Le lezioni del martirio di Aleppo. Non dimenticate che, mentre leggerete queste righe, i resistenti di Aleppo, civili o militari, sono braccati con il fine di liquidarli. Letteralmente: liquidati
Vi sarà un prima e un dopo Aleppo, in Siria e altrove. Ma le forze che trarranno il massimo profitto da questa tragedia non sono per forza quelle in prima fila in una battaglia simile. Non dimenticate che, mentre leggerete queste righe, i resistenti di Aleppo, civili o militari, sono braccati con il fine di liquidarli. Letteralmente: liquidati.
1. Daesh è il grande vincitore, ben più di Assad
È l’organizzazione di Abu Bakr al- Baghdadi che sembra essere la principale vincitrice della battaglia di Aleppo. Non si ricorderà mai abbastanza che Daesh era stato espulso dalla seconda città della Siria, nel gennaio 2014, da quelle stesse forze rivoluzionarie contro le quali la dittatura si sta accanendo. Lo ripeterò a rischio di annoiare: è contro una città liberata da Daesh da quasi tre anni che il regime di Assad, la Russia e l’Iran hanno lanciato la campagna più feroce del conflitto siriano.
Mentre Putin e i suoi protetti saccheggiano Aleppo senza tregua, un drone occidentale ha eliminato a Raqqa il più alto in grado francofono di Daesh, Boubaker al-Hakim […]. Daesh si è sbarazzato della minaccia rivoluzionaria di Aleppo grazie ad Assad ed è stato risparmiato dai bombardamenti russi, cosa che gli ha consentito di riprendere l’iniziativa a Palmira. Quanto alla propaganda jihadista, come all’epoca dei bombardamenti chimici da parte di Damasco nell’agosto 2013, può denunciare un “complotto” internazionale contro i musulmani della Siria ed intensificare il reclutamento nel mondo intero.
2. L’Iran prende piede nel nord della Siria
Bisogna risalire a quattordici secoli indietro nella storia, ossia molto prima dell’Islam, per ritrovare un intervento persiano ad Aleppo: l’impero sassanide in guerra contro i bizantini, saccheggiò la città. L’irruzione di oggi da parte dei Guardiani della Rivoluzione dell’Iran rappresenta una sconfitta peggiore, visto che è associata alla partecipazione massiccia delle milizie pro-iraniane libanesi, irachene ed anche afgane. Il santuario aleppino dove una pietra è venerata per aver raccolto il sangue di Hussein (martire dello sciismo nel 680) potrebbe diventare il pretesto per una presenza stabile. Un processo simile è già stato attuato non lontano da Damasco, intorno al mausoleo di Zeinab, sorella di Hussein, con l’espulsione progressiva delle popolazioni locali.
3. La riconquista sul campo di rovine spopolate
Il regime di Assad si dimostra incapace di riconquistare territori che non siano dei campi di rovine, svuotati della loro popolazione. Così è stato a Homs, il cui centro città, occupato nel maggio 2014, rimane due anni dopo una città fantasma. Lo stesso è per i diversi sobborghi di Damasco che hanno ceduto a un assedio implacabile, con decine di morti per fame, come Daraya nell’agosto 2016. Ogni volta, l’uscita della popolazione accompagna la partenza dei combattenti insorti, anche in condizioni estreme. Il despota non può vantarsi di nessuna adesione significativa, al più di rese imposte con ferro e col fuoco.
4. Putin non ha alcuna fiducia in Trump
Il presidente russo porta avanti in Siria quella che ho definito come “una guerra fredda a senso unico”, tanto che Barack Obama gli ha lasciato campo libero. Putin ha capito immediatamente che i negoziati con Washington non avrebbero sortito alcun risultato, ma che gli consentivano di coprire la sua escalation militare sul terreno. L’elezione di Donald Trump gli offre un’opportunità di convergenza ai più alti livelli in nome di una sedicente lotta condivisa contro il “terrorismo”. Ma il capo del Cremlino preferisce imporre ancora i rapporti di forza più che negoziare con il suo futuro omologo americano. Obama si è disimpegnato in Siria, Trump rischia di esserne cacciato, non appena avrà assunto i suoi poteri.
5. l’ONU non assicura neanche il minimo umanitario
In tragedie precedenti l’ONU aveva tentato di compensare con una straordinaria attività umanitaria la sua impotenza diplomatica e militare. Un simile alibi non esiste in Siria: il bombardamento di un convoglio dell’ONU in viaggio verso Aleppo, il 19 settembre 2016, è rimasto senza risposta, nonostante la riunione del Consiglio di Sicurezza, a livello dei ministri degli esteri, che l’ha seguita poco dopo; l’inviato speciale dell’ONU per la Siria non è mai stato ad Aleppo, si è accontentato delle anticamere più confortevoli di Damasco; i bombardieri russi e siriani hanno continuato a colpire scuole ed ospedali ad Aleppo est, malgrado le condanne, mai seguite dai fatti, dell’ONU. Aleppo per alcuni è già diventata la “tomba dell’ONU”.
6. La Cina, e non solo la Russia, al Consiglio di Sicurezza
Si sarebbe potuto credere che la Cina, dopo quattro votazioni all’unisono con la Russia, fosse in procinto di attenuare il suo sostegno al regime di Assad al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Infatti, Pechino si era astenuta, l’8 ottobre 2016, su una risoluzione che chiedeva la fine dei bombardamenti aerei su Aleppo, risoluzione bloccata dal veto russo. Ma, il 5 dicembre, la Cina ha opposto il suo veto, esattamente come la Russia, su una risoluzione per una tregua di sette giorni ad Aleppo, proposta dalla Spagna, l’Egitto e la Nuova Zelanda. Pechino è giustamente preoccupata dalla presenza in Siria dei combattenti uiguri del partito islamico del Turkestan. Ma è il discorso “sovranista” di Putin, con il sostegno incondizionato ai regimi contro i popoli che ha sedotto la Cina. Ancora una volta, la Siria è rivelatrice di una visione del mondo più che di un certo tipo di politiche.
