Se un primo dirigente della Polizia ha paura del reato di tortura, io ho paura di lui. Ilaria Cucchi rilancia la petizione per una vera legge contro la tortura
Un poliziotto fa lugubre ironia sui social contro il reato di tortura. Scrive da Bologna, da una città sconvolta dalla complicità di pezzi di questura con i criminali (e poliziotti) della Uno bianca, dagli episodi di tortura da parte di agenti della polizia municipale di Parma contro ragazzi colpevoli di essere africani, da una città sconvolta spesso dalla violenza della celere locale contro manifestanti di sinistra e, soprattutto a pochi chilometri da Ferrara dove quattro agenti uccisero un diciottenne disarmato e che non stava commettendo alcun reato: Federico Aldrovandi. Alcuni loro colleghi si adoperarono per depistare le indagini, la stragrande maggioranza dei questurini estensi si mostrò solidale con i quattro assassini. Ed è proprio in Emilia che si tenne, nel 2014, il congresso del Sap, sindacato molto importante e molto di destra, che tributò ai quattro una standing ovation che destò il voltastomaco di buona parte di opinione pubblica. L’anno prima un altro sindacato, molto meno grande ma molto di destra, aveva inscenato una manifestazione di solidarietà con i quattro proprio sotto le finestre dell’ufficio della mamma di Aldrovandi. Con coerenza, questo sindacatino s’è mostrato solidale col poliziotto ironico. La loro ossessione è che la tortura, una pratica diffusissima tra persone in divisa, possa perdere quell’aura di impunità che consente loro di affrontare con scarse conseguenze processi difficilissimi dal punto di vista delle vittime e dei loro familiari. Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, ucciso dalle conseguenze di un violentissimo arresto, risponde al poliziotto ironico e rilancia la petizione via web contro la tortura.
Caro Sig. Geo Ceccaroli, che ironia vuol essere questa? La legge sulla tortura è una cosa molto seria, soprattutto in questo momento e soprattutto in Italia.
Lei, che mi risulta essere primo dirigente della polizia di Stato – compartimento polizia postale Emilia Romagna – ci fa capire tante cose. La sua ironia ci fa capire la sua paura, figlia della disinformazione e della profonda arretratezza culturale che vede la legge sulla tortura come un pericolo per le forze dell’ordine.
Si vuol far passare la legge sulla tortura come un pericolo per la sicurezza dei cittadini ma possiamo comprenderne le ragioni per chi lo vorrebbe fare in Turchia non per chi lo vuole fare in Italia.
Lei è di Bologna e Bologna e l’Emilia Romagna è stata terra di casi giudiziari inquietanti, datati e anche meno datati. Quindi se la sua ironia e il suo scherno può sicuramente rivelare paura di una legge efficace sulla tortura io le posso dire che a mia volta provo paura della sua ironia e quindi anche di lei.
La sua paura fa paura a noi cittadini.
Noi continuiamo a lottare. Dobbiamo essere sempre di più. Condividete la nostra battaglia, fate firmare.