Una poesia di Pasolini dedicata ad un operaio e a uno studente che l’autore scrisse nei giorni di Natale del ‘60
di Eugenia Foddai
Sfogliando una vecchia edizione de “Le belle Bandiere” che riporta i “Dialoghi con Pasolini”, rubrica di corrispondenza con i lettori sul settimanale Vie Nuove , ho trovato una poesia dedicata ad un operaio e ad uno studente che l’autore scrisse nei giorni di Natale del ‘60, poesia che fu pubblicata il 21 gennaio 1961 su l’Unità.
Sono gli ultimi giorni dell’anno. Il benessere
accende, verso sera, in tutti gli uomini
una specie di follia: la smania inespressa
di essere più felici di quanto siano …E’ sempre una speranza che dà pietà: anche
il piccolo borghese più cieco ha ragione
di averla, di tremarne: c’è un istante
in cui anch’egli infine vive di passione.E tutta la capitale di questo povero paese
è un solo ansito di macchine, una corsa
angosciata verso le antiche spese
di Natale, come a una necessità risorta.Potente luce di Luglio, ritorna, oscura
questo debole crepuscolo di pace,
che non è pace, questo conforto ch’è paura:
ridà parole al dolore che tace.Manda i cadaveri ancora insanguinati
dei ragazzi che hai illuminato potente:
che vengano qui, tra questi riconsolati
benpensanti, tra questa dimentica gente.Vengano, con dietro il tuo chiarore di piazze
fatte campi di battaglia o cimiteri,
tra queste ciniche chiese dove la razza
dei servi torna alla sua viltà di ieri.Vengano tra noi, a cui non è rimasta
che la speranza di una lotta che dispera:
non c’è più luce di Natale, o di Pasqua.
Tu, sei la luce, ormai, dell’Italia vera.
[n. 3 a. XVI, 21 gennaio 1961]
Questa poesia ne cita un’altra dell’autore, dal titolo Luglio ( potente luce di Luglio), pubblicata il 29 dicembre 1960 sempre su l’Unità: qualcuno le confonde perché ispirate ai fatti che avvennero nei mesi estivi precedenti. Allora si accese la luce della speranza per quella che venne chiamata la Nuova Resistenza.
Il 7 luglio 1960, nel corso di una manifestazione sindacale, cinque operai di Reggio Emilia, tutti iscritti al PCI, furono uccisi dalle forze di polizia. I loro nomi, immortalati dalla celebre canzone di Fausto Amodei “Per i morti di Reggio Emilia” sono: Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri, Afro Tondelli. Questa strage fu preceduta da due settimane di scontri con la polizia, alla quale Tambroni, capo del governo monocolore a guida democristiana, ma sostenuto dai fascisti e dai monarchici, diede licenza di uccidere. Alla fine della mattanza si contarono undici morti e centinaia di feriti. Questi morti costrinsero alle dimissioni il suo governo, e aprirono la strada a futuri governi di centro-sinistra, segnando un radicale cambiamento del clima politico con la comparsa della generazione dei “ragazzi con le magliette a righe” o a “strisce”, dipende dalla memoria storica: magliette che furono un segno distintivo che riunì i giovani, non ancora pienamente coscienti di essere una forza autonoma, contro il ritorno del fascismo.
Ma torniamo alla poesia. La luce evocata da Pasolini non è quella natalizia, ma quella che si sprigiona dalle lotte che sole danno una speranza nel futuro, anche se è sui cadaveri insanguinati degli operai che a Reggio Emilia furono massacrati dalla polizia che questa speranza si dispera!
Pasolini, parafrasando una canzone di Lolli, era un poeta che aveva la grazia di aprire sempre la finestra sbagliata perciò il suo Natale parla al nostro cuore. La potente luce di Luglio è quella che invochiamo anche noi perché illumini questo triste crepuscolo e le tenebre non ci avvolgano e ci disperino.
