Bee Happy, appena uscito per DeriveApprodi, una interpretazione dell’apicultura come atto culturale e politico. Femminista, perché no?
di Barbara Bonomi Romagnoli
Allora ecco che a una manciata di metri dagli alveari tutti in fila ce n’è proprio uno, di sciame, fra gli ulivi. Le api penzolano su un ramo grande che non si può tagliare ed è troppo alto per mettere un portasciami a terra dove indirizzarle. Con mio padre prendiamo le corde e una scala e vediamo di trovare un’altra via per recuperarle: può cominciare anche così una qualsiasi giornata della bella stagione, cercando uno stratagemma per riportare le api in una nuova arnia. Osservo incantata il glomere che hanno appena creato: è un intreccio di api a forma di ovale, curiosamente ricorda un cuore, sono tutte lì strette strette in un abbraccio collettivo che metta al riparo la regina volata via con un gruppo di operaie alla ricerca di una nuova casa. Romagnoli senior ama ripetere che è come quando ti va stretta la casa materna e allora traslochi, pacificamente e senza discutere te ne vai per la tua strada.
È un grappolo che si può accarezzare a mani nude, perché andandosene le api portano via con sé un po’ di scorte di cibo in attesa di costruirsi una nuova dispensa, sono appesantite dal loro bagaglio e l’ultima cosa che pensano è di pungere, un po’ come per noi umani piegarci a pancia piena dopo il pranzo di Ferragosto. Forse sono anche un po’ affaticate dalla danza dello sciame: appena l’ape esploratrice ha trovato una nuova dimora inizia a danzare avanti e indietro, sempre più api la seguono e la imitano in un movimento vorticoso accompagnato dalle forti vibrazioni delle ali che sembrano fischi, in pochi minuti si crea una nuvola esultante dinanzi alla vecchia casa. Lo sciame prima di partire arriva a 35° gradi, tutte le api decollano insieme seguendo le indicazioni delle api vigilesse che sfrecciano avanti e indietro per dirigere il gruppo, mentre le esploratrici marcano con segnali chimici l’ingresso della nuova casa. Il ronzio montante dello sciame in formazione è musica per le nostre orecchie.
Sciami volati via, prosecuzione della specie assicurata (per gli apicoltori che li vendono è anche una integrazione al reddito). Se è vero che tutto ciò avviene senza che le api operaie facciano sesso, in compenso le fanciulle si danno tantissimi baci per produrre il nettare di Afrodite. È un bacio d’amore quello con cui le bottinatrici raccolgono il nettare dal profondo del fiore e lo custodiscono fino a casa nell’ingluvie, una sacca nell’apparato digerente dove gli enzimi trasformano gli zuccheri del nettare e lo rendono quasi miele. Ed è con lo scambio di tanti bacini con la ligula che il nettare rigurgitato – eh sì dobbiamo ammetterlo che si tratta tecnicamente di un vomitino – matura fino a diventare il miele che mangiamo. È grazie a questi passaggi di bocca che la sostanza creata nello stomaco dell’ape perde la quantità di acqua in più, un transito delicato e poetico che noi umani chiamiamo «trofallasi», atto con cui avviene lo scambio di cibo fra tutte e permette anche di veicolare quell’ormone specifico, prodotto dall’ape regina, che inibisce lo sviluppo delle ovaie nelle operaie affinché restino sterili.
A tutto ha pensato la Natura, proprio a tutto.
* Barbara Bonomi Romagnoli, giornalista e scrittrice, collabora con numerose testate scrivendo di temi sociali e femminismi. È autrice di Irriverenti e libere. Femminismi nel nuovo millennio (2014) e fa l’apicoltrice, www.bioro.it.
Bee Happy (DeriveApprodi, 128 pagg, 12 euro) è il libro sull’apicultura che in Italia mancava: il racconto e la condivisione dell’esperienza diretta di una nuova generazione di apicoltrici e apicoltori. Questo non è un manuale, e lo rivendica. Bee happy è una finestra sul lavoro pratico, sugli affetti e sui modi di essere di una generazione di apicoltrici e apicoltori … e delle loro api. Con un apprezzabile taglio divulgativo, Barbara Bonomi Romagnoli racconta con ironia e sensibilità i concetti fondamentali del mestiere: il ciclo vitale dell’ape, le attività connesse con la fattura del miele, che, concetto primario, è un prodotto che “si raccoglie” e non “si fa”. Ma allo stesso tempo Bee Happy è una storia a più voci. Un libro scritto sulla base di un dialogo con colleghe e colleghi, oltre a riferimenti a esperti e letterati: in filigrana si può leggere la pratica di una generazione di “ritornanti” che dalla città tornano in campagna per riprendere, rinnovando, i mestieri che si confrontano con la natura. Dentro, com’è ovvio, c’è anche la storia personale dell’autrice, con le sue scelte e i suoi modi di essere e di pensare. È così che, in maniera inusuale nel panorama della letteratura del settore, in Bee Happy troviamo una interpretazione dell’apicultura come atto culturale e politico. Femminista, perché no. Perché se è vero che le api sono alla base della vita, la vita delle persone è anche la base dell’apicultura come attività umana, con tutte le sue sfaccettature.