7. E dopo: Raqqa o Idlib?
Il regime di Assad, la Russia e l’Iran possono contare evidentemente su delle operazioni di “rastrellamento” relativamente rapide ad Aleppo est. La questione si pone dopo sul proseguimento dell’offensiva, sia verso Est e l’ultimo bastione degli insorti nella provincia di Idlib, sia verso Ovest e Raqqa, la culla e la “capitale” in Siria di Daesh. Tutto spingerebbe Putin e i suoi protetti verso Idlib, per assicurare il collegamento tra Aleppo e Lattakia. Il mistero è l’accordo che esisterebbe in questa fase tra Mosca e Ankara. Infatti, la Turchia è stata passiva nella fase finale della battaglia di Aleppo ed ha già approfittato di un assegno in bianco russo per mobilitare i suoi alleati siriani contro Daesh. Potrebbe, col favore di un assalto dei pro-Assad contro Idlib, accrescere il proprio vantaggio verso sud e verso Raqqa.
8. Già ai tempi del mandato francese
La caduta di Aleppo nel 2016 può essere analizzata allo specchio della “pacificazione” di Damasco e dei suoi sobborghi nel 1926. La Francia esercitava sulla Siria un “mandato” della società delle Nazioni e da un anno faceva fronte ad un sollevamento nazionalistico, in arabo chiamato Rivoluzione (thawra). Aveva usato Aleppo la sottomessa contro Damasco l’insorta, esattamente come la Russia e Assad oggi usano Damasco la sottomessa contro Aleppo l’insorta. Dei bombardamenti ciechi avevano colpito la capitale, malgrado le condanne internazionali, che non avevano impedito i “rastrellamenti” sanguinosi delle periferie di Damasco. Si può osservare che i colpi inferti dai francesi erano ben meno distruttivi nel 1925-26 dei bombardamenti russi del 2015-16. Parigi restaurò con la forza brutale la propria autorità sulla Siria, ma non avrebbe mai più avuto la base popolare per esercitare il suo mandato. L’avventura coloniale russa in Siria forse è appena iniziata.
Traduzione dal francese di Cinzia Nachira per R-Project Articolo in versione originale: www.filiu.blog.lemonde.fr/2016/12/11/les-lecons-du-martyre-dalep/
Jean-Pierre Filiu, professore di Scienze politiche presso la Scuola di Studi Internazionali a Parigi
Fa specie leggere di rivoluzionari libertari che sarebbero braccati a morte ad Aleppo. Pensare che questi libertari facevano fuoco sui civili che volevano lasciare la città, che erano tanto libertari da farsi belli per aver decapitato un dodicenne. Questi libertari sono così brutalmente braccati a morte che non appena dichiarano di accettare di venir trasportati, armi portatili in pugno, nelle zone occupate dai filoturchi i brutali soldati siriani accettano di scortarceli rispettando i termini di resa. Perché si sente tanto bisogno di sentire ancora cose simili? Certo per una certa nostalgia della ‘parte giusta’ da cui stare, quella pulita dei deboli. Peccato che i ‘libertari’ di Aleppo est e soci ad Idlib e ‘zone libere’ consimili siano poi, certo incidentalmente, a loro insaputa magari, assidui massacratori di altrimenti credenti o altrimenti opinanti. Una preghiera infine a questi signori d’oltralpe così compassionevoli: provino a dedicarsi anche alle stragi francesi in Costa d’Avorio di pochi anni fa, no, dico solo per fare un esempio. Così, nei ritagli di tempo mica sempre.
E’ indegna la posizione di popof a favore di uno dei tentacoli dell’imperialismo, Al Qaeda.
L’intervento di Jean-Pierre Filiu si inserisce perfettamente all’interno della strategia comunicativa (una delle armi con le quali oggi si combattono le guerre imperialiste) di chi ha organizzato e perseguito la destabilizzazione della Siria.
A colpire soprattutto è ciò che questo “esperto” ignora o volutamente nasconde. Il primo è il concetto di Umma, di comunità dei fedeli, che travalica i confini delle diversità interpretative all’interno dell’Islam e unisce tutti i musulmani contro gli infedeli che offendono quella che considerano la vera fede. Ebbene, l’ISIS e i suoi collaterali costituiscono l’unica entità integralista islamica che NON HA tra i suoi obiettivi Israele bensì un avversario islamico di Israele: il regime siriano di Bashar al-Assad. Questo rende credibili gli indizi esistenti circa il coinvolgimento israeliano nella creazione e nel sostegno dell’ISIS.
Altro dato di realtà omesso dall’autore è che l’unica alternativa realistica al regime siriano è l’ISIS: non ne è mai esistita un’altra, se non a livello propagandistico. Ciò significa che chi persegue la caduta del regime siriano persegue la presa del potere dell’ISIS in Siria.
Infine, altro dato di realtà nascosto nell’intervento, è che oggi i veri oppositori al regime di Bashar al-Assad, compresa la maggioranza sunnita, sono stretti attorno al regime. Il motivo è semplice: essi sono in primo luogo siriani, dunque non vogliono che il loro paese venga distrutto o che cada nelle mani di forze sostenute da entità straniere. Agli altri, a quelli che combattono il regime, non interessa se la Siria viene frantumata e divisa: non sono siriani.