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Francia, dalla parte degli operai Good Year incarcerati

“La lotta di classe farà fronte contro la giustizia di classe”, la solidarietà per gli operai Good Year imprigionati per “sequestro di persona”: avevano bloccato il direttore per prolungare la trattativa

da Amiens, Ilaria Fortunato

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La criminalizzazione dell’attività sindacale è una realtà. I licenziamenti presso Air France hanno inaugurato la caccia ai lavoratori sul suolo transalpino, e la promulgazione della legge El Khomri ha riacceso la repressione contro la classe operaia attaccando la totalità del movimento sociale venutosi a creare a partire dallo scorso marzo, la cui gioventù militante ne ha accelerato il processo di radicalizzazione, spingendo le claudicanti direzioni sindacali ad occupare gli spazi sociali non esclusivamente in funzione rivendicativa (spesso marcata da un rifiuto di una de-istituzionalizzazione), ma in funzione di un’inversione dello stato sociale vigente.

Il 19 e il 20 ottobre Amiens, cittadina situata all’estremo nord della Francia, ha accolto decine di migliaia di militanti. Le forze sindacali e militanti transalpine sono scese in campo al fine di sostenere gli 8 ex-operai Goodyear, condannati lo scorso 12 gennaio per aver difeso il loro impiego, protraendo la durata di una riunione con la direzione sindacale al fine di schierarsi contro il licenziamento di più di mille operai e la delocalizzazione della fabbrica.

Uno pneumatico da trattore alto due metri è stato piazzato il 6 gennaio davanti alla porta della sala riunioni, un modo – efficace soprattutto simbolicamente – scelto dagli operai per bloccare all’interno della fabbrica il direttore della produzione Michel Dheilly e il direttore delle risorse umane Bernard Glesser. «Vogliamo mettere pressione sulla direzione e tornare al tavolo delle trattative». La direzione del colosso americano dei pneumatici aveva annunciato la chiusura della fabbrica, e 1.173 licenziamenti. Dopo una lunga battaglia giudiziaria che ha visto il sindacato sempre perdente, la Cgt aveva in mattinata un nuovo appuntamento con il direttore ma tutta la squadra del fine settimana, ovvero 200 dipendenti, si è presentata per convincere i manager a venire incontro alle richieste dei lavoratori. Da Amiens, Hollande aveva promesso una legge contro i licenziamenti da convenienza borsistica.

Invece, i lavoratori si sono beccati una condanna per sequestro di persona, 9 mesi di reclusione, è stata loro attribuita, legittimando un’azione di repressione e di criminalizzazione dell’azione sindacale. La folla ha chiesto a gran voce il rilascio degli ex-lavoratori di Goodyear, ma alcuna grazia è concessa dalle pratiche antisociali di uno Stato repressivo che affligge, su pretesto dello Stato d’Eccezione, l’insieme delle forze messe in campo dalla primavera francese. Una moltitudine di relatori si sono succeduti sulla scena militante, fiancheggiati da artisti e musicisti che hanno aizzato la spirito della lotta a colpi di musica e teatro “engangés”. La Compagnia Jolie Mome, fortemente presente sulla scena parigina delle Nuit Debout e portavoce di una generazione militante, ha sollevato la necessità di una sensibilità internazionalista, riesumando dall’oblio le vittime del militarismo e del neo-colonialismo, così come i nomi di coloro ai quali la brutale repressione dello Stato ha tolto la vita (tra i quali Carlo Giuliani), ma non l’ideale. L’intervento di Romain Altmann (Info’com CGT) ha sottolineato come l’urgenza di una condanna delle tecniche repressive statali sia fondamentale.

“Vi hanno incolpato perché avete esatto i vostri diritti” – sostiene Amal Betounsi, sorella di Amine, ucciso nel 2012 dalle forze dell’ordine – “ed è ciò che accade quotidianamente nei quartieri popolari a causa della stigmatizzazione subita da giovani, rifugiati, immigrati”.

