Terremoto: viaggio da Arquata ad Amatrice, tra neve, crolli, macerie e il “pellegrinaggio” quotidiano dalla costa di chi non vuole stare lontano da quel che resta delle loro case
Frazione di Amatrice. Foto: Giovanni Marrozzini |
AMATRICE – Un laccio azzurro contro la potenza del terremoto. La scommessa della vita che riparte contro la violenza delle oltre 49 mila scosse che l’istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ha rilevato dal 24 agosto a oggi nel territorio appenninico compreso tra Norcia e Amatrice. Il laccio sfida la fisica e promette di mantenere in piedi sugli scaffali le bottiglie del bar Rinascimento, unico esercizio commerciale aperto nel piccolo centro laziale dalla notte che ha cambiato il volto di decine di paesi montani e il destino di migliaia di famiglie.
I proprietari del bar, ultimo presidio prima della zona rossa, ridotta a un’unica distesa di neve e macerie, hanno sistemato il laccio davanti alle bottiglie di liquori per evitare che possano cadere con le scosse, selezionando accuratamente le marche di maggior consumo. Sugli altri scaffali, pochi contenitori in vetro e scatoline di cartone.
Le bottiglie del bar Rinascimento, tenute ferme da un laccio. Foto: Giovanni Marrozzini |
Arriviamo ad Amatrice che è già tramonto. Un pannello luminoso all’inizio del corso ricorda la data e l’ora in cui il paese si è fermato. Sono passati 5 mesi e anche qui le persone, come nel resto dell’Appennino, trattengono il fiato.
Il bar è stracolmo, ma la quotidianità resta un miraggio. Al posto dei clienti comuni ci sono militari, poliziotti, uomini della protezione civile e dei vigili del fuoco alla ricerca di qualche minuto di caldo e di ristoro prima di tornare ad affrontare il freddo pungente dell’esterno. Le divise e le auto di servizio raccontano storie diverse ma parlano un’unica lingua: quella dei soccorsi.
Anche i discorsi sono a senso unico. Ci si scambia informazioni sulla viabilità, sulla neve, sul meteo, sulle scosse che non danno tregua. Il paesaggio è surreale e combattuto tra la bellezza disarmante delle montagne innevate e la violenza delle macerie sommerse dal ghiaccio, e della vita che non abita più qui.
Grisciano. Foto: Giovanni Marrozzini |
Il viaggio era iniziato in mattinata da Arquata dove l’unico posto al caldo si chiama Blu Bar e il metro e mezzo di neve che sovrasta le finestre ricorda la tormenta di pochi giorni fa. A un paio di tavoli gli ingegneri dell’Anas al lavoro sul progetto che prevede una nuova galleria poco più a est, sulla Salaria, tra Trisungo e Favalanciata. In un altro, un gruppetto di anziani arrivati dalla costa, come ogni giorno, “per sentirci un po’ più a casa, anche se casa nostra non c’è più”.
Floridio, una settantina d’anni, dal 25 agosto alla notte della tormenta ha vissuto in una roulotte. Era uno dei pochissimi residenti a non aver lasciato Arquata. Ha una casa sulla costa ma tre terremoti non sono bastati a convincerlo ad abbandonare le sue montagne, osservate speciali per il rischio crolli (l’ultimo sul Vettore, nella mattinata di ieri) “e i miei animali – racconta –: una cinquantina di pecore, molti cani e i conigli. Tante pecore le ospita un amico nella sua stalla. Ma una decina sono rimaste qui con me insieme ai cani e ai conigli. Bisogna dargli da mangiare e proteggerli dal gelo”.
Floridio. Foto: Giovanni Marrozzini |
Il ghiaccio, proprio quello che in poche ore aveva trasformato la sua roulotte in una trappola, scardinando la porta e lasciando l’anziano allevatore in preda alla fortissima nevicata e a temperature glaciali. La neve, che ha distrutto la sua casa con le ruote e lo ha costretto a scendere a patti con il mare “dove torno solo per dormire, perché tutti i giorni io vengo qui col pullman”. Le sue pecore hanno bisogno di lui, almeno quanto lui di loro. “Al mare? No, non ci so stare. Qui sì, qui sto bene – gli occhi brillano, finalmente -. Qui c’è la mia vita”. Con il viso indica un punto fuori dalla finestra del bar. Seguo il suo sguardo. Io vedo solo macerie, lui tutto quello di cui ha bisogno.
“Ci ha chiamati con il cellulare – spiega Angelo, uno dei gestori del bar, raccontando il suo salvataggio – e siamo andati a prenderlo per portarlo al sicuro: io e i camionisti che erano rimasti bloccati dalla neve nella stazione di rifornimento qui a fianco. Una decina di persone, tra italiani e stranieri, che non potevano ripartire perché la Salaria era impraticabile. Uno di loro trasportava un carico di uova e sono state una benedizione. Nei tre giorni in cui siamo rimasti isolati abbiamo mangiato più di 90 uova: carbonara a pranzo e frittata a cena”. I ricordi piacevoli si mescolano ai momenti in cui la paura prende il sopravvento. Allora i discorsi tornano alle scosse, alle perdite, alla rabbia.
“Sono passati 5 mesi e non si muove niente – protestano due donne appena arrivate da Porto d’Ascoli -. Veniamo qui tutti i giorni ma non vediamo miglioramenti. La situazione è questa, la vedete anche voi. Ma noi cittadini che possiamo fare? Noi non decidiamo niente, noi non possiamo fare niente”.
Campo base Arquata. Foto: Giovanni Marrozzini |
Ci lasciamo Arquata alle spalle, direzione Amatrice. Lungo la Salaria un altro punto unico: un ristorante famoso per la ‘griscia’, l’amatriciana in bianco. La struttura è intatta e l’impressione è quella di un’oasi nel deserto. Tutt’intorno solo case lesionate, strade dissestate, carovane di mezzi dell’esercito e dei vigili del fuoco impegnati nel presidio dei centri e nella rimozione delle macerie. Ai tavolini, nuovi uomini con le divise e i volti provati.
Amatrice la raggiungiamo dal primo bivio. Arriviamo a meno di due chilometri dalla zona rossa ma la strada è presidiata da una pattuglia dell’esercito. Pericolo crolli, si deve tornare indietro e risalire dalla parte del corso, quella opposta. Percorriamo alcuni chilometri attraversando frazioni con altitudini diverse e la stessa fisionomia: crolli, neve e macerie. Ogni tanto una macchia di colore stropicciato emerge dal bianco e racconta di tende accartocciate su se stesse o di automobili e roulotte semi sommerse dalla neve e ricoperte da stalattiti di ghiaccio.
Frazione di Amatrice. Foto: Giovanni Marrozzini |
Le strade sono pulite, si viaggia in sicurezza. Poco fuori il centro di Amatrice, sulla strada che porta alla Salaria, una casa illuminata. La prima che incontriamo. Le persiane aperte. I panni stesi ad asciugare. Il calore dei vetri appannati. La vita, più forte di tutto il resto. (Teresa Valiani)
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