La Banca Centrale della Colombia ha messo in circolazione una banconota da 50mila pesos dedicata all’autore di Cent’anni di solitudine, Gabriel Garcia Marquez. Ecco la storia delle farfalle
di Giulio AF Buratti
La Banca Centrale della Colombia ha messo in circolazione dal 19 agosto una nuova banconota con l’effigie di Gabriel Garcia Marquez, l’autore di «Cent’anni di solitudine», vincitore del premio Nobel per la Letteratura nel 1982, morto il 17 aprile del 2014. La nuova banconota di 50 mila pesos (circa 18 euro) presenta due immagini di «Gabo» sul lato principale: un ritratto del viso dello scrittore e un secondo ritratto in piedi, attorniato da farfalle gialle con le quali è identificato uno dei personaggi del suo romanzo capolavoro, Mauricio Babilonia. Sul lato opposto si trova un’immagine della Ciudad Perdida, il nucleo principale della cultura indigena dei Tayrona, a poca distanza da Aracataca, la piccola località dove il 6 marzo 1927 è nato Garcia Marquez, nel dipartimento di Magdalena, nel nord della Colombia.
Tutto è possibile a Macondo: le stuoie possono volare, i morti possono resuscitare, ci possono essere piogge di fiori, può comparire la peste del sonno; Rebeca può mangiare terra e calcinacci e girovagare con un zainetto sulle spalle contenente le ossa dei genitori morti. Possono nascere figli con la coda di maiale da genitori non ottemperanti al divieto dell’incesto; un vecchio delirante, divorato dalla demenza senile, può aspettare la propria morte legato a un castagno, macerato dal sole e dalla pioggia; ci possono essere spettri che camminano per la casa e spostano gli oggetti; ci può essere Amaranta che inizia a tessere il proprio sudario per ordine della Morte in persona, e muore non appena ha terminato l’opera. Remedios la bella improvvisamente ascende al cielo in un’esplosione di luce, circondata da farfalle, dopo aver fatto perdere la ragione a diversi uomini. Aureliano Buendía non esce più dalla sua stanza dove continua a lavorare ai pesciolini d’oro, finché un mattino muore mentre è uscito a urinare in cortile. Il governo proclama ipocritamente il lutto nazionale.
Meme è cresciuta, viene inviata a studiare in collegio per volontà della madre Fernanda. Per salvaguardare l’unità della famiglia, suo padre (che si è trasferito a abitare dall’amante Petra Cotes) torna dalla moglie ogni volta che Meme torna a casa in vacanza. La ragazzina però si innamora di Mauricio Babilonia, un autista che lavora per la compagnia bananiera, e lo frequenta a casa di Pilar Ternera. Nonna Ursula, più che centenaria, perde la vista, ma conosce così bene la casa che riesce a tenerlo nascosto a tutti. Amaranta, ormai vecchia e amareggiata dal pluridecennale rimpianto per il suicidio di Pietro Crespi, riceve dalla morte stessa il preavviso che dovrà lasciare questo mondo appena finito di tessere un lenzuolo funebre, e così accade puntualmente.
Scoperta la tresca della figlia Meme, Fernanda denuncia la presenza di un ladro di galline intorno alla casa; colpito da una guardia mentre si intrufola di notte nel bagno (dove Meme lo stava aspettando), Mauricio Babilonia rimane paralizzato a vita. Ecco uno stralcio da Cent’anni di solitudine.
Fu allora che si accorse delle farfalle gialle che precedevano le apparizioni di Mauricio Babilonia. Le aveva viste già prima, soprattutto nell’officina meccanica, e aveva pensato che fossero attirate dall’odore della vernice. Certe volte le aveva sentite svolazzare sulla sua testa nella penombra del cinema. Ma quando Mauricio Babilonia cominciò a incalzarla, come uno spettro che soltanto lei riconosceva nella folla, capì che le farfalle gialle avevano qualcosa a che vedere con lui. Mauricio Babilonia faceva sempre parte del pubblico dei concerti, del cinema, della messa cantata, e lei non aveva bisogno di vederlo per individuarlo, perché glielo segnalavano le farfalle.
Meme sapeva già allora che il sabato sera Aureliano Secondo aveva un impegno. Tuttavia, il fuoco dell’ansia la arroventò in modo tale nel corso della settimana, che il sabato convinse suo padre a lasciarla andare da sola al cinema e a tornarla a prendere al termine dello spettacolo. Una farfalla notturna svolazzò sulla sua testa fintanto che le luci rimasero accese. E allora successe. Quando le luci si spensero, Mauricio Babilonia venne a sedersi accanto a lei. Meme sentì di star sguazzando in una fangaia di irrequietudine, dalla quale poteva toglierla, come era avvenuto nel sogno, soltanto quell’uomo odoroso di olio di motore che lei appena riusciva a distinguere nella penombra.
Verso il crepuscolo, le farfalle gialle invadevano la casa. Tutte le sere, tornando dal bagno, Meme trovava
Fernanda disperata, intenta ad uccidere farfalle gialle con lo spruzzatore di insetticida. “Questa è una disgrazia,” diceva. “Mi hanno sempre detto che le farfalle notturne portano sfortuna.” Una sera, mentre Meme si trovava nel bagno, Fernanda entrò nella sua stanza per caso, e c’erano tante farfalle che si poteva appena respirare. Afferrò uno straccio qualsiasi per scacciarle, e il cuore le si gelò di terrore quando mise in relazione i bagni notturni di sua figlia coi cacaplasmi di senape che erano caduti per terra. Non attese il momento opportuno, come aveva fatto la prima volta. Il giorno dopo invitò a pranzo il nuovo alcalde, che come lei veniva dagli altipiani, e lo pregò di far mettere una guardia notturna in fondo al patio, perché aveva l’impressione che le rubassero le galline. Quella sera, la guardia abbatté Mauricio Babilonia mentre stava togliendo le tegole per entrare nel bagno dove Meme lo aspettava, nuda e tremante di amore tra gli scorpioni e le farfalle, come aveva fatto per quasi tutte le notti degli ultimi mesi. Un proiettile incrostato nella colonna vertebrale lo costrinse in un letto per il resto della vita. Mor ì vecchio nella solitudine, senza un lamento, senza una protesta, senza un solo tentativo di risentimento, tormentato dai ricordi e dalle farfalle gialle che non gli concedettero un istante di pace, e ripudiato da tutti come ladro di galline.
Quando sua madre le ordinò di uscire dalla stanza, non si lavò né si pettinò, e salì sul treno come una sonnambula senza nemmeno notare le farfalle gialle che continuavano ad accompagnarla. Fernanda non seppe mai, né si prese il disturbo di indagare, se il suo silenzio ermetico era una decisione della sua volontà, o se fosse rimasta muta per il colpo della tragedia.
Meme le prese la mano e si lasciò condurre via. L’ultima volta che Fernanda la vide, nell’atto di regolare il proprio passo con quello della novizia, finiva di chiudersi alle sue spalle il cancello di ferro della clausura. Pensava ancora a Mauricio Babilonia, al suo odore di olio e ai suo alone di farfalle, e avrebbe continuato a pensare a lui in tutti i giorni della sua vita, fino al remoto mattino d’autunno in cui sarebbe morta di vecchiaia, sotto falso nome, e senza aver mai detto una parola, in un tenebroso ospedale di Cracovia.