“Non hanno alcuno strumento di difesa” aggiunge Lassana Traoré, fratello di Adama, deceduto nei locali della gendarmeria lo scorso 19 luglio.

“Siamo qui per mio fratello e per tutte le vittime della repressione”.

La violenza assume la molteplicità dei colori, delle forme. Si inserisce nei contesti più disparati, si afferma con l’autorità di uno Stato che legittima l’impiego delle sue armi più selvagge e spietate sostenendo l’alibi dell’anti-terrorismo. Il terrorismo è un terrorismo di Stato, questo è chiaro.

“Le violenze razziste della polizia completano le violenze che si verificano all’interno delle aziende per farci chinare il capo ed impedirci di resistere insieme contro il fatto che vogliono farci pagare la crisi” (Guillaume Vadot, insegnante di Paris 1, vittima di violenze poliziesche).

Mickael Wamen, portavoce degli 8 di Goodyear, occupa sovente la scena. “Siamo delle vittime e non dei colpevoli”- sostiene il sindacalista CGT – “e questo ci spinge a dire che il rilascio ci sarà. Quando abbiamo davanti a noi dei procuratori e dei giudici che hanno alcuna prova da mostrare, la risposta è chiara. La violenza sociale è quella subita dai 12 compagni che sono morti dopo la chiusura della fabbrica. Le multinazionali finanziano la misera e l’unica risposta che ci è concessa è il “tutti insieme”.” L’impellenza collettiva si manifesta dunque nella lotta contro la legge El Khomri, affinché la promulgazione del decreto non produca le sue conseguenze nefaste all’interno delle aziende. “Quando una multinazionale ottiene 3,5 miliardi di profitti e 1 un miliardo di dividendi non c’è alcuna ragione per licenziare. E’ visibile l’intento di occultare la chiusura delle aziende legata alla speculazione finanziaria, come presso Air France, Goodyear o SNCF. Dopo la legge Macron e la legge El Khomri arriverà il TTIP. Un’altra data di mobilitazione è da esigere.” Philippe Martinez, segretario generale del sindacato maggioritario francese, tace a questo proposito. Le direzioni sindacali CGT barcollano, mutano la traiettoria, abbandonano il terreno pubblico di lotta, ma i “dissidenti” (e non sono pochi) non mollano la presa.

Xavier Matthieu, ex-salariato presso Continental, afferma che “la migliore ricompensa resta la mobilitazione: il peggior regalo che voi possiate fare al vostro governo”. Non saranno le elezioni del 2017 che daranno vita ad un alternativa politica, come al contrario sostengono i sostenitori di Jean-Luc Mélenchon (candidato del Partito di Sinistra sotto lo slogan conservatore e nazionalista della “Francia Non Sottomessa”), ma una mobilitazione massiccia che reclami la convergenza delle lotte. “Costruire una resistenza coordinata è la parola d’ordine”, dichiara Philippe Poutou, portavoce del Nuovo Partito Anticapitalista – “un fronte comune contro la repressione; oggetto che pone inoltre il problema della crisi oggi prodotta dagli attacchi dei nostri governi antisociali e dei padroni” e la cui conseguenza si verifica spesso in licenziamenti illegittimi, delocalizzazioni delle aziende, criminalizzazione dell’attività sindacale e rimessa in questione dei diritti acquisiti dei lavoratori. “La repressione è uno strumento messo in atto per ammutolire gli oppressi, impedire loro di resistere”.

La risposta? La lotta di classe. Una lotta che, sebbene il rinvio di giudizio all’11 gennaio per gli otto sindacalisti Goodyear, ha già acquisito la sua piccola vittoria. La pena di reclusione non è più prevista dal giudice, ma il sentiero è lungo e frastagliato. La lotta continua.

“La lotta di classe, compagni” termina Mickael “ farà fronte contro la giustizia di classe”.

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