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Messico, zapatisti alle presidenziali: panico tra i “progressisti”

Messico. Il movimento zapatista annuncia la discesa nell’agone delle prossime presidenziali e la “sinistra” moderata si irrita e si scopre razzista. Da dove viene il disamore degli indigeni per il Prd e per Cardenas

da Città del Messico, Andrea Spotti

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Con la decisione del Congresso Nazionale Indigeno (Cni) e dell’Ezln di consultare con le proprie comunità la possibilità di una candidatura indigena e indipendente per le elezioni presidenziali del 2018, gli zapatisti tornano a sorprendere detrattori e sostenitori rilanciando la loro presenza sul piano nazionale.

La proposta, che ha spiazzato quanti li consideravano fautori del non voto ed ha fatto andare su tutte le furie la sinistra istituzionale, è stata lanciata nel corso del quinto congresso del Cni, tenutosi dal 10 al 14 ottobre a San Cristobal de las Casas in occasione del anniversario numero 524 dell’inizio della Conquista e del ventesimo compleanno dell’organizzazione, che raggruppa realtà, comunità e popoli indigeni di tutto il Messico.

Secondo il comunicato firmato congiuntamente da Cni ed Ezln, la proposta che si sottoporrà a consultazione consiste nella creazione di un Consiglio Indigeno di Governo, composto da un uomo ed una donna per ogni realtà aderente, il quale avrà  il compito di nominare una candidata indigena che concorrerà alle prossime presidenziali a nome delle due organizzazioni. Non si tratta dunque di fondare un nuovo partito né di una semplice candidatura, ma del tentativo di applicare al processo elettorale la logica del comandare obbedendo che caratterizza la pratica delle comunità autonome indigene zapatiste e non solo. Alla stessa stregua del Subcomandante Moisés, infatti, la candidata -che nel caso vincesse le elezioni diventerebbe una sorta di Subpresidenta-, deve seguire le decisioni prese da un organo collettivo rappresentativo delle comunità resistenti e non da una cupola dirigenente sganciata dalla base.

Nel comunicato, le due organizzazioni ribadiscono che il loro obiettivo non è la presa del potere, ma quello di utilizzare la contingenza elettorale per portare al centro del dibattito nazionale la questione indigena e il violento attacco di cui sono attualmente vittime le comunità e i popoli originari, che difendono i loro territori e le loro risorse dall’avanzata delle industrie mineraria, agroalimentare e turistica, le quali, accompagnate da mega-progetti infrastrutturali, violenza di stato, paramilitare e mafiosa, mettono in a rischio la stessa sopravvivenza delle popolazioni. Tematiche, queste ultime, normalmente escluse dall’agenda dei partiti o che vi compaiono sotto il titolo di “sviluppo e opportunità di lavoro”.

Come ha sostenuto nella plenaria finale il Subcomandante Galeano, incaricato dalla Comandancia di chiarire i contenuti della proposta ai delegati del congresso, la candidatura rappresenta una scelta strategica in due sensi diversi: da una parte, rappresenta l’intenzione di passare all’offensiva colpendo il sistema nel suo punto più debole, individuato nella politica istituzionale e nei partiti che soffrono di una grave crisi di legittimità di cui i ribelli vorrebbero approfittare. Dall’altra, invece, si tratta di utilizzare le elezioni per far partire un processo politico più vasto che rafforzi le relazioni organizzative all’interno del Cni e della Sexta e che possa promuovere nuove forme di interazione con la società civile e i movimenti per porre le basi per la costruzione di una nuova fase di lotta a livello nazionale.

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Come si vede, la proposta zapatista è assolutamente originale ed è difficile da inquadrare seguendo i criteri tradizionali. D’altra parte, non può nemmeno essere assimilata ad esperienze latinoamericane apparentemente analoghe ma più simili alla forma-partito classica, come quella boliviana del Mas (Movimiento al socialismo) o quella equadoriana della Conaie (Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador).

Sebbene pare aver convinto i 360 delegati, e gli oltre 400 aderenti alla Sexta presenti al congresso, per diventare operativa, la proposta dovrà essere approvata dalla base delle organizzazioni indigene che conformano il Cni, che si sono dichiarate in assemblea permanente per i prossimi due mesi, durante i quali decideranno se accettare o meno, ed eventualmente trasformare, la scommessa che proviene dai territorio zapatisti.

Le reazioni al comunicato non si sono fatte attendere. I commenti più duri sono venuti da sinistra, dove sebbene si salutino positivamente l’abbandono della linea astensionista e l’accettazione del gioco democratico da parte dell’Ezln, gli zapatisti vengono accusati di dividere il fronte progresista e di “fare il gioco delle destre”, come ha sostenuto Andrés Manuel López Obrador (Amlo), il candidato del centrosinistra che in due occasioni ha denunciato di essere stato vittima di brogli e che i sondaggi danno come favorito per la prossima tornata elettorale. Quest’ultimo, ha inoltre accusato gli zapatisti di aver favorito la vittoria delle forze neoliberali sia nel 2006, quando avrebbero invitato a non votare, che nel 2012, quando avrebbero addirittura votato i partiti filogovernativi nei loro territori (sic).

