A Rimini s’è aperto il congresso fondativo di Sinistra Italiana. Occhi puntati sugli stravolgimenti interni del Pd. Ma ci sarà mai la scissione? E, se ci sarà, che ne sarà di questa nuova formazione?
da Rimini, Checchino Antonini
Doveva essere il soggetto unitario, quello che andava oltre Sel, che avrebbe accolto le flotte di transfughi dal Pd. Invece proprio le convulsioni interne alla “ditta” – mai come ora vicina alla scissione – hanno spaccato Sel e striminzito sul nascere le ambizioni di Sinistra Italiana, il partito tenuto a battesimo, da oggi a domenica, dal congresso fondativo in corso a Rimini. O così pare perché nel PalaCongressi più di un interlocutore si chiede se ci sarà davvero lo psicodramma finale nel partito grazie al quale è esistita Sel (il ritorno in parlamento in grande stile è stato possibile solo grazie all’alleanza elettorale col Pd bersaniano) e dalle cui sorti dipendono anche quelle di buona parte del personale politico di Sinistra Italiana. Infatti se è legittimo chiedersi se e come sarà la fuoriuscita dal Pd (Vendola la definisce una “cosetta”), un quesito speculare ma ineludibile è: quanto verrà risucchiato di Sinistra Italiana se davvero si produrrà un terremoto che condensi le truppe di Bersani magari con quello che sta provando a solidificare D’Alema lontano dai riflettori? Da quando è in campo l’idea di fare Sinistra Italiana lo scenario è cambiato repentinamente: il Pd come partito non sembra esserci più. Che fare? Tentare di intercettare la rottura o accodarsi comunque? Stare con qualsiasi Pd o solo con una sua versione di “sinistra”? Magari non c’è differenza sostanziale ma è questa la domanda che attanaglia gli animatori di Sinistra Italiana ed è questo, oltre alla conta dei delegati e alle battaglie sugli emendamenti, a tenere banco, alla vigilia e nei corridoi del PalaCongressi dove un pianoforte, accanto al pulpito, scandisce gli interventi con variazoni sul tema de L’Internazionale.
A tenere banco è anche la prima secessione, quella di Arturo Scotto, capogruppo che non s’è ancora dimesso ma che ha annunciato la propria fuoriuscita per fare gruppo con i bersaniani in compagnia, per ora, di Smeriglio, Furfaro, Ciccio Ferrara, Zoratti ecc… ossia quel settore più convinto dall’idea di campo progressista di Pisapia che, nel frattempo, continua a consultarsi con Renzi, così si mormora. Essere la sinistra di Renzi o la sinistra di D’Alema? Due operazioni tattiche differenti, spiega un delegato romano, che coinvolgono, pare, la metà dei parlamentari, ma che se fossero state presenti al PalaCongressi non avrebbero sfondato il muro del 30%, senza scalfire quindi la leadership di Nicola Fratoianni che in Si ritrova anche un pezzo della sua generazione politica, quella cresciuta nei social forum e nella stagione dei disobbedienti (Luca Casarini, il napoletano Pietro Rinaldi, il bolognese Gianmarco De Pieri, solo per citare). Ad abbassare l’età media sono soprattutto i ragazzi di Act, l’associazione nata attorno a Claudio Riccio e Iovino, che spinge per costruire il programma assieme alle esperienze civiche e ai movimenti, ed è riuscita a esprimere l’11%, 53 dei 640 delegati in rappresentanza di 21mila iscritti, 3400 dei quali a Roma, il 17% della platea congressuale. Piuttosto consistente il radicamento nella Cgil, e lo testimonia l’applauditissimo intervento di Landini. «Il mercato e l’impresa hanno loro rappresentanza, chi lavora non li rappresenta nessuno – ha detto il leader della Fiom – per ricostruire la sinistra c’è una precondizione: tornare a unire quelli che lavorano che oggi sono divisi, frammentati, pensiamo ai precari. Su questo serve una rottura. Per me la differenza tra destra e sinistra è chiara, ma purtroppo lo stesso non vale per i giovani precari. Negli ultimi anni la disuguaglianza e la riduzione degli spazi di democrazia sono stati senza precedenti (e lui dovrebbe saperne qualcosa visto che ha punito i delegati ribelli di Melfi, imposto alla sua organizzazione dei pessimi accordi e un pessimo contratto, ndr)».