Una curiosità a proposito di questa poesia natalizia è la lettera che gli scrisse una signora e la risposta che Pier Paolo le dette su Vie Nuove . Eccone alcuni passi significativi:
“Io non sono colta, non sono iscritta ad alcuna associazione. Sono una semplice donna, che vive la sua vita di lavoro, di preoccupazioni, di sofferenze: sempre serena perché una grande fede, dà forza al mio animo e mi dice che la nostra vita, non finisce con la morte del corpo. Qualche mese fa, l’ortolano mi involse della verdura in una pagina di giornale. Non leggo mai nulla, perché non ne ho il tempo, ma quel giorno, posai gli occhi, sugli ultimi versi di una sua poesia” (…) “Forse non avrò interpretato bene i suoi versi (e vorrei fosse così) perché è tanto grande la pena che lei mi fa. Ho un figlio di 22 anni e penso quanto sarebbe grande il mio dolore se egli avesse i suoi sentimenti. Proprio oggi mi sono ripetuta: Il Natale e La Risurrezione del Manzoni, poesie studiate quando ero quasi una bambina. Ho pianto di gioia e di commozione ringraziando il Signore, perché c’è ancora tanta gente che sente, la grandiosa potenza della luce di Natale e di Pasqua!”.
Vi trascrivo qui di seguito la toccante risposta di Pier Paolo Pasolini:
“Ognuno ha una sua luce, e, poiché questa luce è irrazionale, indistinta, mistica, senza limiti, cioè, psicologici e storici, ognuno tende a dare a questa luce una forma. Per lei, la forma della sua luce sono Natale e Pasqua, in quanto feste cristiane: per me non lo sono più. Io ho molto più tempo di lei per pensare a queste cose: anzi, pensare a queste cose è il mio mestiere. Anch’io da ragazzo ho letto Il Natale e La Risurrezione del Manzoni: ma poi ci ho pensato e ripensato. Se le rileggo non le trovo più uguali ad allora. Non sono quella che Proust chiama una intermittences du coeur. Il cattolicesimo del Manzoni è un fatto storico molto più complesso e profondo di quello che lei ingenuamente crede, esso è stato non è. Ogni cosa si muove col muoversi della storia. Non esistono delle cose immobili: neanche le poesie sono immobili, esse che sembrano superbamente collocarsi al di là del tempo …
Per il Manzoni il cattolicesimo era una ideologia che, nel suo particolare momento storico, nella sua particolare psicologia, era un elemento di equilibrio: e, nella sua componente liberale, era anche progressivo. Ora, coloro che insegnano a scuola ad amare il cattolicesimo del Manzoni e il cattolicesimo tout court non sono in nessun modo degli illuminati: sono dei reazionari. La luce che essi propongono ai loro fedeli sotto forma di rito religioso ( Natale, Pasqua ecc. ) è una luce che serve ad accecare. Non c’è più una scintilla sola dello spirito di Cristo nei Natali della operazione-panettoni e nelle Pasque della operazione-colombe. Il Monopolio e la Chiesa sono strettamente uniti. Ogni spirito religioso non può non sentirsene profondamente offeso. E quindi non cercare altrove la sua luce. Per me non c’è niente di più simile allo spirito evangelico dei morti di Luglio, e di tutti gli altri umili morti che hanno lottato per un più vero rapporto religioso fra gli uomini. Il Natale e la Pasqua sono state antiche feste religiose pagane ( la nascita del sole e l’avvento della primavera) piene di rozzo, mitico spirito religioso: si sono poi trasfuse nelle feste cristiane portando la loro antica ingenuità nella nuova insegnata da Cristo. Ma dopo la Controriforma e nell’attuale momento storico, non c’è niente di più prosaico, ipocrita, conformista dello spirito impresso dal clero a simili occasioni d’amore.
Qui le scrivo in modo molto elementare: il problema è infinitamente più complesso. Ma voglio essere inteso in modo elementare. Se poi lei volesse conoscere le mie più interne ragioni, legga il mio libro di versi che deve uscire entro la primavera, e che si intitola appunto La religione del mio tempo: visto che il mio caso personale la interessa con tanta pietas. Ma lei intanto esamini e osservi bene questa sua pietas; forse, con un po’ di coraggio, potrà intravedere quanta viltà, quanta pigrizia e quanto narcisismo essa contiene: o almeno quanta retorica.