Mandato d’arresto contro la fondatrice delle Madres di Plaza de Mayo che non crede nell’imparzialità della giustizia del suo paese e sfida il regime Macrì
di Giulio AF Buratti
La leader delle madri di ‘Plaza de Mayo’, Hebe de Bonafini, contro la quale la giustizia argentina ha spiccato un ordine di cattura, ha reso noto stamani che entro qualche ora lascerà Buenos Aires e si recherà per un impegno di lavoro a Mar del Plata. Bonafini, 87 anni, ha così confermato che non intende presentarsi alla giustizia per rispondere alle accuse mosse dal giudice federale Marcelo Martinez de Giorgi, nell’ambito di un caso su malversazione di fondi pubblici. Hebe, hanno confermato fonti a lei vicine, non intende cambiare la propria agenda di lavoro ed è quindi pronta a viaggiare a Mar del Plata, a circa 400 km da Buenos Aires, dove aveva da tempo in programma un incontro sul tema dei diritti umani. «Ci ha detto che continuerà a fare la sua vita normale», ha commentato il legale della donna, Eduardo Fachal, confermando che «Hebe non ha fiducia nella giustizia argentina». Il giudice Martinez De Giorgi ha da parte sua ribadito l’ordine di cattura spiccato ieri contro Bonafini, senza escludere che possa essere fermata durante il viaggio a Mar del Plata: «Potrebbe essere bloccata in qualsiasi momento, purchè ciò non comporti dei rischi nei confronti della vita o la sicurezza di altre persone».
Centinaia di persone, tra cui diversi ex ministri ed ex dirigenti del governo di Cristina Fernandez de Kirchner, si sono riuniti ieri davanti alla sede delle Madri di Plaza de Mayo, nel centro di Buenos Aires, per esprimere il loro appoggio a Hebe de Bonafini, verso la quale è scattato un ordine di cattura dopo che si è rifiutata di deporre in tribunale in una causa di malversazione di fondi pubblici. Gli agenti che erano venuti a cercare Bonafini si sono visti bloccati da decine di militanti kirchneristi che gli hanno impedito l’accesso alla sede, e che sono diventati varie centinaia quando l’anziana militante dei diritti umani è andata sulla Plaza de Mayo, per la sua abituale visita dei giovedì. Sulla strada di ritorno alla sede delle Madri – mentre si diffondeva la notizia del mandato di fermo contro Bonafini – la folla che l’accompagnava è diventata più folta, e si è concentrata sulla strada in un clima di vero e proprio comizio politico.
E’ un nuovo caso di repressione del dissenso nell’era Macrì, in Argentina, quello che vede protagonista Hebe de Bonafini, leader dell’organizzazione e tra le fondatrici del gruppo: «Se vogliono sbattermi in galera, lo facciano pure…». Secondo la legge argentina un cittadino può rifiutarsi di rilasciare dichiarazioni davanti al magistrato, ma deve presentarsi personalmente per farlo. Bonafini, che in precedenza aveva consigliato al giudice di «mettersi la sua ordinanza in culo», questa volta ha inviato uno scritto attraverso il suo avvocato, nel quale ha detto che non crede nell’imparzialità della giustizia del suo paese. La nota militante per i diritti umani è chiamata nel quadro dell’inchiesta sul programma «Sogni Condivisi», un progetto di costruzione di case popolari gestito dalle Madri di Plaza de Mayo durante il governo di Cristina Kirchner. Secondo l’ipotesi della procura, circa il 40% dei fondi pubblici versati per l’iniziativa – per un totale di 4 milioni di euro – sono stati deviati per essere usati per altri scopi, senza alcun registro regolare della spesa.
Si fa scuro il cielo sopra l‘Argentina del Presidente Mauricio Macri – scrive Tiziana Barillà sul sito di Left – ricordando le parole della coraggiosa madre: «La mia vita già non vale molto, ho 90 anni. Non ho paura delle conseguenze, nessuna paura delle conseguenze. Per me l’importante è la vita e l’onore dei miei figli e dei 30mila (riferendosi ai desaparecidos della dittatura argentina)».
Prima di Hebe è toccato a Milagro Sala, la leader indigena a capo di Tupac Amaru, l’organizzazione di 70mila iscritti, in maggior parte indigeni, nata per fronteggiare la crisi del 2000 e che, con il lavoro cooperativo ha costruito – durante i governi Kirchner – oltre 4mila case popolari con il lavoro di 150 cooperative. È stata accusata prima di istigazione a delinquere e attività sovversive e poi per frode nei confronti dell’amministrazione pubblica e uso improprio di fondi pubblici (per le cooperative di autocostruzione). Arrestata il 16 gennaio, a pochissimi giorni dall’elezione di Macri al governo, Milagro è ancora in carcere. Senza contare i licenziamenti a tre zeri del Presidente: su tutti, quello del giornalista uruguaiano Victor Hugo Morales (diventato famoso in tutto il mondo per la telecronaca del 2 a 0 di Maradona ai mondiali del 1986), licenziato da un’emittente privata argentina dopo 30 anni di carriera, che ha denunciato: «il motivo è politico».
La repressione targata Mauricio Macri continua, mentre si fa sempre più spaventoso il ritorno alla persecuzione politica nel Paese, l’Argentina, che ha ancora vivo il ricordo della dittatura di Videla. Quella iniziata il 24 marzo 1976, quando il generale José Rogelio Villareal disse a Isabel Martínez de Perón: «Signora, le Forze armate hanno preso il controllo politico del Paese. Lei è in arresto». Cominciò tutto anche allora con un arresto, nella Buenos Aires di Videla dove ogni cinque ore si commetteva un assassinio politico, e ogni tre esplodeva una bomba.