Eroina 2.0, tra vecchie e nuove modalità di assunzione, tra guerra in Afghanistan e perversioni della Fini-Giovanardi, è una merce perfetta: occupa poco spazio, rende bene, provoca la fidelizzazione più rapida
di Checchino Antonini
C’era una volta il tossico, “che ce l’hai cento lire?”, abitatore di panchine di parchi e stazioni, gradini di monumenti, locali malfamati, alla ricerca di autoradio e catenine o spicci, tutto per uno schizzo, la “roba”, sempre di più, sempre più spesso.
C’era una volta un tossico. E c’è ancora, ma ora è invisibile, bisogna stanarlo perché è cambiato il modo di consumare l’oppiaceo più efficace. L’eroina è una merce perfetta: occupa poco spazio, rende bene, provoca la fidelizzazione più rapida e tagliandola se ne moltiplica il valore. Oggi, più che spararsela in vena, viene inalata. La pallina di brown sugar, avvolta nella stagnola, è più “smart” della “pera”. E più insidiosa. Così raccontano tutte le voci ascoltate da Left in queste pagine.
E’ Eroina 2.0. A “farsi” sono giovani, italiani, insospettabili, che lavorano o studiano, “compatibili”, che non hanno bisogno di commettere reati.
Sprezzante del ridicolo la ministra Lorenzin ha detto che l’eroina è sparita dalle strade ma, dal 2009, stando ai dati ufficiali, il contatto con la sostanza risulta in leggera ripresa dopo anni di calo e la ricerca Espad del Cnr la classifica come la più popolare tra i quindicenni dopo la cannabis. Se un terzo dei liceali s’è fatto una canna, l’1% ha assaggiato eroina negli ultimi 12 mesi. Per l’Istat gli eroinomani sono 281mila (una città più popolata di Venezia) contro i 3-400mila del ’93. Lo studio Espad del Cnr, dal 1995 somministra questionari a 4-500 scuole per indagare consumi e comportamenti a rischio. La referente è la dottoressa Sabrina Molinaro. «Già dal 2003 – spiega – si assiste a un lento aumento di chi ne fa uso più di dieci volte al mese, quasi 20mila studenti fra i 15 e i 18 anni. Quello che colpisce è la scomparsa del tabù sulla sostanza, uno sdoganamento che corrisponde alla diminuzione della percezione dei rischi correlati e un aumento anche dell’uso iniettivo di questa e altre sostanze. Le scuole che partecipano a Espad (European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs) ci spiegano che, quando si interrompono i progetti informativi e la prevenzione aumentano i consumi problematici ed esiste un 2,5% del campione che ammette un uso caotico, ossia dichiara di assumere sostanze di cui non sa né il nome né gli effetti».
Spiega a Left Susanna Ronconi, ricercatrice di Forum Droghe: «Nell’ultimo decennio c’è stato sicuramente un calo di quei consumatori per cui l’eroina è la sostanza di elezione. L’aumento riguarda un tipo di consumatori di cui si sa poco: giovani soprattutto, anche come storia di consumi, che inseriscono l’eroina nel loro mix di sostanze. Quello che si osserva nei setting del consumo è un aumento dell’uso iniettivo di eroina e metadone che fa riaumentare i rischi di overdose. Il dato è che siamo di fronte a stili di consumo differenti da quelli su cui siamo abituati a lavorare. Questo tipo di consumatori frequenta poco i servizi e per questo Itardd (Rete Italiana Riduzione del Danno) sta conducendo una ricerca sui nuovi consumi». «Molti giovani la adoperano come automedicazione, ad esempio alla fine del week end per placare gli effetti delle metanfetamine, per riuscire a dormire – conferma Molinaro – e quando non la trovano, magari perché hanno arrestato il pusher, cercano da soli il metadone rivolgendosi ai SerD». Dalla strada arriva la conferma che i servizi «non riescono a intercettare la varietà di traiettorie del consumo e che questo è in ripresa tra i giovanissimi negli anni della Fini Giovanardi e della guerra in Afghanistan che ha aumentato l’offerta». Chiara, dell’Osservatorio antiproibizionista CanaPisa Crew, ci racconta di un uso massiccio di metadone endovena, una modalità importata dai georgiani tra chi vive la strada ma anche di un policonsumo che fa breccia nei “contesti del divertimento” dove un tempo era un tabù: feste techno, centri sociali, rave. «La siringa nemmeno è più tabù da quando viene adoperata per la ketamina», avverte da Firenze, Sara Contanessi del progetto Outsiders, unità mobili nei contesti illegali e nella movida, per intercettare il pendolarismo dei consumatori tra Firenze e Prato, e un centro a bassa soglia per adolescenti.
