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Fidel, piccola guida per smascherare le frottole

Troppe bugie e banalità nella pubblicistica su Fidel Castro. Alcuni consigli di lettura

di Antonio Moscato

 

Foto Andrea Zennaro/ su un muro di Roma, durante un corteo per il No al referendum, spunta una scritta all'indomani della morte di Fidel
Foto Andrea Zennaro/ su un muro di Roma, durante un corteo per il No al referendum, spunta una scritta all’indomani della morte di Fidel

Oggi siamo subissati da articoli spesso fastidiosi di omaggio funebre a Fidel e al comunismo (sepolti insieme all’intero Novecento in molti titoli), e verrebbe voglia di ignorarli del tutto. Lascio da parte i quotidiani di destra, e un solo accenno a “la Repubblica”, che non pochi distratti continuano a considerare di sinistra (sono in genere gli stessi che scambiano il PD per il caro vecchio PCI della loro giovinezza). Passi pure che si riporti seriamente un parere su Cuba espresso da Saviano, che parla di quel che non sa e continua a fantasticare ad esempio di persecuzioni agli omosessuali ventitre anni dopo la produzione e il successo di un film come Fragole e cioccolato, ma colpisce che continui a pagare un corrispondente come Omero Ciai che scrive su Cuba da Miami, e che dà tranquillamente per probabile che “lo zar dell’economia Marino Murillo” possa essere il delfino di Raul, senza accorgersi che è stato destituito bruscamente il 15 luglio. Un pessimo investimento, mi sembra, lo stipendio a un simile corrispondente…

È vero che sono in tanti a inframezzare al gossip sulle donne del líder máximo rifritture di dati inverosimili della propaganda statunitense sui milioni di vittime della dittatura (ad esempio il solito Gianni Riotta). A questi personaggi ha risposto efficacemente e più che tempestivamente Gennaro Carotenuto (leggi qui).

Una gradevole eccezione è un’intervista su “ la Stampa” all’ultra novantenne Emanuele Macaluso, che con grande onestà dice una verità dimenticata: la rivoluzione cubana era nata autonoma e sacrosanta, ma fu spinta a legarsi all’URSS dai “democratici americani ed europei”, che non la sostennero e anzi cercarono di stroncarla. In realtà nella categoria “democratici europei” potrebbe essere considerato lo stesso PCI, di cui Macaluso fu esponente di primo piano per molti anni. Come fu ammesso dallo stesso Cossutta, molti suoi dirigenti dopo le prime visite all’Avana non apprezzarono affatto quello che consideravano l’estremismo castrista e soprattutto la franca ed esplicita critica di Guevara al loro opportunistico interclassismo.

Ovviamente al coro delle denigrazioni più grossolane (come l’insinuazione di Mimmo Candito su “l’affiliazione [di Castro?] a una rete Caribe del KGB” o la pura invenzione dell’abbattimento dell’aereo di Camilo Cienfuegos “mitragliato in un confuso incidente aereo”) non si unisce il manifesto”, che pubblica invece un interessante articolo sul “dopo Fidel” di Roberto Livi (corrispondente da Cuba), che ha raccolto anche un’intervista a Enrique López Oliva sul ruolo del cattolicesimo a Cuba. Il professor López Oliva ventila la possibilità di una partecipazione del papa ai funerali, ma non accenna minimamente invece ai problemi posti dal rafforzamento della gerarchia cattolica in questa fase, di cui ha parlato più volte e che ho ripreso in vari scritti tra cui il più recente è Nuovi problemi per la direzione cubana. Ovviamente la ricostruzione storica della vita di Fidel Castro, curata da Aldo Garzia, è condivisibile. Forse sarebbe stato utile (più delle superficiali testimonianze personali di alcuni dei “fondatori” del giornale che appaiono ogni tanto) cominciare a spiegare le ragioni della lunga ostilità del gruppo del manifesto alla rivoluzione cubana, che nasceva non solo da un’incomprensione della sua dinamica e dalla sopravvalutazione del legame con l’URSS, ma anche dall’infatuazione totalmente acritica per la cosiddetta “rivoluzione culturale” cinese, che tra l’altro quando dilagava in Europa era già stata “normalizzata” spedendo i suoi dirigenti a coltivare la terra col bastone da scavo nelle zone più remote dell’enorme paese.

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