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Che ci faceva questo fascista veronese in Piazza della Loggia?

E’ quello che prova a scoprire la Procura di Brescia in una corsa contro il tempo. Anche l’ennesimo fascicolo di indagine sulla strage di Piazza della Loggia rischia di arenarsi

di Enrico Baldin

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Anche l’ennesimo fascicolo di indagine sulla strage di Piazza della Loggia a Brescia rischia di arenarsi. A pochi giorni dalla perizia che ha riconosciuto in Marco Toffaloni il minorenne presente nel luogo della strage, le parole rilasciate negli ultimi giorni dal procuratore generale di Brescia suonano come un grido di allarme.

I fatti innanzitutto. Il 28 maggio 1974 un attentato terroristico sconvolse la città di Brescia: durante un comizio antifascista svolto a Piazza della Loggia scoppia una bomba nascosta in un cestino, muoiono otto persone e ne vengono ferite altre centodue. Anni e anni di indagini, di inchieste aperte e poi arenate, sconvolte da depistaggi, dal coinvolgimento dei servizi segreti e da omicidi sospetti. Fino al processo d’appello del luglio 2015 ripetuto a Milano, in quella che è la terza istruttoria per la strage: vengono condannati all’ergastolo come mandante Carlo Maria Maggi – esponente di spicco dell’ala veneta di Ordine Nuovo – e Maurizio Tramonte estremista di destra legato ai servizi segreti. Entrambi sono tutt’oggi in libertà in attesa della sentenza di Cassazione.

Ma tra una istruttoria e l’altra, nasce un ennesimo filone di inchiesta basato sulle dichiarazioni di un “pentito mai pentito”, tal Giampaolo Stimamiglio, del giro veneto di Ordine Nuovo che ha fatto luce su alcune vicende legate a quegli anni. Stimamiglio in merito al suo passato nella destra estrema si disse «mai pentito delle scelte fatte» e disse di sentirsi fedele alle idee di origine, rammentando che in molti tradirono le loro idee per soldi, in particolare dando luogo a collaborazioni coi servizi segreti. Stimamiglio all’epoca parlò anche di Ludwig e dell’ipotesi (esclusa però dalle precedenti sentenze) che il duo veronese neonazista pluriomicida godesse di altri appoggi, tra cui quello dello stesso Toffaloni.

Tra le rivelazioni del pentito spiccarono in particolare quelle in merito alla bomba di Piazza della Loggia che fecero imboccare agli inquirenti la “pista Toffaloni”. Il veronese Marco Toffaloni – indagato per concorso in strage – il giorno dell’attentato era presente in Piazza della Loggia. Le prove – pur di fronte al rifiuto di collaborare del Toffaloni stesso – sono giunte pochi giorni fa quando una perizia rivelò che il ragazzo presente nelle foto di repertorio di quel 28 maggio, è lo stesso delle foto d’infanzia sequestrate dalla casa dei genitori dell’indagato. Da parte sua Toffaloni oggi vive sotto altra identità in Svizzera ed è un sessantenne che non si è sognato di rispondere alle domande degli inquirenti italiani. Il punto è che l’accusa suppone che i mandanti si siano avvalsi della manovalanza di alcuni ragazzini esaltati dall’estremismo di destra, che avrebbero prestato il loro servizio “logistico” alla strage. Tra questi vi sarebbe l’indagato in questione che all’epoca non era nemmeno 17enne.

Il problema è che questo filone di inchiesta, aperto oramai da qualche anno e ora giunto a segnare un punto importante a favore dell’accusa, potrebbe finire in un binario morto. Perché entro settembre deve essere chiusa l’inchiesta e al sostituto procuratore Francesco Piantoni e a Emma Avezzù, procuratore capo dei minori, serve altro tempo. Per questo la procura ha richiesto al Ministro della giustizia un provvedimento ad hoc, per far sì che non si debba chiudere frettolosamente un capitolo su una vicenda che rappresenta tutt’oggi una ferita aperta per la città di Brescia e per la storia italiana. Ad aggravare il tutto anche il trasferimento ad altro incarico del procuratore generale Maria Grazia Omboni che fino a poco tempo fa ha seguito l’inchiesta pronunziando le sentenze di condanna per Maggi e Tramonte e che sentì personalmente le deposizioni di Stimamiglio. Pure il sostituto Francesco Piantoni a settembre sarà spostato in altra sede, lasciando la procura di Brescia dopo 33 anni. Per la procura di Brescia, costretta agli straordinari da una carenza di magistrati di gravità particolare, si tratta di una corsa ad ostacoli contro il tempo.

La sentenza dell’anno scorso che ha decretato i due ergastoli fu una specie di liberazione per la città di Brescia, pur nella consapevolezza che Maggi e Tramonte non potevano essere gli unici responsabili della bomba e di quegli otto morti. Vi erano indubbiamente altre persone coinvolte a vari livelli. Ora si tratta di rispondere alla legittima domanda su cosa ci facesse l’estremista di destra Toffaloni ad un comizio antifascista che si trasformò in strage.

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