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Sarà Fabio Mussi a tracciare il solco del dibattito con la relazione sul documento politico: «Abbiamo difeso una biodiversità politica per impedire che la politica regredisca ai maschi alfa con il bastone». Si sarà un «partito autonomo e radicale, ma radicale è il contrario di estremista», ossia, secondo Mussi, «capace di cultura di governo». Ancora: «Mai con Matteo Renzi, non perchè sia antipatico ma perché abbiamo capito e sperimentato come la pensa e cosa vuole». Uno dei passaggi della sua lunga relazione di apertura è stato dedicato proprio al Pd e al suo confronto interno. «Il Pd va o non va a congresso? Cambia leadership e vira a sinistra? Bene – ha detto Mussi – si aprono nuove opportunità di relazione. Ci sembra per adesso un’ipotesi remota ma guai a chiudere. Diciamo porte aperte. Si va invece a una spaccatura insanabile a quella scissione quotidianamente evocata? Allora diciamo massima disponibilità alle convergenze politiche ed elettorali. Su una cosa occorre essere coerenti e chiari: non si pensi che qualunque sia l’esito del congresso, del caos Pd, chiunque comandi, qualunque sia il programma e la politica adottata, l’alleanza è inevitabile». «Non ci mettiamo in attesa che qualcuno ci metta in una lista senza svolte a sinistra noi faremo valere la nostra autonomia. Chi pensa che Sinistra Italiana nasca – come si dice dalle mie parti – come un giocattolino, sbaglia di grosso. Noi vogliamo fare un partito utile anche agli altri, non che sia autosufficiente».
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Quel che resta della vecchia Sel è compatta attorno a Fratoianni, con lui i 65 delegati vicini a Fassina e i 75 dell’area grassiana, i fuoriusciti dal Prc che già hanno perso qualche pezzo verso il “campo progressista”. Poi ci sono Cofferati (che gioca da solo e ha presentato un emendamento entusiasta sull’Europa contro quello euroscettico di Fassina), l’eurodeputato Curzio Maltese dato in rapido avvicinamento ad Emiliano (che domani sarà ospite del congresso), e c’è D’Attorre, che non ha seguito Scotto e domani potrebbe presentarsi in alternativa a Fratoianni – con i suoi 20 delegati più qualcuno di quelli espressi dai territori e non riconducibili ad alcuna filiera – per costituirsi come minoranza. «Sinistra Italiana deve essere un soggetto che partecipi sin dall’inizio al processo di costituente della sinistra italiana, come proposto da Massimo d’Alema – incalza Alfredo D’Attorre, a margine del Congresso – possiamo dire di aver visto giusto quando puntavamo sul 4 dicembre per scardinare il Pd e riaprire la partita a sinistra. Ora dobbiamo rilanciare, sulla base di programmi chiari, un lavoro comune con gli altri soggetti per rappresentare una valida alternativa al Pd di Renzi». Quanto alla scissione del Pd, D’Attorre ritiene che ormai è un dato di fatto. «Sono venute meno le ragioni connettive del Pd, cioè il maggioritario e la globalizzazione e l’adesione all’Europa a ogni costo». Fratoianni, intanto, lancia l’ultima chiamata prima della proclamazione di domenica: «A Scotto dico, come gli ho detto privatamente e pubblicamente in questi giorni: vieni qua, è il tuo congresso, sei il nostro capogruppo; domani in effetti lui sarà qua. Sarebbe bello che continuasse a fare il capogruppo. Noi vogliamo costruire un partito che è la casa di tutti, anche delle differenze». Ancora: «A Giuliano Pisapia, che ci dice che dobbiamo essere uniti per vincere, dico che è il momento di porsi il problema di cosa fare dopo aver vinto. Il rischio è quello di vincere e di fare il contrario di quello per cui ci siamo battuti. È anche per questo che vince la destra».
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Congresso senza brividi, dunque, perché il dilemma sul posizionamento e sul segretario è stato superato dai fatti, ma anche senza festa, congresso a freddo come quasi ogni fatto politico e sindacale di questi anni, congresso secondo alcuni “di apertura” (dice Luciana Castellina che per aprire le porte devi costruire la casa), che inaugura, secondo altri, l’unica infrastruttura politica consistente a sinistra del Pd. Con buona pace di Rifondazione che oggi ha salutato il congresso con un intervento di Maurizio Acerbo e domani parlerà per bocca del segretario uscente Paolo Ferrero.
«Qui nasce una sinistra che non vuole più travestirsi da destra. Troppe volte la sinistra fa la sinistra solo in campagna elettorale e una volta al potere attua le politiche della destra, come ha fatto Renzi. Noi siamo la sinistra alternativa a questa terribile resa alle politiche liberiste – dice ai cronisti Nichi Vendola, prima della relazione di Mussi – le porte devono essere innanzitutto aperte alla società, noi dobbiamo guardare con molto interesse al dibattito interno al Pd, alle rotture, all’implosione, ma ricordandoci che il mondo è molto più ampio del Pd, quella è una cosetta. Poi fuori ci sono i giovani e il fronte largo che ha votato no al referendum, che ha mandato un messaggio molto chiaro. Noi siamo qui per ricostruire un’alternativa, altrimenti la destra farà il pieno».