Dalla sua festa nazionale, l’area de Il Sindacato è un’altra cosa lancia messaggi verso Camusso e Landini: basta con i contratti a perdere. In autunno intrecciamo le vertenze con la campagna per il No al referendum
da Viareggio, Giulio AF Buratti
«C’è spazio, necessità, bisogno di unificare le lotte e di radicalizzarne i contenuti. Se non succederà, organizzeremo il dissenso dei lavoratori». Eliana Como, del Sindacato è un’altra cosa, l’area di opposizione interna alla Cgil, parla al termine del dibattito che ha inaugurato, dopo un minuto di silenzio per le vittime del terremoto del Centro Italia, la terza festa della sinistra sindacale che si chiuderà oggi, a Viareggio, con un altro dibattito sull’imminente referendum costituzionale.
Prima di lei, alcuni delegati di fabbriche metalmeccaniche, del Comune di Roma, di scuola e commercio, avevano fatto il punto sulle rispettive vertenze contrattuali. Chi è in attesa di rinnovo da sette anni, come il Pubblico impiego. Chi, invece, dopo 18 mesi di lotte, ha dovuto assistere alla firma da parte della Fiom, di un integrativo scandaloso, come accaduto alla Fincantieri. Il colosso industriale, migliaia di addetti in Italia e all’estero, è in attivo ma ha chiuso con zero euro di aumento la trattativa sull’integrativo. Serafino Biondo, il delegato palermitano, ha raccontato degli attacchi dell’azienda ai protagonisti delle lotte, il trasferimento dei più combattivi, le contestazioni disciplinari ai delegati. Ma anche la vittoria di misura delle burocrazie nel referendum su quell’integrativo, firmato da Landini in persona, con un 40% di No che è «un patrimonio da valorizzare», ha detto Biondo chiedendosi se è possibile, finalmente, un confronto trasversale tra delegati e tra categorie. Proprio quello che prova a fare l’Opposizione in Cgil in vista di un autunno in cui sarà evidente l’intreccio tra i rinnovi contrattuali e la questione referendaria. In entrambe le battaglie il segno della torsione autoritaria determinata dalla crisi il cui carattere costituente è evidente.
Il minimo comun denominatore delle storie restituite dai delegati è costituito dalla combinazione tra compressione salariale e dei diritti. A fronte di aumenti – che nemmeno si sognano di recuperare l’erosione determinata dall’inflazione – tutti i contratti rinnovati finora (alimentaristi, terziario, vetro e igiene ambientale) vedono il peggioramento delle condizioni di lavoro e l’introduzione di quote di welfare aziendale (sanità o “buoni carrello”). Così ha spiegato Eliana Como intravedendo un esito simile a quello di Fincantieri per le vertenze aperte. «Marx avrebbe detto “la solita vecchia merda”», ha detto anche un esponente del collettivo Clash City Workers intervenuto al dibattito assieme a Matteo Carrioli della Same di Bergamo, Armando Morgia del Comune di Roma, Anna Della Ragione, insegnante livornese, David Cecconi di Metro Cash & Carry e nel Comitato centrale Fiom oltre che nel direttivo nazionale Cgil per Democrazia e lavoro, altra area di minoranza.
Armando Morgia ha chiarito la connessione tra la tendenza alla privatizzazione del lavoro pubblico e il ritorno al centralismo contenuto nella riforma renziana della Costituzione oltre che la sparizione del salario dalle rivendicazioni dei confederali. Una tendenza in atto da tempo nella scuola, come ha detto Anna Della Ragione, che le mobilitazioni del comparto non sono riuscite a impedire anche per la timidezza del maggior sindacato, la Flc Cgil. Nel commercio, poi, scioperare è ancora più difficile (anche se alla Metro di Pisa si fa anche senza preavviso) e anche qui la grande distribuzione, tutt’altro che in crisi, va all’incasso cercando di dilatare gli orari e abolire gli scatti di anzianità e i permessi retribuiti, come testimonia David Cecconi. Come per i lavoratori del commercio, anche ai metalmeccanici capita di non saper cosa dire al rientro in fabbrica visto che le segreterie nazionali non danno segni di vita sullo stato di avanzamento delle vertenze. «La Fiom – ha detto Matteo Carrioli – lancia proclami e sparisce dietro alle parole». Venti ore di sciopero spalmate da aprile a luglio non sono servite a nulla, la piattaforma Fiom è debolissima in nome dell’unità con Fim e Uilm ma Federmeccanica non è disposta a cedere: vuole tutto, flessibilità e niente aumenti. «La soluzione dei problemi non può essere trasferita alla contrattazione aziendale che isola i lavoratori», spiega Augustin Breda denunciando la tendenza all’aumento dei ritmi, la manomissione delle norme sulla sicurezza, l’accettazione delle logiche del welfare aziendale (detassato e per pochi). Nei posti di lavoro, al contrario, c’è bisogno di più diritti, più sindacato e si sente la mancanza di un soggetto politico anticapitalista che possa funzionare da cassetta degli attrezzi per le lotte. L’arroganza padronale si sposa con l’inadeguatezza soggettiva del movimento operaio e con la disponibilità del governo a sostenere ogni richiesta confindustriale.
Dalla festa di Viareggio dunque partono messaggi netti verso la Camusso e le direzioni sindacali che si apprestano a partecipare tra due settimane all’assemblea generale della Cgil che dovrà riempire tre caselle vuote della segreteria nazionale: che si aprano le vertenze, e si unifichino fino a proclamare veri scioperi generali intrecciandosi con la campagna referendaria – su cui la Cgil non si schiera ancora.