«E’ accaduto con gli spacciatori del Maghreb quello che s’era potuto osservare ad Amsterdam dove gli spacciatori cinesi hanno insegnato come fumarsi l’eroina – ci dice anche Salvatore Giancane, tossicologo in una Asl di Bologna e autore di “Eroina. La malattia da oppioidi nell’era digitale” per le Edizioni Gruppo Abele.
Fino a qualche anno fa si poteva schematizzare così: la cocaina è la droga della produttività mentre l’eroina è la droga no future, della crisi. Una dinamica evidente, con l’irruzione della crisi, in Portogallo e in Grecia. Ma in Italia? «Oggi sicuramente le culture d’uso stanno mutando – riprende Ronconi – l’età media si abbassa, si sperimentano combinazioni di molecole, ciascuno insegue il proprio cocktail. Così quello dell’eroina è un uso funzionale: in certi mix, ad esempio, serve a bilanciare gli effetti eccitanti di altre sostanze». Due sociologi militanti raccontano di averne osservato un consumo diffuso, a Roma, tra i giovani corrieri di una notissima azienda spedizioniera che tentavano così di placare i sintomi della coca assunta per reggere i ritmi frenetici di lavoro.
Il mercato è quantomai vario. La criminalità campana e pugliese operano in stretto contatto con le mafie albanesi e balcaniche, così si legge nella relazione parlamentare sulle tossicodipendenze. «La roba arriva già raffinata lungo la Via dei Balcani – puntualizza Giancane – penetrando dall’Adriatico, dal Gargano a Ravenna, e poi verso Perugia o lungo la Via Emilia com’è possibile capire dai ritrovamenti di quelle che non sono più raffinerie ma centri di taglio e confezione. Oppure dalle morti per overdose in tempi ravvicinati nella stessa città come a Porto S.Elpidio un paio di anni fa. Ormai lo spaccio è cambiato, agiscono piccoli gruppi criminali in mille rivoli. E questo spiega tante cose: la presenza a macchia di leopardo, le percentuali di purezza esorbitanti».
Tutto ciò rende la merce diversa da città a città e perfino dall’una all’altra piazza di spaccio. «Tra quella reperibile a Torino e quella disponibile a Milano c’è un abisso, lì è più pura. Il problema – avverte Ronconi – sono i tagli, generalmente compiuti con psicofarmaci per bilanciare la cattiva qualità dell’eroina di strada. La concorrenza tra le cosche espone i consumatori a delle oscillazioni».
«A Roma abbiamo avuto già due morti per overdose nel nuovo anno e svariati casi di collasso – racconta Salvatore Migliore, presidente de La Tenda, onlus storica nata dalle madri coraggio del Tiburtino III negli anni ’80 – noi cerchiamo di utilizzare i nostri utenti come vettori per trasmettere l’allarme soprattutto a chi esce dal carcere o dalla comunità e si ritrova di nuovo in strada ed è pronto a rifarsi». Da vent’anni in progetti di frontiera, dove la tossicodipendenza si intreccia con vecchie e nuove povertà, Migliore conferma che il prezzo della roba è precipitato ed è facile reperire microdosi a 5 euro. «Dal 1990 il costo è sceso del 74% – conferma Giancane – da 120mila lire a 30 euro al grammo. Se allora un operaio poteva permettersi 6-7 grammi al mese, oggi ne può prendere una quarantina». La cannabis costava 30 volte meno della polvere e adesso è come se l'”ero” e il “fumo” fossero sullo stesso scaffale di un immaginario supermarket delle droghe dove c’è anche il metadone. Anche a Torino sono stati diffusi manifesti nei luoghi sensibili e sui social per avvertire dell’arrivo in città di eroina «particolarmente forte»: si dice che i campioni contengono 6-MAM, un metabolita attivo dell’eroina che aumenta il rischio di overdose e i danni epatici se utilizzato con l’alcool. “Se usi per via iniettiva – raccomanda l’avviso – è necessario iniettare la sostanza molto lentamente, oppure farla in due volte, per ridurre il rischio. Non farti da solo ma in compagnia di altre persone che possono chiamare i soccorsi in caso di overdose. E’ inoltre consigliabile avere del Narcan (naloxone, farmaco salvavita, ndr) a portata di mano”.
