Il Psoe consentirà la nascita di un governo guidato dal leader del Pp, Mariano Rajoy. Podemos: è Gran Coalicion fra i partiti della vecchia politica. Intanto Rajoy annulla il divieto per la Corrida stabilito dalla Catalogna
di Francesco Ruggeri
Dopo 10 mesi di paralisi politica e istituzionale, grazie a un partito socialista con l’acqua alla gola la Spagna esce dalla sua crisi infinita ed entro domenica prossima il leader del Pp Mariano Rajoy sarà eletto nuovo primo ministro, nel pieno dei poteri. Arriba la Gran Coalicion in salsa iberica.
Il consiglio federale del Psoe ha preso oggi con 139 voti a favore e 96 contrari la sofferta decisione di dare via libera al premier uscente e di ordinare agli 85 deputati socialisti, su 135, di astenersi al secondo voto sulla fiducia a Rajoy. Con questa mossa il partito socialista, in piena crisi, calato dal 48% degli anni ’80 al 22% toccato dopo due anni sotto la guida di Pedro Sanchez, il segretario defenestrato il primo ottobre scorso, evita che il Paese torni a votare per la terza volta in un anno a Natale. Nuove elezioni, secondo i sondaggi, sarebbero state un disastro per il Psoe, con la probabile perdita di un quarto dei suoi attuali deputati, un umiliante sorpasso di Podemos e una schiacciante vittoria del Pp. I tempi per evitare le urne però sono strettissimi. Se la Spagna non avrà un premier eletto entro il 31 ottobre scatterà la convocazione di nuove elezioni. Re Felipe avvia domani le consultazioni con i leader politici. Martedì a mezzogiorno il leader provvisorio del Psoe, Javier Fernandez, comunicherà la decisione del consiglio federale al monarca, che designerà Rajoy. Il Congresso poi si riunirà per l’investitura mercoledì o giovedì, e fra sabato e domenica Rajoy sarà eletto al secondo turno (al primo ci vuole una maggioranza assoluta, che non ha) con 170 voti su 350, grazie all’astensione Psoe. Non è escluso che alcuni socialisti, in particolare i catalani, rompano la disciplina di partito per votare no, rischiando l’espulsione dal gruppo. Inizierà poi una legislatura che tutti prevedono irta di spine per il leader popolare, che governerà con la maggioranza del Congresso contro, costretto a ricercare continui accordi con l’opposizione per non cadere. Molti non danno più di un anno o due al suo governo. La svolta socialista «pone fine a 300 giorni di calvario politico per la Spagna», sentenzia El Mundo. Ma apre «una legislatura da infarto», avverte La Vanguardia. Esausto, spaccato, sull’orlo della scissione con i catalani sostenitori del no a oltranza al nemico Rajoy, il Psoe così guadagna tempo «per ricostruirsi» dall’opposizione come auspicano Javier Fernandez e altri “baroni” moderati. Un congresso a inizio 2017 eleggerà probabilmente segretario la presidente andalusa Susana Diaz, nuova dama di ferro del partito dopo la defenestrazione di Sanchez che aveva scelto una linea di sinistra. Oggi è stata lei a intervenire per ultima prima del voto nel consiglio federale, una prerogativa di solito del segretario. Per il Psoe diventa vitale trovare una strategia per resistere alla concorrenza di Podemos, che aspira come Syriza in Grecia a diventare il partito egemone della sinistra, dovorando spazio ed elettorato tradizionali dei socialisti. Il leader dei viola Pablo Iglesias già tuona che a sinistra ora rimane solo Podemos perché il via libera socialista a Rajoy fa nascere di fatto una ‘Gran Coalicion’ fra Pp e Psoe, i due grandi partiti della ‘vecchia politica’.
Ieri, centinaia di militanti socialisti hanno manifestato davanti alla sede del Psoe a Madrid al grido di «il no è no» per chiedere che il partito voti contro l’investitura del conservatore Mariano Rajoy a primo ministro. L’astensione è sostenuta soprattutto dalla federazione andalusa, roccaforte del partito guidata da Susana Diaz, principale rivale interna dell’ex leader. Sanchez puntava ad un accordo di governo con le due nuove formazioni anticasta – Podemos, della sinistra radicale, e i liberali di Ciudadanos – ma questa intesa non si è mai concretizzata, facendo precipitare la Spagna in una crisi politica che si trascina dalle elezioni del 20 dicembre 2015 e non si è ancora risolta, malgrado un secondo ricorso alle urne il 26 giugno.
Intanto è guerra di trincea su quasi tutto fra Catalogna indipendentista e potere centrale spagnolo, ora anche sulla corrida dopo che la Corte costituzionale di Madrid ha fatto esplodere il 20 ottobre una nuova bomba politica decidendo di annullare il divieto della corrida adottato da Barcellona nel 2011 e provocando una immediata alzata di scudi in terra catalana. La Consulta – 8 giudici a favore, 3 contrari – ha decretato che una regione non può abolire la ‘fiesta nacional’, in quanto è stata dichiarata dallo Stato «bene culturale» nazionale ed è quindi di competenza del potere centrale. L’interdizione della corrida, respinta anche come tradizione ‘spagnola’ era stata votata dal parlamento catalano nel 2010 dopo una iniziativa popolare animalista. La mossa era stata letta non solo come una misura di protezione degli animali ma anche e forse soprattutto come ulteriore sfida del catalanismo allo Stato centrale. La Catalogna è una delle tre regioni spagnole a vietare la fiesta nacional, con le Canarie e le Baleari. La decisione della Consulta dovrebbe valere anche per loro. Se qualcuno farà ricorso. Contro la legge catalana aveva fatto ricorso il Pp del premier Mariano Rajoy, il partito spagnolo più favorevole alla corrida ma anche il più duramente contrario a qualsiasi spinta verso l’indipendenza della Catalogna. Ma il clima a Barcellona è sempre di più mirato alla ‘disobbedienza’. Il governo del presidente secessionista Carles Puigdemont, che vuole l’indipendenza nel 2017, ha reagito avvertendo che «dica quello che vuole» la Corte costituzionale, la corrida «non tornerà in Catalogna». Identico il messaggio del sindaco di Barcellona Ada Colau, eletta con Podemos: «faremo rispettare le normative contro il maltrattamento degli animali», ha tuonato. La Consulta ha negato alla Catalogna il diritto di abolire la corrida ma ha riconosciuto che può regolamentare le manifestazioni taurine e legiferare sulla protezione degli animali. Ed è lungo queste due piste che si muoverà la guerriglia delle autorità catalane contro la sentenza. Sarà certamente scontro, politico e giudiziario. Toreri e aficionados chiedono che la corrida torni alla Monumental di Barcellona. E il leader popolare catalano Xavier Albiol ha avvertito che la sentenza sarà fatta rispetare. Una nuova mina vagante insomma nel campo già minato fra Barcellona e Madrid. Mentre si prepara il processo a Artur Mas, il predecessore di Puigemont incriminato per «disobbedienza» dalla giustizia spagnola per avere organizzato nel 2014 un referendum consultivo sull’indipendenza, sfidando il divieto di Madrid.