di Checchino Antonini, fotoreportage di Andrea Zennaro
Niente scontri, niente vip, niente lanci di agenzia. Invece ieri a Roma s’è snodato, tra Porta Pia e Piazza Vittorio, un lungo corteo per la fine della guerra in Siria e della repressione dello Stato turco contro i kurdi, nonché in appoggio all’esperimento di autogoverno nel Rojava. Una manifestazione lanciata da un appello della comunità curda firmato da centinaia di organizzazioni, associazioni e singoli.
Non è stata una manifestazione monumentale ma è stata la prima presa di parola nazionale contro la guerra da molto tempo a questa parte, l’unica che ha puntato l’indice contro gli effetti del patto Erdogan/Putin che, in cambio del riconoscimento del ruolo del dittatore Assad consolida a spese della popolazione kurda, soprattutto, il ruolo di Ankara come potenza regionale. In piazza, gli attivisti kurdi, la rete di solidarietà che sta crescendo intorno al Rojava liberato.
I kurdi sono gli unici che combattono (e hanno battuto) l’ISIS sul campo. La Turchia che li bombarda e li reprime, è rimasta un “alleato fedele” dei “paesi democratici” e ha continuato ai rifornire l’ISIS dal proprio territorio, mentre il principale partito kurdo, il Pkk, è ancora inserito nella lista nera del “terrorismo internazionale”. La “guerra permanente” contro il terrorismo non ha fatto altro che alimentare il terrorismo stesso, massacrare milioni di persone, rendendo il mondo più insicuro. I grandi finanziatori dell’ISIS sono le “petro-monarchie”, a cui USA e stati europei (Italia compresa) vendono armi a tutto spiano “in modo legale”, come rivendica la stessa ministra Pinotti. Da tempo il dittatore turco Erdogan, lavora per realizzare uno stato autoritario. Il popolo kurdo e la sua tenace lotta per l’autodeterminazione sono un grande ostacolo al tentativo di realizzare un “neo-impero ottomano”. Nel 2015 una serie di attentati (Diyarbakir a Giugno, Suruc a Luglio, Ankara in Ottobre) hanno provocato centinaia di morti e feriti, con l’obiettivo di arrestare la resistenza popolare marcata anche dal successo elettorale dell’HDP, il Partito democratico dei popoli.
Alla strategia stragista si sono affiancati i bombardamenti dei villaggi kurdi e dalle continue azioni militari contro i kurdi e le JPG e JPJ, talvolta grottescamente mascherate da operazione contro l’ISIS. Questo è il senso dell’operazione “Scudo dell’Eufrate”: con il pretesto di liberare Jarablus, dall’ISIS, in realtà il governo reazionario di Erdogan – con l’attacco in Siria – ha perseguito esclusivamente l’obiettivo di impedire che la città venisse liberata dalle forze rivoluzionarie delle JPG e JPJ. L’azione è proseguita con il bombardamento delle postazioni YPG a Derik nel cantone di Cizre e con la costruzione di un muro, per isolare Kobane, la città simbolo della resistenza dei kurdi contro l’ISIS.
L’esercito turco ha attaccato la popolazione civile, e la resistenza della popolazione di Kobane si è subito manifestata dando vita a “Nobet”, “la guardia”, che con di gruppi di centinaia di persone, presenti costantemente giorno e notte, sorvegliano e proteggono il confine di Kobane. E’ evidente che la Turchia stia cercando una escalation nello scontro con le forze rivoluzionarie democratiche del Rojava, con sostegno esplicito che gli USA, dopo il fallito finto/golpe stanno fornendo al regime di Erdogan. Ma anche ormai con il conclamato sostegno della Russia dopo il patto Putin-Erdogan dell’estate scorsa con il quale si salda esplicitamente un accordo a sostegno del regime di Assad, proprio quello stesso che per primo e da sempre aveva avviato la repressione e l’oppressione contro i kurdi siriani.
Il popolo kurdo, la sua importante lotta rivoluzionaria per l’autodeterminazione e per l’autogoverno popolare e democratico, non ha altri amici che la solidarietà internazionale dei popoli e la solidarietà delle classi lavoratrici di tutti i paesi: è oppresso ed è colpito dagli amici di Putin come dagli amici di Obama, dal boia Assad come dal boia Erdogan, dall’ISIS come dalle classi dominanti dei paesi sedicenti “democratici” dell’Europa imperialista. Come le forze democratiche popolari che resistono in Turchia, come il popolo egiziano oppresso dalla sanguinaria dittatura di Al Sisi (che ha assassinato Giulio Regeni e torturato e ucciso migliaia di oppositori) non può che contare sulla solidarietà di classe internazionale.