Il fuoco di fila contro la proposta zapatista è poi proseguito con l’intervento di diversi intellettuali legati a Morena (Movimiento de Regeneración Nacional), il nuovo partito di Amlo fondato dopo la sua uscita dal Partido de la Revoluciòn Demicratica (Prd). Questi, tra i quali spiccano diversi editorialisti e vignettisti de La Jornada, sostengono che la candidatura sarebbe un modo per iniziare a trattare con il governo e che, lungi dall’essere un’idea nata dalle comunità indigene, sarebbe solo il prodotto del rancore e dell’egolatria del subcomandante Galeano, il quale avrebbe come obiettivo quello di fermare il cambiamento e favorire il ritorno al governo del destrorso Partido de Acción Nacional (Pan). Ciò che colpisce e lascia perplessi in queste accuse, oltre alla loro nulla fondatezza, è il loro razzismo latente, per il quale le basi d’appoggio e le popolazioni indigene che construiscono quotidianamente l’autonomia e l’autogoverno nei territorio zapatisti sarebbero una mera massa di manovra ad uso e consumo del Sup.

Reazioni positive, invece, sono venute da buona parte dei movimenti sociali messicani, e dai partiti che si trovano fuori dall’arco costituzionale come il Prt, Partido Revolucionario de los Trabajadores, e il Pos, Partido Obrero Socialista, che salutano l’iniziativa come una sfida a cui devono aderire anche le altre realtà di lotta e che ripropone uno sforzo organizzativo su scala nazionale simile a quello proposto nel 2006 dall’Altra Campagna però centrato principalmente sulla capacità organizzativa delle popolazioni indigene aderenti al Cni.

Sebbene sia una scelta che nessuno si aspettava e rappresenti un’importante svolta strategica, la decisione di partecipare alle elezioni non costituisce una rottura con il percorso tracciato negli ultimi anni dalle comunità zapatiste, né, tanto meno, un avvicinamento alle concezioni della democrazia liberale. Gli zapatisti infatti non hanno mai invitato a non votare ma semplicemente ad autoorganizzarsi, ed hanno sempre usato gli strumenti offerti dal contesto político in maniera molto laica e non dogmatica, tanto è vero che in due occasioni hanno appoggiato esplicitamente dei candidati progressisti (Cuauhtemoc Cardenas, leader del Prd, per la presidenza della rapubblica, e Amado Avendraño, giornalista candidato della società civile per la governatura del Chiapas) e che per diversi anni hanno mantenuto aperto il dialogo con la sinistra parlamentare.

La rottura si è verificata nel 2001,  in seguito al mancato rispetto degli accordi di San Andrés da parte dei partiti. Gli accordi, firmati da governo e ribelli nel 1996 dopo un lungo percorso di dialogo, avrebbero dovuto inserire nella Costituzione il diritto dei popoli indigeni all’autogoverno. Una volta in parlamento, tuttavia, la proposta di legge è stata trasformata fino a snaturarne il contenuto. Da quì in avanti, l’Ezln smetterà di aver fiducia nei partiti ed aumenterà la sua distanza dalla sinistra parlamentare con cui i rapporti perggioreranno a partire dal mancato appoggio ad Amlo nel 2006 ad oggi.

Altri motivi della rottura del mondo indigeno con la sinistra hanno a che fare con il sostegno dato da Amlo a governatori che poi hanno represso duramente i popoli originari e i movimenti sociali in generale, promuovendo una politica economica di spoliazione delle terre e dei territorio indigeni e di distruzione della natura a tutto vantaggio dei grandi capitali locali e internazionali. Esemplari, in questo senso, sono i casi di Juan Sabines, Graco Ramirez, Gabino Cué, Angel Aguirre (costretto alle dimissioni dopo il caso Ayotzinapa) e Miguel Angel Mancera, rispettivamente governatori degli stati del Chiapas, Morelos, Oaxaca, Guerrero e di Città del Messico. La situazione dunque è molto più articolata rispetto a come viene descritta dai sostenitori di Amlo e delle forze progressiste, e la sfiducia da parte del movimento indigena nei confronti dei partiti di sinistra, lungi dall’essere prodotto del dogmatismo, si deve all’esperienza degli ultimi quindici anni.

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Dopo una settimana di polemiche, nel pomeriggio di venerdì, è arrivata la risposta dell’Ezln con uno scritto del Sup Galeano dal titolo Domande senza risposte, risposte senza domande, Consigli e consigli, in cui con il caratteristico stile ironico e senza polemizzare direttamente con la sinistra moderata e i suoi intellettuali, ha messo in evidenza lo stato critico del sistema político messicano, il quale prima ancora che le comunità abbiano preso una decisione sono entrati in una vera e propria “crisi di pánico”, dimostrando la loro debolezza e la loro distanza dalle realtà di movimento, dalle lotte contro il transfemminicidi e femminicidi, ormai diventati un’emergenza nazionale, e dalla quotidianità delle battaglie in difesa del territorio portate avanti dalle comunità indigene a livello sia rurale che urbano. Il senso complessivo del testo, che si chiude con la descrizione di un dialogo ai limiti del’assurdo tra Galeano e una bambina chiamata Difesa Zapatista, è che i partiti progressisti che pretendono di rappresentare la totalità degli oppressi,  sono in realtà estranei al Messico che si mobilita in basso e a sinistra e che la candidatura di una donna indigena potrebbe agglutinare la simpatia delle fasce sociali più basse, le quali potrebbero identificarsi nella candidata zapatista.

Per concludere, se la proposta zapatista sarà accettata dalle comunità, il movimento dovrà mettere in campo un grande sforzo organizzativo, dato che per una candidatura indipendente, gli zapatisti dovranno raccogliere oltre 800 mila firme in almeno 17 dei 32 stati della federazione messicana. Nel caso riuscissero nell’intento, non è difficile pronosticare che l’incursione zapatista alle presidenziali del 2018 spariglierà le carte del processo elettorale, rendendo molto più dinamica ed interessante la campagna elettorale.

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