«In alcuni campioni di strada è stato rilevato un 33% di purezza, sei volte più del consueto – interviene Lorenzo Camoletto del Progetto Baonps (Be Aware On Night Pleasure Safety) – un dato sconvolgente per una piazza abituata da anni a sostanze in cui il principio attivo era mediamente 5-10 volte più basso. C’è una probabile overdose dietro alcune morti recenti. Che sta succedendo al mercato della droga? A chi giova vendere roba così forte? Forse le retate della polizia hanno provocato il ricambio dei pusher, forse ci sono bande concorrenti. Fuori da ogni moralismo, per capire e salvare le vite c’è bisogno di implementare la ricerca su vasta scala, di un’alleanza con i consumatori per capire quello che gira». Ormai è allarme fra i frequentatori dei drop-in, delle unità mobili e nei gruppi social dei consumatori. Baonps (e anche realtà antipro come Lab57-Alchemica a Bologna o Infoshock Torino) propone il drug checking (test degli stupefacenti associato a informazioni su prevenzione e orientamento del consumatore) nei contesti di “vecchio” e nuovo consumo.
Certe dinamiche di mercato sembrano dunque possibili grazie alla «cornice politica» della Fini-Giovanardi, la legge proibizionista in vigore sulle droghe che punta all’astinenza anziché alla riduzione del danno e alla limitazione dei rischi. «Anche per questo – è di nuovo Susanna Ronconi a parlare – si investe sempre meno sulla riduzione del danno e sulla ricerca, anche antropologica, per comprendere gli stili di consumo». Anche il mix di proibizionismo e austerità è tossico: è sparito da anni il fondo nazionale per gli investimenti nella ricerca e ogni dibattito sulle politiche di riduzione del danno (come le cosiddette “stanze del buco”, risulta ostaggio delle pulsioni sicuritarie trasversali. Il Forum Droghe per condurre lo studio sul naloxone, appena ultimato, ha dovuto ricorrere a finanziatori privati sebbene sia in atto una campagna globale per l’accesso a questo farmaco salvavita.
Dovrebbe essere il Dpa, Dipartimento politiche antidroga, a garantire l’aggiornamento dei dati ma non lo fa. Non abbastanza e con sistemi statistici che non sono «né esatti, né tempestivi», osserva Giancane ricordando il caso dell’epidemia di eroina negli Usa, 50mila morti l’anno, che per anni è risultata invisibile ai rilevatori, «è sempre più difficile riconoscerci nell’affresco che forniscono i rapporti ufficiali del Dpa». Nella recente relazione parlamentare sono stati Cnca e Forum Droghe a fornire, gratis, il capitolo relativo alle politiche di riduzione del danno che rivela una geografia diseguale di questi interventi, l’assenza di linee guida nazionali e l’intermittenza dei finanziamenti che condannano gli operatori alla precarietà strutturale con salari al di sotto della soglia di povertà, sette euro l’ora, straordinari non pagati e la tendenza perversa degli enti locali a rimpiazzare i professionisti con volontari. Nei nuovi Lea governativi, i Livelli essenziali di assistenza, è comparsa finalmente la dicitura “riduzione del danno” ma è tutto ancora tutti da scrivere. «Per mettere fine alla “ruota della fortuna” per i consumatori continua Ronconi – in Piemonte un gruppo di lavoro prova a individuare quali prestazioni debbano diventare obbligatorie coinvolgendo il “cartello di Genova”, associazioni, gruppi, operatori, movimenti, persone che usano sostanze e rappresentanti istituzionali impegnati nel contrasto degli effetti nocivi dell’abuso di droghe e della criminalizzazione». Ma intanto i SerT, divenuti SerD, vengono ridotti e sovraccaricati di compiti (su alcolismo e ludopatia) e la conferenza nazionale sulle droghe, che il governo per legge dovrebbe organizzare ogni due anni, non viene convocata dal 2009. «Il servizio pubblico è mortificato – aggiunge Giancane – così nessuno ascolta più gli operatori». «Che, invece, hanno molto da dire su come «l’eroina sia diventata così “democratica”», conclude Sara Contanessi».
una versione di questa inchiesta è stata pubblicata sul numero 5/2017 del settimanale Left