Non c’è il nome di Leonard Peltier nella lista dei 330 atti di clemenza concessi da Obama prima di lasciare il posto a Trump. E Assange ci ripensa: non si consegnerà
di Francesco Ruggeri
Tra poche ore apparirà un gigante dei diritti umani di fronte all’irruzione sulla scena di Donald Trump ma probabilmente Barack Obama passerà alla storia come uno dei presidenti più sopravvalutati della storia americana. C’è anche chi, come Noam Chomsky chiede con alcune ragionevoli pezze d’appoggio la sua incriminazione per crimini di guerra.
Barack Obama, appena prima di lasciare la Casa Bianca, ha commutato le pene di 330 condannati per reati di droga. I provvedimenti di clemenza sono uno dei suoi ultimi atti ufficiali come presidente degli Stati Uniti. Con quelli di oggi, Obama ha concesso 1.715 provvedimenti di clemenza, più del totale concesso dagli ultimi 12 presidenti Usa.
Una omissione notevole nell’atto finale di Obama è il nome di Leonard Peltier, l’attivista nativo americano che è stato condannato al carcere a vita dopo essere stato accusato di aver sparato a morte due agenti dell’FBI nel 1975. All’inizio di questo mese, uno dei lead prosecutors nel caso di Peltier ha scritto una lettera aperta a Obama, chiedendogli di liberare Peltier. James Reynolds ha scritto che il rilascio di Peltier sarebbe “nell’interesse della giustizia nel considerare la totalità di tutte le questioni coinvolte”. “Sembra che ci sia inutile contribuenti pagare il suo vitto e alloggio”, ha detto Reynolds al Guardian. “E ‘ora di farla finita.” Peltier è stato condannato dopo un processo profondamente di parte che ha incluso dichiarazioni false da parte di agenti federali e altre testimonianze estorte.
Obama ha anche graziato 212 persone durante il suo mandato ma si è guardato bene dall’affrontare i casi più clamorosi come Peltier e Mumia Abu Jamal, solo per citare, il giornalista delle Pantere nere, “voce dei senza voce”, da 34 anni in galera dopo un processo a dir poco discutibile sul caso dell’omicidio di un agente a Filadelfia.
C’è anche un “terrorista”, ossia un detenuto politico, tra gli individui che hanno ricevuto la clemenza di Obama. Si tratta di Oscar Lpez Rivera, condannato ad oltre 50 anni di prigione per aver complottato contro il governo americano. Lopez Rivera, infatti, faceva parte del gruppo portoricano, ‘Faln’, tradotto dallo spagnolo ‘Forze armate della liberazione nazionalè, che si batteva per l’indipendenza di Porto Rico attraverso la violenza e legato a oltre cento attentati a New York e altre città americane tra gli anni ’70 e ’80. Lopez Rivera fu condannato a 55 anni di prigione nel 1981 per cospirazione alla sovversione. In seguito nel 1988 fu condannato ad altri 15 anni per aver tentato la fuga. L’uomo non è mai stato accusato direttamente degli attentati della Faln piuttosto di aver complottato di sovvertire il governo americano. La sua pena sarebbe scaduta nel 2051, invece ora sarà libero dal prossimo maggio.
Dietrofront,invece, da parte di Julian Assange, che aveva promesso di consegnarsi alle autorità Usa se Barack Obama avesse concesso la grazia alla ‘talpa’ di Wikileaks Chelsea Manning. «Tutto ciò che ha detto lo manterrà», aveva detto inizialmente uno dei suoi avvocati, Melinda Taylor, suggerendo che non si sarebbe rimangiato il suo impegno. Ma Barry Pollack, un altro legale del giornalista australiano, ha corretto subito il tiro spiegando che la decisione di Obama di commutare la pena riducendola da 35 a 7 anni non è sufficiente: «è meno di quanto Assange ha chiesto. Non si chiedeva una riduzione della pena, ma la grazia (che cancella il reato, ndr) e la scarcerazione immediata di Manning», ha spiegato. Intanto monta l’ira dei repubblicani e di Donald Trump, col vicepresidente eletto Mike Pence che parla di Manning come di un «traditore» e accusa Obama di aver compiuto un gravissimo errore. «Scandaloso», ha rincarato lo speaker della Camera Paul Ryan, accusando Obama di aver creato un «precedente pericoloso». Ma nella sua ultima conferenza stampa il presidente uscente ha difeso il suo atto di clemenza, sottolineando che Manning si è sottoposta ad un processo, si è assunta la responsabilità dei crimini e ha ricevuto una pena «sproporzionata», più dura di quella inflitta in casi analoghi. Il fondatore di Wikileaks, il sito che ha pubblicato in dieci anni di attività migliaia di documenti segreti imbarazzanti o pericolosi per gli Usa, compresi i recenti hackeraggi russi, aveva fatto la sua promessa la scorsa settimana «nonostante la chiara incostituzionalità» del caso pendente al ministero della giustizia. Dopo la mossa di Obama, Assange su twitter ha cantato «vittoria», ringraziato i sostenitori della causa ed elogiato Manning come «un eroe, il cui coraggio dovrebbe essere applaudito». Ha poi chiesto agli Usa di «fermare la loro guerra contro gli informatori e gli editori, come Wikileaks ed io stesso», perchè insieme ai giornalisti essi «distribuiscono informazioni autentiche su questioni chiave come gli abusi dei diritti umani e gli atti illegali di dirigenti governativi». Ma non ha fatto alcun cenno al suo impegno. Il dipartimento di giustizia Usa non ha mai annunciato alcuna accusa contro Assange e non è chiaro se lo abbia fatto in modo segreto. In ogni caso qualsiasi decisione su una eventuale incriminazione ed estradizione ricadrà sulla prossima amministrazione. Con un Trump che potrebbe essere incline alla clemenza, ma anche più imbarazzato dopo il suo plauso al lavoro di Wikileaks e le conclusioni dell’intelligence Usa che gli hacker russi si sono serviti del sito di Assange per favorirlo nella corsa presidenziale, danneggiando la sua rivale Hillary Clinton e il partito democratico. Assange si è rifugiato nell’ambasciata ecuadoregna di Londra oltre quattro anni fa per evitare l’estradizione in Svezia, dove è indagato per violenza sessuale. E si è rifiutato di farsi interrogare in Svezia temendo l’estradizione negli Usa. Estradizione che sarebbe sicura nel caso di Edward Snowden, l’ex talpa della Nsa protagonista nel 2013 del ‘Datagate’ rifugiatasi a Mosca. Ma il Cremlino lo ha blindato: il suo permesso di soggiorno è stato esteso per altri tre anni, fino al 2020, e presto avrà i requisiti richiesti per poter chiedere la cittadinanza russa, come ha annunciato il suo avvocato, Anatoli Kucerena.