No, non è stata una fatalità, come prova a far credere la Procura di Piacenza. Ahmed è stato ucciso perché guidava una lotta sindacale contro la precarietà e il supersfruttamento
di Giorgio Cremaschi
Abd Elsalam Ahmed Eldanf per la Procura di Piacenza era in gita notturna davanti al magazzino GLS e colto da improvvisa follia si è gettato sotto un camion, uccidendosi. Lui, operaio egiziano con 5 figli, assunto da anni con contratto a tempo indeterminato e in lotta per gli altri come militante della USB.
La procura non ha visto nessuna azione sindacale in corso dopo le 23 del 14 settembre e nulla hanno visto le forze di polizia presenti ai cancelli del magazzino. Dove era in corso una drammatica vertenza sindacale, perché l’azienda si era rimangiati gli impegni sulla regolarizzazione dei precari. Ahmed non era precario, ma rispondendo alle richieste degli altri lavoratori, disperati perché stavano per finire in mezzo ad una strada, e seguendo la sua coscienza di militante sindacale, stava ai cancelli. Qui, quando dall’azienda è giunto l’ordine di far partire comunque i camion con le merci, si è mosso insieme ad altri militanti sperando che quei camion, di fronte ai pianti di chi perdeva il lavoro, si fermassero. Invece è stato investito in pieno e schiacciato e trascinato per metri e metri sotto le ruote del TIR. È un omicidio volontario, ma per i poliziotti e la procura di Piacenza è un incidente stradale il cui autore è gia libero.
Quello di Ahmed è giudicato quasi come un suicidio, e sui suicidi degli operai c’è ben poco da fare. Forse che per la povera Maria Baratto, operaia discriminata, deportata, ridotta in miseria e disperazione dalla FIAT, c’è qualche indagine per procurato suicidio? No a processo ci vanno gli operai licenziati, perché volevano esprimere la loro indignazione per la morte dell’operaia di Nola. E quante volte oramai le stragi sul lavoro vengono ridotte a tragica fatalità, ad errore umano e alla fine gli unici colpevoli diventano le vittime?
Ahmed è stato ammazzato perché guidava una lotta sindacale contro la precarietà e il supersfruttamento. E non è morto nei campi governati dai caporali, ma in una delle città più ricche del ricco Nord. E di fronte ai cancelli di una di quelle modernissime aziende della logistica che tanta pubblicità fanno sulle TV, perché ti consegnano subito a casa qualsiasi merce tu abbia ordinato per internet.
Decine di migliaia di facchini sono alla base della piramide in cima alla quale c’è il pacco che arriva velocemente ovunque. E questi facchini hanno lavorato per anni in condizioni di schiavitù, anche perché molti di loro subivano il doppio ricatto della precarietà e della condizione di migrante sempre a rischio di espulsione. Poi si sono ribellati, hanno cominciato ad organizzarsi sindacalmente soprattutto con il SiCOBAS e la USB e hanno cominciato a migliorare la loro condizione. Ma a prezzo di lotte durissime e ora anche di un omicidio. Oggi è un lavoratore egiziano a subire la sorte passata degli operai italiani di Modena, Melissa, Reggio Emilia. La storia riparte da dove era iniziata, dalla lotta contro lo sfruttamento del lavoro, senza barriere etniche o religiose.
Quello che colpisce il lavoro e tutta la società è un ritorno agli anni 50. Quando le imprese avevano sempre ragione e gli operai sempre torto. E se si ribellavano e per questo venivano uccisi, colpa loro. Allora era soprattutto la polizia che ammazzava chi scioperava. Oggi è il sistema di sfruttamento con la sua violenza quotidiana e le sue diffuse complicità. Nell’Italia del jobsact guidata da Renzi e Marchionne per il lavoro c’è una legislazione speciale. Un codice particolare per i luoghi ove si lavora per il profitto, grazie al quale gli omicidi diventano incidenti e gli incidenti suicidi. Mentre le tecnologie ci fanno vedere il futuro, i rapporti di sfruttamento ci hanno precipitato indietro e indietro. E come una volta, pietà l’è morta.