religione diversa da quella cristiana». L’amministrazione aveva già provveduto a togliere i cartelli, ma la rimozione non ha comunque fermato i giudici della terza sezione del tribunale civile di Brescia.
Nella sentenza viene ricordato che la certificazione di idoneità alloggiativa è un atto con il quale il comune, su istanza degli interessati, certifica ai fini igienico-sanitari e abitativi l’idoneità dell’alloggio ad ospitare un dato numero di persone: «Un atto – viene sottolineato – che tipicamente riguarda la condizione di straniero, poiché è indispensabile al fine di ottenere il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, richiedere il ricongiungimento familiare e acquisire il premesso di soggiorno per motivi familiari». Dunque, «benché in linea di principio la tariffa applicata dai comuni convenuti per la richiesta della certificazione di idoneità alloggiativa sia la medesima per tutti, italiani e stranieri, è evidente che l’interesse prevalente al rilascio della certificazione riguardi i soli stranieri». A titolo di esempio, nella sentenza si ricorda che a Rovato, su 104 ricevute, solo tre hanno infatti interessato cittadini italiani. Ricorrono dunque i presupposti della discriminazione «a danno di una categoria connotata da una qualità protetta, costituita dalla nazionalità». Di qui la decisione del giudice di: dichiarare il carattere discriminatorio della condotta tenuta dai Comuni di Rovato e Pontoglio; ordinare ai convenuti di cessare la condotta discriminatoria revocando le predette delibere e ripristiandno i diritti di segreteria nell’importo precedente la loro adozione; disporre che i convenuti procedano a rimuovere gli effetti della discriminazione mediante la restituzione di euro 262 quanto al Comune di Rovato e ad euro 225 quanto al Comune di Pontoglio, a ciascuno straniero che abbia fatto richiesta del certificato di idoneità alloggiativa nel periodo di validità delle delibere; ordinare ai convenuti di pubblicare a proprie spese l’ordinanza (per intero sui rispettivi siti internet, per estratto su un quotidiano di tiratura nazionale); condannare i convenuti alle spese di lite, quantificate in circa 7 mila euro. Ibrahima Niane, segretario Fillea Cgil residente a Rovato e promotore dell’iniziativa di contrasto nei confronti delle due delibere invita tutti i cittadini residenti nei due Comuni costretti a pagare diritti di segreteria abnormi per il certificato di idoneità alloggiativa a rivolgersi alla Camera del lavoro uffici essere sostenuti nell’inoltro delle richieste di rimborso.
Per le «radici cristiane» di Pontoglio, «Il punto non è se tale proposizione corrisponda o meno al vero – si legge nella sentenza -, la questione è che detto stato di cose, ammesso che sia tale, non può essere strumentalizzato da un ente pubblico per ostacolare o condizionare, foss’anche nella semplice forma della persuasione, il libero esercizio dei diritti costituzionali da parte di coloro che non si riconoscono nel substrato culturale del Comune». Lo Stato italiano, come viene ricordato nella sentenza, non è confessionale bensì «improntato al principio di laicità (articolo 19 Costituzione)» e «ragioni di razza e religione non possono pregiudicare l’eguale godimento dei diritti fondamentali dell’individuo (art 3 Costituzione), fra i quali figura quello della libertà di circolazione e soggiorno (articolo 16 Costituzione). Di qui la condanna a togliere i cartelli, pubblicare la sentenza sul sito istituzionale e su un quotidiano locale, a pagare le spese di lite, quantificate in circa 5 mila.
Per chi fosse un appassionato di radici cristiane si consiglia una visita al museo criminologico di Via Giulia dov’è conservata la collezione di ghigliottine e altri strumenti di tortura dello Stato Pontificio.